Aziendalista, senza gioco e poco simpatico. Adesso Allegri è tutto vostro, cari bianconeri. E io, milanista, godo
E son contento! Siamo tutti contenti, rossoneri di cuore e di maglia. E’ la nemesi. Di mezzo c’è la cessione di Pirlo e “er go-non-gol de Muntari” che tolse uno scudetto a noi e lo dette a voi, juventini, una bestialità e tanto sano risentimento.
E son contento! Siamo tutti contenti, rossoneri di cuore e di maglia. E’ la nemesi. Di mezzo c’è la cessione di Pirlo e “er go-non-gol de Muntari” che tolse uno scudetto a noi e lo dette a voi, juventini, una bestialità e tanto sano risentimento. Ma siamo uomini di mondo e ora soprattutto vogliamo vedere come andrà a finire. Da ieri è vostro. Eravate abituati al martello che picchia implacabile, al condottiero survoltato che pure quando vince facile si fa un punto d’onore di avere, così dite voi, occhi di tigre. Ora vi beccate uno che vuole esprimersi in modo diverso, senza alzare la voce o arrabbiarsi, dice che ci sono maniere diverse per essere autorevoli, anche lui inciampò su partite truccate, fu se non ricordo male assolto e a differenza di Conte non disse mai di trovare agghiacciante il fatto che venissero giudicati credibili i suoi accusatori e non lui. Il nostro ex ha carattere livornese perciò diretto, ma non privo di understatement, non è arrogante, semmai cortese. Ha un fondo da seduttore suo malgrado che Conte non ha e si vedeva in televisione che Ilaria D’Amico aveva quasi un debole per lui, per questo quel fetentone juventino di Massimo Mauro ci andava in puzza e lo aggrediva.
Lascia dunque colui che cominciò la carriera da calciatore alla juventina Lecce. E arriva uno che esordì alla Cuoiopelli Cappiano Romaiano. Da una provincia a un’altra. Se ne va un allenatore che tifosi juventini arditi, uno lo conosco personalmente e garantisco che non scherza affatto, considerano da premio Nobel del calcio. Arriva il premio Briglia d’oro. Ci sarà da ridere.
Ma noi a Massimiliano tutto sommato abbiamo voluto bene. Almeno all’inizio. Cominciò benissimo. Non è da tutti farsi notare alla corte di un signore feudale come Cellino, lasciarlo, starsene a pelo d’acqua ad aspettare che altri pazzotici, questa volta del Milan, facciano un po’ di conti e si diano un’occhiata in giro. Il primo Allegri è un esempio di modestia e misura professionale, dopo anni di magra il Milan vince lo scudetto con due settimane di anticipo e c’infila pure una Supercoppa, contro l’Inter a Pechino, è ovviamente italiana ma male non fa. Direte che con Ibrahimovic davanti, Thiago Silva dietro e Seedorf e Pirlo in mezzo chiunque avrebbe vinto: non è vero. Non è da tutti danzare tra stelle e stelline, fidanzate di stelline e presidenti che per aver allenato l’Edilnord si vedono come sintesi di Mourinho e Guardiola. E poi quando hai come principale estimatore e sponsor Galliani e non sai mai se fidartene davvero, è oltre modo stressante come la politica e l’arte dell’allusione.
A noi questo non bastava e non penso che basterà ai tifosi juventini. Volevamo un gioco che non s’è mai visto, abbiamo visto muscoli, tanti. Ha preferito interditori olandesi, di classe per carità, come Van Bommel o De Jong ai piedi e al cervello di Andrea Pirlo. Non è chiaro chi fra lui e Galliani decise di non trattenerlo regalandolo di fatto alla Juve, comunque fu peggio di un crimine: ogni volta che ho visto il bresciano orchestrare il gioco dei bianconeri fino a inanellare tre scudetti consecutivi con record polverizzati, a me sono venute le bolle. Credo anche a voi.
Si sono perse le tracce anche di un’altra invenzione estemporanea di Allegri, il trequartista muscolare Kevin Prince Boateng, ballò una sola estate per poi praticamente scomparire nell’apatia del carattere e nel tepore della famiglia. Litigò anche con Ibra, si mise contro i vecchi, finì male tra lui e Gattuso, fu inelegante con Inzaghi e ci sono cose che a Pippo non si negano: significa non cogliere o non capire la motivazione profonda, esclusiva della sua esistenza.
Dice che diventa matto quando uno lo prende per il culo e per questo pensa di stare antipatico a molti, ma non è così. Sta poco simpatico semmai perché aziendalista a prescindere, come un giornalista della Rai. In quanto bandiera per i periodi grigi, in cui non si possono fare sul mercato nemmeno acquisti oculati. Se il suo ciclo al Milan si è chiuso con un fallimento e con l’esonero in corso di stagione non è solo per colpa sua, ma in parte sì: un allenatore di personalità e sicuro delle proprie idee calcistiche si sarebbe tirato fuori dagli impicci prima, non avrebbe vivacchiato sotto coperta nell’attesa che passi la notte.
Ora avrà di fronte anzi di sopra lo stesso Marotta di cui, dopo il gol di Muntari non visto da arbitro e guardalinee , disse “da ora in avanti prima di parlare gli chiederò il permesso in carta bollata, anzi, in carta semplice, non esageriamo”. Ma alla Juventus basta quello che ha per primeggiare in un campionato modesto che resterà tale per anni vista l’aria che tira. Anche senza Vidal, senza il bambi Pogba. Anche senza Conte e con Allegri. L’arma assoluta è un’altra: è lo Juventus Stadium, questo sì davvero fisicamente. L’unica società di calcio che ha potuto farselo in quattro e quattr’otto. Non ci si chiama Agnelli per caso.
Il Foglio sportivo - in corpore sano