Basta lame

Alessandro Giuli

Quando vai in trasferta funziona così: se ti pizzicano da solo, cominciano a filarti (“eccolo, il cane sciolto”), in genere sono in tre, uno si tiene in disparte per verificare se ci sono guardie nei paraggi, o se non sia un abbocco, gli altri due si avvicinano e uno di loro fa: “Che ore sono?”. A quel punto è fatta, capisci che la coltellata sta arrivando.

Quando vai in trasferta funziona così: se ti pizzicano da solo, cominciano a filarti (“eccolo, il cane sciolto”), in genere sono in tre, uno si tiene in disparte per verificare se ci sono guardie nei paraggi, o se non sia un abbocco, gli altri due si avvicinano e uno di loro fa: “Che ore sono?”. A quel punto è fatta, capisci che la coltellata sta arrivando. Non c’è verso di rispondere “due e mezza” imitando in modo credibile il dialetto dei padroni di casa. Per quanto sangue freddo tu possa avere, sai già che un po’ di quel sangue scorrerà. E’ un attimo, e devi sperare che siano professionisti, gente del mestiere che la lama sa usarla. Se è estate potrebbero colpirti di taglio a una gamba (fortuna rara), altrimenti un colpo secco e preciso di punteruolo al gluteo o al fianco, lì dove l’adipe protegge le arterie più delicate, allora puoi perfino non sentire dolore e tutto finisce lì. Se invece ti dice male puoi fare la fine di Spagna, l’ultras del Genoa ammazzato nel 1995 da un pischello milanista soprannominato il chirurgo, perché si vantava di usare il bisturi, ma che in realtà era un dilettante reso omicida dalla paura. C’è anche la possibilità tragicomica che siano i tuoi colleghi a scambiarti per nemico: nella finale di Coppa Uefa del maggio 1991 (Roma-Inter), si sfiorò il fattaccio quando dal “comitato d’accoglienza” romanista, riunito comme d’habitude sotto l’obelisco mussoliniano all’altezza del ponte Duca d’Aosta, tre energumeni si staccarono per circondare due malcapitati, uno dei quali indossava una Fred Perry blu notte con bordini più chiari (gli aggressori, forse daltonici, la presero per una polo interista), l’altro dei quali era soprannominato il Quercia, purtroppo non per via della stazza ma per la capigliatura frondosa che s’accompagnava a uno sguardo ingenuamente commosso, caratteristico delle vittime sacrificali. Alla fatidica domanda (“scusa, che ore so’?”), fu necessario opporre un tonante “nun fa’ cazzate!”.

 

Esiste qualcosa di simile a un protocollo, in materia di coltellata ultras, o pungicata o zaccagnata come usa dire a Roma. I romani in effetti ne sono maestri dentro e fuori lo stadio, qui si ricorda ancora un leggendario accoltellatore laziale che aveva una mano fatata epperò anche il difetto di essere completamente matto. Servì una forza di persuasione inaudita (a) la volta che venne fuori scuola con l’intenzione di svenare un suo collega biancoazzurro con cui aveva fatto baruffa il giorno prima durante una trasferta; o (b) la volta che scambiò un incauto intruso per una guardia infiltrata e se non era per l’intervento di mio fratello (avvertito da un amico presente: “Andre’, stanno per accoltellare tuo cugino”): zac!

 

[**Video_box_2**]Ma anche al nord non scherzano e al sud esistono ancora scuole di malavita dedicate all’arte del pugnale, come in Salento (fuori dai confini si segnalano i turchi, che sono tradizionalisti e usano direttamente la scimitarra, gli inglesi ne sanno qualcosa). I napoletani poi non ne parliamo; anzi sì, dobbiamo parlarne per forza visto che due giorni fa hanno accoltellato il secondo romanista, ma non allo stadio e non in occasione d’una partita di calcio. Rodolfo l’hanno pungicato alla stazione, Federico davanti all’albergo in cui faceva l’aiuto cuoco. Gli ultras partenopei lo fanno per vendicare Ciro, uno dei loro morto sparato a Roma prima della finale di Coppa Italia. “Questa è per Ciro”. Zac! Nel giro, sopra tutto fra i laziali, lo si sapeva da prima che accadesse: alla prossima stagione le guardie non consentiranno alle tifoserie rivali d’incontrarsi, sicché i napoletani vogliono trasformare la loro città in un grande stadio San Paolo aperto h24 dove andare a caccia di giallorossi, anzi di “romani”, come dicono loro. Non importa se sei lì per cazzi tuoi né quanto tu sia militante: quando un napoletano dice facimm o’ bordell non scherza mai. Se poi capiscono dai tatuaggi che sei un ultras, rischi di fare la fine di quell’interista che nel ’91 stramazzò in una discoteca di Rimini con un cacciavite nel cuore (ne nacque un lugubre coro in Curva B: “Rimini Rimini Rimini Rimini Rimini / c’avete un morto voi / l’abbiamo fatto noi”). A proposito, sempre nel giro ultras si consiglia molta attenzione nelle discoteche estive, e addirittura è possibile che i napoletani vogliano allargare il loro San Paolo tutt’intorno al Raccordo anulare. Brutta storia, roba da rimpiangere la lealtà di bergamaschi e veronesi, che menano tanto ma sempre a mani nude. E’ rimasto celebre un vecchio striscione degli orobici, “Basta lame, basta infami”, che però ha finito per ispirare la nascita d’un gruppo di accoltellatori romanisti (Bisl: Basta infami, solo lame). Il guaio è appunto questo: in assenza di una moratoria sulle armi, malgrado le guardie (Digos) si affannino a circoscrivere le dimensioni del problema, tra romani e napoletani può presto succedere di peggio ancora. Servirebbe l’intervento dei veterani dell’uno e dell’altro fronte, se non di tutte le maggiori curve italiane, ma chi li ascolta più?

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