Angela M. e le malevite degli altri
La cancelliera Merkel aveva forse qualche buona ragione per cacciare il capo della Cia a Berlino, ma non l’ha saputa dare. Perché spiare il nemico fa bene, ma spiare gli alleati fa anche meglio: chi s’infiltra a casa loro prima o poi s’infiltrerà a casa nostra. La Germania è più speciale (e ancipite) degli altri, Obama un po’ grottesco
Angela Merkel ha cacciato il capo della stazione Cia di Berlino e ha solennemente affermato: spiare gli alleati è una perdita di tempo, i princìpi ispiratori della Germania sono diversi da quelli degli Stati Uniti. Queste due simpatiche grossolanità della cancelliera tedesca nascono da una decisione di espulsione legittima, e forse utile alla sicurezza dello stato, ma la spiegano in modo o troppo ingenuo o troppo furbo (scegliete voi).
Non c’è bisogno di avere una minima competenza in fatto di spionaggio, come chi scrive (vedi curriculum), per capire alcuni fondamentali e applicarli flessibilmente alla storia atlantica ed europea e mondiale degli ultimi decenni. Nel corso della guerra non convenzionale (1945-1989), detta Guerra fredda, gli alleati si spiavano, eccome, e senza eccezione. Intanto perché è buona regola spiare sempre e dappertutto: i magistrati dovrebbero partire da una notizia di reato nella presunzione di innocenza per il comune cittadino, i servizi devono andarsi a cercare le spie degli altri e le infrazioni ai codici definiti dalla ragion di stato, partendo possibilmente prima che il danno si stato fatto da una presunzione di colpevolezza. Ma poi per un concetto elementare: sei un mio alleato, dunque il mio nemico cercherà di infiltrarti per colpire anche me, la nostra comune rete, e devo sempre sapere quanto protetta sia la tua, di rete informativa, e non posso accontentarmi dei tuoi controlli. Questo vale in specie per un grande paese egemone, anche ma non solo sotto il profilo economico, il cui cancelliere rifondatore, per non parlare d’altri che di Willy Brandt, si ritrovò un assistente personale del nemico al suo fianco per anni.
Ogni territorio nazionale è speciale, da questo punto di vista, ma la Germania è più speciale degli altri, e le sue vite degli altri da osservare valgono il doppio. Il corpaccione dell’ex Reich germanico, infatti, è sempre stato ancipite: la Germania ricostruita con il nation building dai vincitori angloamericani, fino alla riunificazione in condominio simbolico con i francesi e meno simbolico con i sovietici, aveva una testa occidentale, euroccidentale, e ha fatto da propulsore con Parigi a quel che sarebbe divenuto l’Unione europea. Ma l’altra testa è sempre stata da Europa centrale, per non parlare del Drang nach Osten, della spinta naturale a oriente derivata da storia e geografia. Sono questioni basilari o, come si dice oggi, basiche. Alle quali va aggiunta una postilla di non poco conto: oggi non esistono più solo alleanze occidentali, gli alleati sono diventati partner dopo la fine della divisione di Yalta e lo scioglimento unilaterale del Patto di Varsavia. La partnership è categoria più complicata di alleanza, tutto è più sfumato, i confini di interesse e sicurezza di stato si definiscono anche in base a nuove e più estese priorità, quelle economiche intese come volano per quelle strategiche e, come sempre, anche militari.
[**Video_box_2**]Il grottesco è che tutto nasce dalle rivelazioni di Edward Snowden e in parte da Julian Assange e dal suo Wikileaks. Tutto, compresa la cacciata ieri impensabile del capo stazione della Cia a Berlino, nasce dal carattere insieme febbrile, rinunciatario o riluttante, che ha impresso di sé i passi malcerti dell’Amministrazione Obama negli ultimi sei anni. Ai quali passi si aggiunge la ineluttabile estensione della rete informativa, per ragioni tecnologiche e per ragioni legate alla guerra impalpabile al terrorismo internazionale nell’epoca successiva all’11 settembre del 2001. La Nsa americana e la Cia probabilmente hanno esagerato la loro esposizione nel campo dei partner, non si dica l’attività ma l’esposizione, perché il tessuto o l’ordito del loro lavoro è divenuto più friabile, corre e rallenta sulle vie del web, si confronta con criteri di addestramento e formazione del personale che sanno di politicamente corretto mentre cresce l’investimento in procedure informative a dismisura. Don’t ask don’t tell non è un grande programma militare in un settore in cui non si deve fare altro che quello, to ask, to know and to tell, nel più impermeabile segreto; e altri ritrovati pudichi, forse necessari, e oggi perfino superati da esibizionismo e divismo di rete, devono aver contribuito parecchio a cambiare, non è detto in meglio, il dorato mondo di James Bond.
La vicenda dell’Ossezia e dell’Abkhazia, e poi quella più vasta e di pertinenza polacca e tedesca dell’Ucraina, è lì a mostrare che territori di confine, scambi di denari e di armi e di uomini, e tutto il resto delle tattiche di forza e delle strategie politiche a sostegno militare, non è un residuo di cui il mondo si sia liberato. E non c’è solo la Russia di Putin, che si predica indomabile anche nella sconfitta del modello che la generò, e si fa continuista oltre lo schema delle ripetute rivoluzioni, da quella imperiale a quella bolscevica a quella capitalistica post 1989; c’è anche la Cina, il mar Cinese meridionale, la preoccupante crescita navale e di armamento che ha indotto gli Stati Uniti, sempre gravati da ritardo e da riluttanza, a prendere qualche provvedimento di sorveglianza ulteriore in funzione deterrente. Anche per la Cina (si tratta, per la via d’acqua meridionale, di 5.300 miliardi di dollari, bella cifretta), sapere quel che succede a Berlino comincia a diventare utile. Si può cacciare una superspia perché è svelato al mondo il tuo tallone d’Achille, ma sostenere che spiare e controspiare nel tuo campo è una perdita di tempo è poco assennato o troppo callido.
Il Foglio sportivo - in corpore sano