Millennium angels
Ma quando arrivano le ragazze?, si chiedeva Pupi Avati in quel film autobiografico sul se stesso aspirante musicista, e però adesso che le ragazze sono arrivate davvero, è proprio il loro essere ragazze la cosa a cui gli osservatori (uomini) inchiodano almeno inizialmente la loro presenza.
Ma quando arrivano le ragazze?, si chiedeva Pupi Avati in quel film autobiografico sul se stesso aspirante musicista, e però adesso che le ragazze sono arrivate davvero – al governo da ministri e alla conduzione televisiva in prima serata (su Rai 3, con “Millennium”, il martedì alle 21, e prima ancora a La7 con “Announo”) – è proprio il loro essere ragazze la cosa a cui gli osservatori (uomini) inchiodano almeno inizialmente la loro presenza. E’ capitato a Giulia Innocenzi: le critiche televisive paternaliste, pur lodandone il piglio, non dimenticavano di ricordare il fatto che fosse comunque la “ragazza” formata alla “scuderia santoriana”, quella che “per esperimento” prendeva “il posto di Michele Santoro”, come se la “ragazza” non potesse essere descritta a prescindere da un fondatore-demiurgo di format. E capita a Mia Ceran, Marianna Aprile ed Elisabetta Margonari, le tre conduttrici di “Millennium”, uscite dalla loro prima puntata, il 15 luglio, con lodi al piglio (pure loro) ma con l’immancabile cascame di commenti ancora più paternalistici sulle “ragazze” che stanno “al posto” del Giovanni Floris volato a La7 (e pazienza se la trasmissione era stata pensata quattro mesi prima che Floris se ne andasse, ché la dietrologia sul tempismo ormai è scatenata). Ecco le “fanciulle in Floris” (il Fatto), ecco “Il tacco 12” che “non basta” al “Millennium” (il Corriere), ecco i paragoni con Ilaria D’Amico e con Lilli Gruber e con le Charlie’s Angels (si attendono quelli con Lucia Annunziata, con le Winxs e, perché no, con le fatine della Bella Addormentata nel Bosco). Ecco, in ben due quotidiani, il parallelo tra il clima a “Millennium” e il “tono” da premio Strega – e a quel punto tutti i non habitué del premio Strega sono rimasti con un palmo di naso, cercando di indovinare che cosa mai potesse avvicinare lo studio-ring di “Millennium” al Ninfeo di Valle Giulia ingombro di scrittori e non scrittori intenti al buffet. Non il Matteo Salvini ospite a distanza, evidentemente, assai inviperito all’idea che un sostenitore di Forza Italia potesse versare mille euro per sostenere il Cav. – mille euro? se faccio io una cena del genere mangiamo in tre, diceva scurissimo in volto. E neppure l’ipergrillino Dario Fo che, brusco con le conduttrici (“non ho capito la domanda”), difendeva oltre ogni umana ragione la “chiarezza” di pensiero del Beppe Grillo tramortito dal cambio di linea nella Casaleggio & Dissociati, dove l’uno vale uno finalmente fotografa la quantità di correnti interne al M5s. Saranno più da premio Strega la signora Marella Giovannelli in video dalla Sardegna con Elisabetta Margonari o Vittorio Zucconi sereno in studio con Mia Ceran e Marianna Aprile?, dev’essere stato l’interrogativo. E se Aldo Grasso concedeva il beneficio del dubbio alle tre “non ideologiche” ragazze che non possono, come il loro talk, “essere giudicate dalla prima puntata”, Repubblica, a firma Antonio Dipollina, scandagliava “lo psicodramma” del “dopo-Ballarò” (addirittura). E meno male che, su Europa, Stefano Balassone le aveva preventivamente lanciate oltre l’ostacolo dell’etichetta “ragazze”, le ragazze, profetizzando una riscossa in chiave peplum: in tv scatterà “il dominio di Lisistrata”, scriveva il 16 luglio, alludendo “all’eroina antimaschilista di Aristofane” che colmerà “la vecchia disparità di genere, anzi ribaltandola, e non per una sola estate” (tiè, devono aver pensato tra sé e sé le conduttrici, dopo una giornata in cui persino i commenti sullo share della prima puntata – 3,96 per cento – erano stati letti dalla critica in chiave di paragone con un nemico-uomo schierato sull’altra rete: l’Enrico Mentana che aveva “opposto” alle “ragazze”, così si scriveva su vari giornali e blog e siti, “lo speciale su Matteo Renzi alla stessa ora”, totalizzando un 3,70 per cento di share). Ma se uno andava a trovarle, le “ragazze”, nel gran bailamme del giorno dopo e nella piccola redazione ereditata da “Gazebo” in quel di Prati, a pochi passi dal bar “Vanni”, nella calura da siesta, in cima a una rampa di scale, tra scatoloni e vecchi set da fonico e stanzette-loculo, non trovava eco del polverone sul loro conto e