Mondo eterologo
Se il figlio è diventato un diritto, che diritti hanno i figli nati da “donatori”? La ricerca delle origini di chi si trova senza radici.
Agathe (nome di fantasia) è una giovane avvocatessa parigina. Era il 2009 e aveva ventinove anni, quando seppe di essere stata concepita con il seme di un donatore anonimo: “Sono annientata. Sono come un castello di carte a cui sia stata tolta all’improvviso una delle basi: tutto è venuto giù”, ha detto al settimanale Point che l’ha intervistata. Accadde in una giornata che sembrava uguale a tante altre, con la famiglia riunita a tavola. La madre di Agathe, d’accordo con il marito, scelse quel momento per rivelare a lei e a suo fratello che l’uomo che consideravano a tutti gli effetti il loro padre – quell’uomo seduto anche quel giorno e come sempre a tavola con loro – in realtà era sterile. Non era quindi lui il loro vero genitore. La madre di Agathe stava attraversando un periodo di disagio, e il suo psicoanalista le aveva consigliato di “aprire gli armadi”, di dare aria a quel pesante segreto famigliare che, secondo lui, poteva gravare negativamente sull’equilibrio della sua paziente.
La verità può arrivare anche così, nella vita dei nati da eterologa. Può arrivare come il rumore di un piatto rotto durante la colazione, per uno scatto di rabbia, perché l’intenzione è di fare pulizia o per senso di colpa e per la voglia di condividere un fardello diventato scomodo. Ma la verità può non arrivare mai, ed è anche peggio. Perché la verità rimossa riesce crudelmente a far valere i propri diritti sulla psiche e nella vita delle persone nella cui genealogia c’è quella radice oscurata.
Agathe, per quanto la riguarda, non condanna affatto la madre, “ha magari pensato che fosse arrivato il momento giusto per me, che a mia volta cominciavo a desiderare di fare un figlio, di sapere la verità. Ma il cielo mi è caduto sulla testa”. Così, dopo aver ribadito all’uomo ormai anziano che l’ha cresciuta che il suo affetto per lui non sarebbe mai cambiato, ha anche deciso che non se la sentiva più di mettere su famiglia con il giovane uomo con cui progettava un bambino. Nella sua casa, copre tutti gli specchi. E’ un antico gesto di lutto, ma per Agathe è l’espressione di puro furore. Non riesce più a sopportare la propria stessa faccia, che all’improvviso le è diventata estranea. A chi appartengono quegli occhi scuri, quell’incarnato pallido? Da quale linea ereditaria sconosciuta e forse minacciosa le arrivano? “In ottobre – racconta ancora al Point – la radio parlava continuamente di un criminale e la cosa mi ossessionava. Forse anche mio padre poteva essere un assassino… Mi sentivo sporca e facevo sogni atroci: partorivo un figlio che non accettavo, che rifiutavo addirittura di vedere”.
La giovane avvocatessa in carriera, serena, equilibrata e proiettata verso il futuro, è diventata fragile, cupa, insicura. Sente che per guarire non le rimane che andare a fondo. Non è affatto facile, perché in Francia la legge protegge l’anonimato assoluto dei donatori. Ma lei, da buona leguleia, riesce a ottenere un colloquio con il Cecos (Centre d’études et de conservation des oeufs et de sperme) dove trent’anni prima era stato raccolto e “stoccato” il campione di seme che le ha dato origine. Agathe vuole alcune risposte importanti: suo fratello è nato dallo stesso donatore o condividono solo la madre? Quante altre persone sono nate da quel seme? E quelle persone vivono in Francia, magari nella sua stessa città? “E’ la prima cosa che ti viene in mente: l’incontro possibile con chi fa parte della tua stessa fratrìa genetica. Il mio fidanzato ha subito verificato che suo padre non fosse un donatore…”.
