Ecco le nenie dei tifosi argentini che contagiano le curve di mezzo mondo
“El unico país con hinchada se llama Argentina / el unico país con los huevos para salir campeón”. I cori e i tormentoni dei tifosi della Selecion.
Roma. A volte ritornano. Ad esempio, il “ya lo ve y ya lo ve/ ¡el que no salta es un inglés!” che nacque nel Mondiale del 1982 in Spagna a ruota della guerra delle Falkland-Malvinas; che fu in particolare il canto della vittoria del 1986, ma anche del 1998 e del 2002; che ritorna comunque ogni volta che l’albiceleste deve vedersela con i “piratas”, come li chiamano; e che ha ispirato un po’ tutte le varianti del “chi non salta è” eccetera. Oppure “vamos, vamos Argentina, vamos, vamos a ganar, / que esta banda quilombera, no te deja, no te deja de alentar”: inno ufficiale della vittoria sportiva del 1978, che continua a essere usato anche dopo che il regime militare lo trasformò nella colonna sonora del disastro bellico del 1982, e malgrado la volgarità di quel “banda quilombera”: banda casinara, ma più forte che in italiano. A volte sono inventate ex novo, come nel 2010 in Sudafrica quando la “Barra” argentina si autoglorificò come unica di tante curve in grado di sfidare il fracasso delle vuvuzelas. “El unico país con hinchada se llama Argentina / el unico país con los huevos para salir campeón”. E pazienza se poi in realtà risultò che queste “palle per uscire campioni” i calciatori non riuscirono a tirarle fuori.
Più spesso il nuovo tiene però conto del vecchio, come in quel “Brasil, decime qué se siente / Tener en casa a tu papá”, che specie dopo il tonfo dei padroni di casa con la Germania e l’arrivo in finale dell’Argentina è diventato il tormentone più noto di questa edizione. “Brasile, dimmi che si prova / a avere in casa tuo padre”. Proclama invero in principio un po’ criptico, che però si chiarisce nel ricordare i successi del passato. “Ti giuro, che sebbene passino gli anni / mai lo dimenticheremo / che il Diego ti sgambettò / che Cani (=Caniggia) ti ha vaccinato / che continui ancora a piangere dall’Italia fino a oggi / Messi lo dovrai vedere / La Coppa ci porterà / Maradona è più grande di Pelé” (quest’ultima affermazione, come è noto, a suo tempo tradotta anche in napoletano…). Sulla stessa falsariga il coro preferito del 2006: (tradotto) “Torneremo torneremo, torneremo un’altra volta / torneremo campioni come nell’86”.
A volte non sono neanche inni ma coreografie, che comunque sono ancora più contagiose delle parole e delle musiche. La “ola” mostrata dai tifosi argentini negli stadi ai Mondiali messicani del 1986, movimento collettivo degli spettatori che si alzano e abbassano a imitare una gigantesca onda, e che fu subito imitata in tutto il mondo. In realtà, non è completamente vero che sono gli argentini a inventare proprio tutto il folclore da curva che poi rimbalza nel resto del pianeta a ogni turno di Coppa del Mondo. Il famoso “ale-o-o” che oggi risuona perfino nei concerti e nei dischi di Claudio Baglioni è il ritornello di una famosa canzone messicana dedicata alla città di Guadalajara, che fu esportato in quegli altri Mondiali messicani del 1970, quando l’Argentina non era riuscita a qualificarsi. Mentre il “po-po-poppopo-poppopo” che fu la colonna sonora del trionfo italiano ai Mondiali del 2006 era la melodia di “Seven Nation Army” dei The White Stripes: brano che il Bruges usava per festeggiare i gol fatti, di cui i tifosi della Roma si appropriarono dopo averlo ritorto contro i belgi una volta recuperato un risultato in Coppa Uefa, e con cui Totti contagiò i compagni di squadra. Però è vero che sono loro, gli argentini, gli inventori più fecondi. L’Inghilterra è la madre del calcio, l’Uruguay è il padre, il campionato più bello del mondo lo ha (aveva) l’Italia, più Mondiali li ha vinti il Brasile, ma in effetti il tifo moderno lo hanno inventato gli argentini, e anche le prime curve organizzate in Italia le portò all’Inter l’argentino Helenio Herrera.
E la loro fama è aumentata da quando YouTube permette di diffondere cori e slogan anche senza aspettare la cadenza quadriennale. Vedasi a esempio gli ultimi cori che, auspice Papa Francesco, i tifosi della Roma hanno importato direttamente dall’hinchada del San Lorenzo. “Una gitana hermosa tiró las cartas / dijo que el San Lorenzo va ser campeón”: “Dicon che era il mio sogno fin da bambino / vedere su questa maglia il tricolor”. O “dicen que estamos todos de la cabeza / pero a San Lorenzo no le interesa”: “Dicono vai allo stadio sei un deficiente / dicono la As Roma non vince niente / ma io sì me ne frego resto al mio posto / ma io sì me ne frego sono giallorosso”.
Il Foglio sportivo - in corpore sano