sull’età della conduttrice più giovane, Mia Ceran, ventisettenne convinta che, “se sbagli”, l’essere giovane “non è certo un’attenuante”. Lì, con gli autori e gli inviati chiusi in riunione (le tre sono anche co-autrici), Mia, Elisabetta e Marianna hanno l’aria tranquilla di chi, pur non credendo al miracolo della “concordia da quota rosa”, come dice Ceran, ha trovato “una bella sorpresa a livello umano: siamo state tutte e tre incaricate di un compito più grande di noi – lo sapevamo, lo sappiamo. Poteva andare male anche tra di noi. Ma ci siamo buttate insieme, con lo stesso tipo di atteggiamento sul comune obiettivo: fare una cosa dignitosa – quantomeno, pensavamo scherzando, una cosa di cui non vergognarci. In questo senso abbiamo fatto squadra” (riunioni preliminari in primavera, poi un mese gomito a gomito). Prima del debutto, Ceran, Aprile e Margonari sono andate in “ritiro” per un weekend di relax lavorativo – “come il governo Letta in abbazia”, ha commentato un’amica. Marianna Aprile, che nella vita fa la giornalista a Oggi, ha trovato “molto divertente” trovarsi a lavorare (e chiacchierare) “con le due facce” che vedeva sempre la sera prima di addormentarsi (nel caso di Margonari, cronista al Tg3 e volto della rassegna stampa di “Linea notte”) e al risveglio (nel caso di Ceran, volto di “Agorà” da settembre a giugno, con il “moviolone” della giornata politica).
Non si conoscevano, le conduttrici che a “Millennium” sono comparse per l’intervista a tre ad Anna Finocchiaro con vestiti e capelli di colori diversi (rosso con capelli biondi Ceran; bianco con capelli neri Aprile; nero con capelli rossi Margonari – e tutti hanno però guardato le scarpe, da cui, forse, il tacco “12” messo all’indice dal Corriere). E a un certo punto, per una specie di corto circuito psicologico, Anna Finocchiaro, tra una risposta e l’altra su Matteo Renzi, le riforme, il Senato, la legge elettorale, gli ammutinati e i non ammutinati del Pd, sembrava parlare del ministro Maria Elena Boschi per farsi intendere da loro, le “ragazze” giudicate preventivamente in quanto “ragazze”: sì, io sono in Parlamento da tanti anni, diceva la storica senatrice ex Pci-Pds-Ds, e comunque rispetto il ruolo del ministro Boschi, però a volte non posso fare a meno di darle consigli, perché una donna della mia età, se può, dovrebbe fare questo, fare sì che le altre possano giovarsi della sua esperienza, e non riesco a non mettermi nei panni di Maria Elena, giovane oggi com’ero io quando ho cominciato – e mi rivedo, a volte, di fronte agli stessi pregiudizi e alle stesse difficoltà. Forse anche alla stessa ansia, pensa il cronista. Ma nessuna delle tre conduttrici confessa ansia da video, quella che fa pensare ai timidi qualcosa come: “A casa tutte quelle persone in salotto saranno sì distratte, ma sicuramente non distratte nel momento in cui mi sfugge la gaffe, l’incertezza, la stupidaggine”. Ceran al contrario dice di vivere l’accensione della luce rossa da diretta come “una liberazione”: quello che c’è prima, il cambio di scaletta, l’informazione dell’ultimo minuto, il rimuginare dubbioso scompare. Comincia “una specie di circo”, un circo che le piace. Marianna Aprile, per la prima volta in tv non da ospite, dice di sentirsi “paradossalmente rassicurata” dalla diretta: “Le volte in cui sono andata ospite in qualche trasmissione registrata ho fatto un casino”. Margonari al video è abituata, e il collegamento esterno da luoghi di vacanza con sostrato di polemica dal territorio è un lavoro “anche cronistico” (il suo). Nessuna inquietudine per nessuna delle tre: cerchiamo di fare bene per quel che possiamo e di migliorare, è l’idea (Ceran dice che ha tenuto a mente, in questi giorni, il motto da “mamma Tigre” che sua madre, giornalista di stampa estera e origine slava, tiene appeso a casa: “Ever tried, ever failed, fail again, fail better”). Praticamente un inno allo “sbagliando s’impara” che Mia Ceran ha introiettato fin da piccola, quando, dopo i primi due anni in Germania (è nata a Treviri, suo padre è tedesco), passava da un asilo a Belgrado a uno a Miami e da una vita all’altra, sempre cercando di aderire con mimesi perfetta all’ambiente, per conformismo tipico dei bambini (“ora magari è il contrario”, dice). In Italia Ceran c’è arrivata pre-adolescente, con molta voglia di non sentirsi ancora “la straniera”, in pieni anni Novanta e a Roma nord (con conseguente “clash of civilizations”, ha scritto Michele Masneri su IL, tra la