Passano parecchi mesi, prima che al Cecos qualcuno si decida a ricevere Agathe. La tecnica collaudata, non solo francese, è quella di far passare il tempo. Di rimandare, di mettere ostacoli, nella speranza che quegli importuni e molesti Pollicini che pretendono di percorrere a ritroso la labile scia di molliche lasciate dalla loro nascita, quei petulanti nati da eterologa – ma che vogliono, insomma, non sanno che altrimenti non sarebbero nati affatto? – alla fine si rassegnino. Se ne facciano una ragione, si accontentino della confortevole menzogna nella quale sono stati allevati. Agathe, però, non vuole accontentarsi, e alla fine ottiene un colloquio: “Sono stata ricevuta da un medico e da una psicologa di ventidue anni e sono rimasta basita dal loro dilettantismo. Come unica risposta ho ottenuto il consiglio di farmi visitare da uno psicologo. Mi è stato detto, per quanto riguarda mio fratello, ‘che cosa può cambiare, se è un fratello genetico oppure no?’. Quanto al numero di gravidanze ottenute con lo stesso sperma, poi, la cosa evidentemente non era affar mio”. Né suo né di suo fratello, è chiaro, che a sua volta le dice in continuazione che si sente all’improvviso come se galleggiasse nel vuoto.
Benvenuti nel meraviglioso mondo dell’eterologa. La cosa ormai riguarda anche l’Italia, perché giudici costituzionali fermamente convinti che il “diritto al figlio” sia inscritto fin dagli albori nella Carta fondamentale, e che questo comporti l’uso di qualsiasi mezzo atto allo scopo, hanno eliminato il divieto della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita di ricorrere a gameti (ovociti e seme) “estranei alla coppia”. La legge 40 si proponeva di proteggere il nascituro e il suo diritto alla certezza delle origini. I giudici della Consulta si sono fatti convincere dai militanti del desiderio, e non è detto che sia finita qui. Se il “diritto al figlio” è tale, dobbiamo aspettarci che in breve sia consentito anche l’utero in affitto, per le donne alle quali sia stato asportato o per le coppie gay? E poi chi dice che quel “diritto” debba scadere al termine dei cinquantadue anni (limite attuale per le donne che chiedono trattamenti di fertilità)?
Intanto, c’è chi il bazar sogna di aprirlo subito, magari con qualche circolare ministeriale stilata in fretta e furia, e senza noiosi indugi parlamentari. Difficile che possa essere così. Tanto per avere un’idea: sarà consentita la donazione di gameti tra consanguinei? Nel 2005, in Gran Bretagna, il piccolo Charlie era stato concepito dall’ovocita di una donna fecondato dal seme del marito della sorella gemella di lei, sterile, e poi impiantato nell’utero di una terza sorella: tre “madri”, sorelle tra di loro, impegnate a regalare un figlia a quella di loro che non poteva averlo. Il bello (o il brutto, fate voi) di queste storie eterologhe, è che in genere – non nel caso di Agathe, però – si fermano al quadretto della nascita. Ma poi che succede? Tutti vissero felici e contenti? C’è un figlio nato dal bricolage solidale (raro, perché quasi sempre la cosiddetta donazione è a pagamento, e dove il pagamento è proibito l’eterologa è in crisi), c’è il genitore putativo e c’è quello biologico, fantasma rimosso sempre pronto a riemergere: che ne è, alla fine, di tutti loro?
