Götze festeggia il gol della vittoria, la Germania è campione (foto LaPresse)

La Germania cancella Messi. Tedeschi campioni del Mondo

Piero Vietti

Lasciate stare Maradona, che il paragone è retorico, bolso e fuori tempo massimo. Chissenefrega se Messi non è come Maradona. Il problema è che Messi non è stato come Messi. La vittoria della Germania è – anche – la logica conseguenza di questa assenza.

Lasciate stare Maradona, che il paragone è retorico, bolso e fuori tempo massimo. Chissenefrega se Messi non è come Maradona. Il problema è che Messi non è stato come Messi. La vittoria della Germania è – anche – la logica conseguenza di questa assenza.  Dopo una semifinale da amichevole estiva e un’altra da narcolessia, il Mondiale brasiliano finisce con una finale a lungo bella, combattuta e divertente. Al di là di rivincite e ricorsi storici che lasciano il tempo che trovano, Argentina e Germania si sfidano senza complessi. Nessuna delle due finaliste sembra meritare di più, prima una e poi l’altra dominano il gioco a ondate. I tedeschi con metodo, gli argentini con fiammate improvvise, inizialmente affidate a Messi (poi scomparso) e tendenzialmente sbagliate da Higuain.

 

Il tedesco Klose corre come forse Balotelli ha fatto in tutta la sua carriera (e la standing ovation del Maracanà quando esce al 89’ dice molto del suo impegno in questa finale), Müller conferma di essere attaccante completo e imprescindibile, a tratti commovente per impegno, dedizione e classe, Zabaleta e Mascherano fanno una partita perfetta. Raramente gli avanti della Germania arrivano davanti a Romero liberi di tirare. Le due occasioni più clamorose sono nel primo tempo: Higuain liberato da un retropassaggio sbagliato della difesa tedesca cicca il pallone in modo inguardabile e sul finale Höwedes colpisce il palo da un paio di metri su calcio d’angolo.

 

Menzione per l’arbitro italiano Rizzoli e i suoi due guardalinee (a cui va gran parte del merito della scelta “italiana” della Fifa per questa finale): sbagliano poco, pochissimo, quasi niente. La prima volta che viene inquadrato, Rizzoli se ne accorge e subito si pettina il ciuffo. Poi la partita gli fa dimenticare la pettinatura e i due guardalinee lo aiutano azzeccando tutto (ne sa qualcosa Higuain, che segna in fuorigioco ma se ne accorge dopo avere esultato come un pazzo per un minuto buono). Quando al 73’ Messi sbaglia uno stop sulla fascia destra che normalmente non sbaglierebbe, si capisce che qualcosa non va. Paradossalmente inevitabile lo 0-0 alla fine dei 90 minuti.  

 

I supplementari cominciano con una Germania più in palla. L’Argentina riparte e colpisce, ma Messi continua a restare ai margini. Non si capisce se a pesargli sulle spalle sia più la storia, la preparazione o il gioco di Sabella. Squadre stanche ma non bloccate. E’ 0-0 anche al 105’. Col passare dei minuti Schweinsteiger emerge sugli altri: lotta, corre, calcia, anticipa, prende testate, sanguina e si rialza come se niente fosse. Non cambia l’inerzia della partita, comunque: i tedeschi la fanno e gli argentini ripartono pericolosamente. Gli ultimi minuti sono una lunga attesa verso i rigori, peccato che la Germania non ci stia: a 8 minuti dalla fine Götze si inventa un capolavoro. Stop di petto in area e sinistro al volo a incrociare sul secondo palo su assist di Schurrle. Entrambi sono entrati a partita in corso.

 

Romero non può fare nulla, la Germania è a un passo dal quarto titolo. L’Argentina non ha più fiato, e Palacio e Biglia non sono Götze e Schurrle. L’Albiceleste affonda, e con lei Messi. Mai davvero pericoloso, mai davvero Messi. Nella punizione calciata in curva al 122’ c’è tutta la sua impotenza. Il premio di migliore giocatore del torneo suona più come una beffa che come una consacrazione.

 

Vince la squadra col calcio migliore. Il Mondiale non mente quasi mai.

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  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.