Mia “signorina americana” e la Mia ragazzetta della capitale). Meglio “farsi dire no” che non provare per niente, è l’insegnamento di mamma Ceran, motivo per cui Mia non poté sottrarsi, a diciannove anni, alle conseguenze di un suo atto temerario: sulla bacheca dell’Università americana a Roma John Cabot, frequentata da Mia dopo il liceo classico al Lucrezio Caro con tutto il contorno di baretti a Ponte Milvio e fidanzatino e gruppo di amici finalmente stanziale, era comparso un annuncio anonimo per uno stage: “Lavoro redazionale” non retribuito per studenti “dell’ultimo anno” di “Scienze politiche”. Mia però studiava Economia (con borsa di studio) ed era al primo anno. Telefonare o no?, si era chiesta. In un attimo di incertezza, aveva pensato persino di buttare quel biglietto, pur tentata dall’esperienza lavorativa (non aveva molta voglia di fare una vita da “pre-pensionata studentessa”, forse perché, abituata all’approccio anti bamboccione della parte di famiglia di stanza negli Usa, non concepiva l’idea che uno potesse restare a casa oltre l’esame di maturità). Intervenne a convincerla (alla telefonata) la mamma-tigre, e Mia finì in una redazione Cnn con lo status di stagista “on call” sette giorni su sette, con il compito di assistente producer (si faceva tutto ciò che serviva al giornalista titolare per andare in video senza fatiche di Ercole: si cercavano contatti, location e persone da intervistare. Se poi trovavi qualche storia interessante, buon per te). Nemesi ha voluto che la redazione Cnn si trovasse proprio davanti all’attuale redazione di “Millennium”, visibile dall’abbaìno dove inviati e autori confezionano la seconda puntata. Si capisce che l’educazione “tigre” ha pre-estirpato in Mia Ceran, ove presente, la paura di essere troppo risoluta o troppo sicura (in studio dà e toglie la parola senza salamelecchi, si muove con falcate, fa battute, non sembra pensare “che ci faccio qui?”, sorride raramente).
Fu nel ruolo di ultima ruota del carro alla Cnn, comunque, dopo aver superato un colloquio in cinque lingue, serbo-croato compreso, che Mia si ritrovò al Circo Massimo, in una camionetta traballante per gli involontari colpi di giubilo dei tifosi, la sera della vittoria dell’Italia ai Mondiali del 2006, con l’operatore italiano in lacrime e un’euforia da primo-lavoro non più ricacciabile. Da quel momento, infatti, e nonostante la laurea in Economia nel frattempo conquistata, il suo lavoro fu quello, sempre passando per estati senza vacanze (“pensavo: è quando gli altri si rilassano che si aprono le opportunità”). Vennero sostituzioni estive al Tg5, poi “Matrix” con Alessio Vinci, “L’Aria che tira” a La7 con Myrta Merlino e “In Onda” con Luca Telese, sempre su La7. E se Mediaset è stata per Mia “un’altra mamma”, La7 è stata la “palestra”, con pezzi “da otto minuti allo sbaraglio, ore di montaggio” e la giovane età mascherata in eccesso per avere un’aria più autorevole (la voce aiuta), ma anche forse per la vecchia abitudine alla mimesi (colleghi e amici più grandi pensavano Mia avesse la loro età, e strabuzzavano gli occhi davanti alla data di nascita: 1986). L’endorsement inatteso arrivò l’estate scorsa, via Carlo Freccero: questa giornalista “è seria e preparata, sembra una di quelle donne francesi che o ti uccidono o ti amano, fatela sedere in studio”, aveva detto un po’ scherzando e un po’ no durante una puntata di “In Onda”. Seguì una chiamata da Rai3 mentre Mia era su un molo del Bosforo per una collaborazione estiva. E certo ora non c’è più bisogno di aumentarsi gli anni, dopo un inverno di albe folli ad “Agorà” (Mia scendeva di casa all’ora in cui il fornaio Farouk apriva il suo forno al centro di Roma). Né sembra esistere più l’ex “signorina americana”, se non “nel fatto di sentirsi un po’ apolide politica” (di tendenza obamiana quando Obama era Obama – ma a volte Mia si è definita “thatcheriana di sinistra”). Non c’è più l’adolescente che passava tre mesi d’estate tra Seattle e Miami, quasi dimenticando l’italiano, facendo la vita yankee dei suoi cugini e ogni tanto impazzendo un po’, come quando, quattordicenne, in vacanza a Cuba con la madre, decise che, quelle settimane, avrebbe fatto l’esperienza amatoriale da trapezista acrobatica (con lancio in volo), provata in loco con un gruppo circense caraibico. Seguirono vari spettacoli (per hobby) e vari propositi – poi abbandonati – di tornare sul trapezio, sempre per hobby ma con determinazione lì per lì “da invasata”.