Le cronache degli ultimi anni – anni in cui i primi figli dell’eterologa sono diventati adulti – ormai traboccano di storie come quella di Agathe. Storie di verità negata e cercata accanitamente, come fosse questione di vita o di morte. Storie di resa dei conti di trentenni, nati soprattutto da seme maschile anonimo, che bussano alle porte delle cliniche della fertilità o fondano reti di ricerca dei padri su internet. Non è diverso, in fondo, da quello che succede ai bambini adottati che da adulti vogliono sapere da dove vengono. A loro ormai è concesso: perché dovrebbe essere negato ai figli dell’eterologa? Valentina Fizzotti, sul Foglio del 30 ottobre del 2010, ha raccontato la vicenda di Lindsay Greenawalt, nata nel 1985 in Ohio, che ha creato il blog “Confessions of a Cryokid” per rintracciare il padre genetico, di cui aveva ottenuto le coordinate in codice: “Sei nato il 12 febbraio 1961, sei inglese, hai gli occhi verdi e i capelli castani e hai fatto un master. Sei tu Xytex 2035?”. Di sé, Lindsay “figlia del freddo” dice: “Se avessi dovuto scegliere tra essere concepita deliberatamente con metà identità e metà delle relazioni di sangue, che mi sono state negate per sempre, o non essere mai nata, avrei scelto di non essere mai nata. Tutti noi siamo stati creati per portarci dietro una perdita che nessun essere umano dovrebbe sopportare”. Ma andatelo a spiegare voi, ai militanti del desiderio che diventa per via di Corte costituzionale “diritto al figlio”.
Non tutte le storie di eterologa sono paradossali e conosciute come quella della famosa “banca del seme dei Nobel” fondata nel 1980 in California dall’eccentrico milionario Robert K. Graham. La danese Cryos promette fornitura di sperma di prima qualità in più di settanta paesi, garantita da venticinque anni di attività: “Benvenuti alla più ampia selezione di donatori di seme del mondo”, si legge sulla home page. Accanto alla foto di un bel pupone in braccio alla sua mamma, ci sono già le caselle da riempire: razza (sic), colore di capelli, colore degli occhi, e poi clic, “cercare donatore”. Ma il Repository for Germinal Choice creato da Graham, nei suoi diciannove anni di esistenza (ha chiuso i battenti nel 1999, dopo la morte del mecenate e fondatore), prometteva ben altro: la nascita di un super baby, dotato del patrimonio genetico di un Nobel o di un cervellone equipollente. La singolare banca del seme fu sommersa di richieste di donne che ardevano dal desiderio di scegliere, in una nutrita lista di scienziati, letterati, atleti e brillanti professionisti (celati sotto definizioni come Donatore Turchese n. 38, Donatore Giallo-Bruno n. 22 o Donatore Verdazzurro n. 16), un super padre per il loro super figlio. Circa duecento bambini sono nati in quel modo, e della loro vicenda, grottesca e terribilmente malinconica allo stesso tempo, si è occupato a lungo un giornalista di Slate, David Plotz, che ci ha scritto un libro nel 2004: “La fabbrica dei geni” (in Italia lo ha pubblicato Lindau). Uno di quei “bambini venuti dal freddo” viene a sapere dalla madre, irritata per i suoi pessimi risultati scolastici, le modalità del proprio concepimento: Tom (ancora un nome di fantasia) non è figlio dell’uomo mite e normalissimo dal quale sua madre si sarebbe poi separata, ma nientemeno che di un Nobel, e anche la sorella Jessica è stata concepita con un donatore anonimo della stessa banca (ma non lo stesso). Tom, ancora adolescente, sulle prime non reagisce con la disperazione di Agathe. Rimane frastornato, poi tende a vedere le cose dal lato positivo. Quel segreto alla sua origine può essere un magnifico atout: in lui scorre il sangue di un Nobel, perbacco! All’inizio, scrive Plotz, Tom “giocava con se stesso al ‘Chi sono?’ genetico. Quale grande dono ho ricevuto da lui? Se lui era un così grande scienziato, perché vado così male in scienze? Disegno malissimo: lui sapeva disegnare?”. Ma poi, l’impossibilità di dare risposta a queste domande diventa frustrazione.
