In America la corporazione gay predica libertà per tutti, ma non per i nemici
Il progetto di legge – già passato al Senato – che dovrebbe mettere per sempre fine alla discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale sul posto di lavoro è naufragato. A buttarlo a mare non è stata la destra religiosa, ma le associazioni per i diritti gay.
New York. Il progetto di legge – già passato al Senato – che dovrebbe mettere per sempre fine alla discriminazione sulla base dell’orientamento sessuale sul posto di lavoro è naufragato. A buttarlo a mare non è stata la destra religiosa, sono state le associazioni per i diritti gay, le stesse che dal 1994 fanno di tutto per porlo all’attenzione del Congresso. L’Aclu, la più importante associazione per i diritti civili d’America, ha guidato la ritirata dall’Employment Non-Discrimination Act (Enda), storico cavallo di battaglia dei progressisti, per il timore che la recente sentenza della Corte suprema sulla catena Hobby Lobby possa rendere la legge meno gay-friendly di come gli attivisti l’avevano concepita e promossa.
Per ottenere una massa critica e bipartisan di consenso attorno al disegno di legge, i progressisti avevano accettato di introdurre alcune eccezioni per motivi religiosi, secondo l’identico spirito che ha spinto Barack Obama ad amettere deroghe all’obbligo delle aziende di fornire contraccettivi e farmaci abortivi ai propri dipendenti, come previsto dalla riforma sanitaria. I repubblicani hanno apprezzato l’apertura e alcuni di loro hanno votato l’Enda al Senato assieme ai democratici. Problema: nelle intenzioni dei liberal, le eccezioni previste dalla legge riguardavano le istituzioni religiose strettamente intese, quelle che hanno come scopo unico l’amministrazione del culto. Secondo il testo dell’Enda, per esempio, una parrocchia che si rifiuta di assumere un dipendente gay non commette un reato, perché si ritiene che la libertà di religione le consenta di prendere decisioni che non sono in contrasto con i propri precetti.
La legge, però – questa la chiave della concessione fatta alla destra – non estendeva l’obiezione di coscienza alle istituzioni d’ispirazione religiosa come scuole, università e ospedali, figurarsi alle aziende private guidate da credenti. Le esenzioni concordate con i conservatori altro non erano che calcolatissime contropartite per raggiungere l’obiettivo più importante senza rischiare di ledere il Primo emendamento alla Costituzione, che tutela la libertà religiosa.
L’Enda, come l’Obamacare, non s’azzarda a sopprimere la libertà religiosa, semplicemente la riduce alla libertà di culto. E che le parrocchie, le sinagoghe o le moschee americane possano continuare ad assumere personale secondo i criteri che ritengono compatibili con la propria coscienza fa apparire, in un colpo solo, le associazioni gay come tedofori della libertà di tutti e i luoghi di culto come entità catacombali, residuali, pezzi spuri della vita pubblica che si macerano nella loro insipienza mentre il mondo progredisce. La libertà di culto sarebbe stata accerchiata dallo spirito del mondo, il quale prima o poi avrebbe aperto la sua breccia di Porta Pia.
La sentenza di Hobby Lobby ha cambiato radicalmente questi ragionamenti. I giudici hanno decretato che le eccezioni religiose per l’Obamacare valgono anche nel laico universo del profitto, non solo nelle sagrestie, tanto che la Casa Bianca ora è assediata dalle richieste di aziende che per motivi di coscienza chiedono di avere lo stesso trattamento concesso a Hobby Lobby. E’ più che lecito postulare che ciò che vale per l’Obamacare valga anche per la legge che combatte le discriminazioni sul posto di lavoro, e per evitare di incappare in un’altra sconfitta gli attivisti gay hanno deciso di mollare il colpo. “L’Enda potrebbe permettere alle organizzazioni con un’affiliazione religiosa, inclusi ospedali, case di cura e università, la possibilità di discriminare i gay sul posto di lavoro”, ha scritto l’Aclu, in rappresentanza di altre cinque associazioni per i diritti civili. La task force nazionale per i gay e le lesbiche ha pubblicato una nota dello stesso tenore. Insomma, la discriminazione va combattuta, ma soltanto nella misura in cui i termini del problema sono vidimati con il timbro arcobaleno. Va bene la concessione alle parrocchie sempre più vuote e inincidenti sulla vita pubblica, ma guai a estendere gli altrui diritti oltre l’angusto backyard del culto.
E’ qui che si smaschera un altro aspetto della falsa coscienza della battaglia per i diritti dei gay. Dagli anni Novanta l’apparato per l’uguaglianza dei diritti ha lavorato per presentare la propria battaglia non già come un legittimo sforzo lobbistico, una guerra tattica da associazione di categoria, ma come una più vasta battaglia per i diritti civili di respiro universale e senza ombre corporative. Invece l’ombra corporativa (e tendenzialmente intollerante) c’è, e si vede, tanto che improvvisamente la battaglia per una legge contro la discriminazione non interessa più. Se le persone religiose possono continuare a condurre i loro business secondo coscienza senza essere puniti combattere è controproducente, dicono ora, svelando che la storia della difesa della libertà dal pericolo della discriminazione in nome di magniloquenti valori universali non era che un cavallo di Troia. Per le associazioni per i diritti civili la libertà svanisce di colpo quando tutela i diritti dei loro avversari.
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