Gira che ti rigira, le tre conduttrici di “Millennium” sono talmente diverse come registro e come indole, che quelli che cercavano di indovinare le possibili rivalità sottese al momento brancolano nella mancanza di materiale. Marianna Aprile, la conduttrice che prende gli ospiti dal lato “del carattere”, studia la reazione “emozionale” dietro al fatto politico e dal tavolo dei sondaggi, in studio, interviene con circospezione, dice che quello della possibile rivalità reciproca è un pensiero dell’altro mondo, per lei. Non timida in senso tradizionale, ma neppure mondana (“non sono donna di relazioni”, dice), alla vigilia della prima puntata pensava di se stessa, tra il serio e il faceto: “Ma perché nessuno mi ha fermato?”. Per “Millennium”, Marianna ha lasciato momentaneamente (e solo fisicamente: continua a lavorare a distanza per Oggi) la Milano dove si è trasferita otto anni fa, seguendo l’allora fidanzato e l’opportunità di una sostituzione in una rivista di yacht & motori – roba che, a raccontarla, pare quasi di trovarsi nel film “Notting Hill”, quando Hugh Grant millanta un lavoro a “Cavalli & segugi”, rivista immaginaria di caccia, per intervistare una Julia Roberts nel ruolo autobiografico dell’attrice di Hollywood. Marianna, che fino ad allora si era occupata di cronaca, gossip e quel che capita nel service giornalistico “Vespina” di Giorgio Dell’Arti, si ritrovò a improvvisarsi collaudatrice di motoscafi a Porto Cervo (per fortuna, in tempi meno grami di quelli attuali, l’invito degli armatori si estendeva su un periodo di almeno tre giorni). Figlia di giornalista (Pino Aprile), Marianna non voleva fare la giornalista, o forse non voleva darla vinta a quelli che fin da piccola, visto l’interesse per le storie da raccontare, non vedevano altro che il giornalismo nel suo futuro. Ancora oggi, sul suo blog, Marianna si definisce “giornapologa antropolista inutilmente multitasking”. Tradotto: laurea in Antropologia culturale, iniziali vaghi propositi di master internazionali, esperienza con un gruppo di immigrati albanesi presi da devozione identitaria per una Madonna itinerante (ma musulmani) e un lavoro fisso all’Einaudi, presto abbandonato. Che faccio ora?, si era chiesta Marianna nel momento linea d’ombra tra laurea e futuro impiego, rispondendosi con un “non so” colmo di smarrimento, appena tacitato dall’invio compulsivo di curriculum. La sua notte dell’Innominato arrivò di giorno, a Roma, a due passi dal binario uno della stazione Termini, da cui Marianna doveva partire per un colloquio importante. Fu in quel momento che la chiamò per un altro colloquio proprio Dell’Arti, a cui nel frattempo era arrivato il suo curriculum. In dieci minuti Marianna pensò, ripensò e decise di voltare le spalle al binario, per riprendere l’autobus 64 e sbarcare nella sede di “Vespina”, in via del Plebiscito: una specie di labirinto ricolmo di scartoffie sopra cui giravano senza posa pale di ventilatore. Lì, senza mai confessare ai genitori di essersi avviata proprio al mestiere cui molti la vedevano destinata (lavorando in un service giornalistico, non aveva la firma a tradirla), Marianna passò i primi tre mesi a scegliere “che cosa salvare dai giornali di oggi”, a guardare Dell’Arti che scriveva “abstract” o correggeva gli “abstract” altrui (“troppi punti, troppe virgole, frase involuta”). Dopodiché, dice, “era pronta per imparare sul campo” (cinque anni a Vespina). La svolta è arrivata dopo la parentesi nella stampa nautica, con Candida Morvillo come direttore a Novella 2000. Marianna fece molti scoop di politica e gossip e mise letteralmente le tende a via Gradoli (caso Marrazzo) e, più avanti, una volta passata a Oggi, davanti a un palazzo di Genova (sulle tracce di Ruby). Ma fu l’intervista esclusiva alla signora Schettino, moglie del comandante della Concordia, a lanciarla nel panorama delle “ospitate” televisive.
Milano è per lei un amore recente, nonostante gli otto anni di permanenza al quartiere Isola e la non nostalgia per la Bari delle origini o per il suo Bildungsroman a Frascati. I primi tempi, come tutti i romani trapiantati sotto alla Madunina, si lamentava (“oh come mi manca Roma”). Poi, come per tutti i romani trapiantati sotto la Madunina, è accaduto il contrario (“oh come mi manca Milano”, dice infatti Marianna in questi mesi nella capitale). A “Millennium” Marianna cura la dimensione umana che sta dietro ai protagonisti della politica, mentre Elisabetta Margonari, con approccio cronistico, dovrà girare l’Italia (è già stata a Porto Rotondo, ora si dirigerà al nord). Si è visto, durante la prima puntata di “Millennium”, quello che vuole fare Elisabetta: la giornalista da “suole consumate” e taccuino, che trova notizie e fa domande. Come Mia Ceran, Margonari viene da Roma nord, come Marianna Aprile non pensava neanche lontanamente di fare la giornalista: con un padre ingegnere, ha intrapreso gli studi di architettura con cocciutaggine (e struggimento negli anni di indecisione e nella terra di mezzo tra studio e giornalismo). Fino a che un caporedattore di Rai3, nell’estate in cui Elisabetta approdò a un colloquio per una sostituzione di super emergenza, le disse parole capaci di liberarla dai residui sensi di colpa: vabbè, non disegnerai le città, vorrà dire che le racconterai. Per il pubblico che a tarda sera si sintonizza su “Linea notte”, Margonari è quella che legge i titoli dei giornali del giorno dopo (anche interpellata dal conduttore Maurizio Mannoni per fatti politici dell’ultima ora). Per gli invitati in studio, Margonari è invece lo sguardo severo ma rassicurante durante la pubblicità: si capisce che ha capito quello che hanno detto (e non è poco, per un imbarazzato dello schermo). E se a un certo punto della sua vita un futuro da urbanista le pareva cosa certa, la realtà la portò invece a ripiegare su un lavoretto in una radio privata, al tempo in cui ancora c’erano i gettoni (“oh, io sono di un’altra generazione”, dice la quarantenne Elisabetta alle compagne d’avventura). “In linea con un gettone”, si chiamava la rubrica di colloquio radiofonico con gli ascoltatori in quei giorni lontani: una delle tante occupazioni dell’esordiente Margonari, buttata a riferire di eventi di ogni tipo e poi producer in una radio tedesca, ufficio stampa in istituzioni locali, con esperienze a Radio Capital e Italia Radio, infine cronista a “Primo piano”. La cronaca politica è arrivata dopo, per volere del direttore del Tg3 Bianca Berlinguer. Abituata alla vita di Transatlantico, Elisabetta a Porto Rotondo intervistava imprenditori, dame e varia umanità al bar con aria impassibile, uscendo anche in ologramma dallo schermo per la domanda ad Anna Finocchiaro. Non si aspettava la chiamata a “Millennium”, Elisabetta, che come le colleghe non si ritiene ansiosa (“non potrei fare televisione, sennò”, dice in un mondo di ansiosi cronici che la metà basta). Il giorno dopo il debutto, Margonari è comparsa in redazione con il suo cane-femmina dal pelo nero-nero quasi lucido (“si chiama Iko, il nome di una giapponese amica di famiglia: da bambini, per via del portamento regale e di quei capelli scuri quasi lucidi, ci sembrava una principessa”). Il quadrupede dorme alternativamente sotto i piedi di avventori e “ragazze” di “Millennium”, guarda tu senza tacchi – e chissà che cosa direbbero i critici se le vedessero andare in onda con quelle ballerine.
Il Foglio sportivo - in corpore sano