La vicenda della banca del seme dei Nobel inclina al vaudeville eugenetico. Ma poi, finito il vaudeville, rimangono le persone in carne e ossa. Plotz, tutt’altro che pregiudizialmente contrario alle tecniche di procreazione artificiale, di quei nati da super eterologa riesce a rintracciarne un certo numero. In tutti, registra spaesamento, fragilità, ansia di non essere all’altezza dei “padri Nobel”, insieme con la rabbia di sentirsi cavie. Una rabbia che non riguarda solo quel caso limite. L’editorialista del New York Times, Ross Douthat, commentando nel 2010 i risultati di un importante rapporto dell’Institute for American Values sugli americani concepiti da fecondazione eterologa con seme maschile (“My Daddy’s Name is Donor” era il titolo del rapporto), parla dell’ambivalenza dolorosa di quelle persone ormai adulte “nei confronti del mercato riproduttivo che ha reso possibile la loro esistenza”, a metà strada tra “la gratitudine per l’industria della fertilità e il disagio per il modo in cui è avvenuto il loro concepimento”. Gli intervistati, aggiungeva Douthat, anche se approvano la fecondazione assistita, “allo stesso tempo sono ossessionati dalla sensazione di essere dei figli ‘paga-e-porta-via’”. E anche quelli che si dichiarano più inclini ad affermare il “diritto al figlio” e le politiche che incentivano la donazione di gameti, tradiscono allo stesso tempo “angoscia, inquietudine e perfino rabbia. Una consistente parte dice di essere turbata dalle circostanze del proprio concepimento e dal fatto che alla sua base ci sia stato uno scambio di denaro”.
La cosiddetta donazione, infatti, è una bugia. In Francia, dove è consentita solo la donazione a titolo davvero gratuito di ovociti, nessuna donna o quasi si sogna di “donarli”, e ora c’è chi vorrebbe introdurre il modello spagnolo del finto “rimborso spese” (lo stesso millantato per le pratiche di utero in affitto in Canada o in America). Ma la vera notizia, nel meraviglioso mondo dell’eterologa, è che nella stessa, permissiva Gran Bretagna non si trovano più donatori di sperma. Lo ha annunciato di recente la British Fertility Society, che attribuisce la sparizione dei donatori all’introduzione, nel 2005, di nuove regole che hanno abolito il loro diritto all’anonimato assoluto, sotto la pressione di centinaia di cause intentate alle cliniche di fertilità dai nati da eterologa. Il nato inglese da gameti estranei alla coppia ha ormai diritto, da maggiorenne, a rintracciare il genitore genetico, a conoscerne l’identità e a sapere dove abitava al momento della donazione. Le stesse regole valgono anche per i gameti “importati”. Si chiama “tracciabilità”: vale per il cibo di cui ci nutriamo, perché non deve valere per risalire alle proprie origini?
La stessa richiesta la troviamo nei resoconti di molte audizioni alla base del Rapporto sulla famiglia commissionato dal governo francese lo scorso anno, in vista di una nuova legge per ora accantonata. Una voce per tutte: quella dell’associazione Procreation médicalement Anonyme, che riunisce persone nate da eterologa e parla del loro “bisogno di inscriversi come chiunque nell’umanità, senza sentirsi prodotto di un materiale biologico intercambiabile… Esse domandano di poter dare un volto alla persona che ha permesso loro di vedere la luce”. Non vengono risparmiati i Cecos (Agathe ne sa qualcosa) che “organizzano condizioni di menzogna impenetrabile”. Mentre la Corte europea ha riconosciuto a più riprese “l’interesse vitale” di ognuno “a conoscere l’identità dei propri genitori”, rimane il paradosso che “i concepiti con una donazione di gameti sono l’unica categoria di persone per la quale il diritto impone un blocco sulle loro origini”. Chi vuole l’apertura immediata del gran bazar eterologa anche in Italia deve fare prima i conti con tutto questo.
Intanto Agathe e suo fratello, e tanti nati come loro, continuano a non arrendersi. Lo fanno per sé e per chi arriverà dopo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano