Benefici di un'assoluzione
Aria nuova in casa Cav., nessuno pensa all'eredità e tutti a fare le riforme
La triangolazione con Renzi, il patto. La “vittoria delle vittorie” sarà rifare giustizia. Svanisce la temuta diaspora. Minzolini a più miti consigli
L’effetto della sentenza Ruby “è che si respira. E’ finita la corsa all’eredità di Berlusconi”, dicono gli amici di Arcore, mentre lui, il Cavaliere, torna a concentrarsi sulle manovre della politica, sulla triangolazione con Renzi, sulle riforme appena arrivate in Aula in Senato, sul posizionamento di Forza Italia nel mercato del consenso, e alterna eccessi d’ottimismo (“potrei tornare a candidarmi”) a pensieri più cauti, d’orizzonte e di prospettiva: “Nel partito dobbiamo cambiare tutto. Dare un senso di freschezza e novità”.
Nei giorni scorsi, prima dell’assoluzione in Appello, nel nido delle aquile d’Arcore s’erano fatti calcoli e piani, s’era immaginato lo scenario più fosco e ciascuno dei consigliori del Cavaliere aveva approntato un piano per arginare gli effetti di una possibile condanna, dentro e fuori dal partito. Il problema era stato inquadrato con brutalità persino: “C’è chi pensa di poterti sostituire. Di prendersi la baracca”, avevano spiegato al corrucciato Berlusconi. Dopo la tumultuosa riunione dei gruppi parlamentari di mercoledì tutto il peggio sembrava possibile. Denis Verdini aveva anche considerato il rischio di una scissione, di un tradimento da contrastare, una migrazione di senatori e deputati, un po’ verso il Nuovo centrodestra di Alfano un po’ verso il gruppo misto. S’era persino immaginata la costruzione d’un manipolo di fedelissimi, opliti berlusconiani stretti in Parlamento attorno al capo. E dunque si erano approntate contromisure per tenere fermo il blocco a sostegno del patto del Nazareno e delle riforme. Manovre acrobatiche, calcoli ardimentosi.
Ma lo scenario si è ribaltato con la sentenza, e al di là delle più rosee previsioni. “Oggi c’è più Berlusconi di ieri. Le redini gli sono tornate in mano”, spiegano al Foglio. I gruppi parlamentari tengono botta, il tramestio non è esploso in aperta ribellione. Al contrario. “Chiedere modifiche sulla riforma del Senato non significa voler sabotare le riforme”, dice Augusto Minzolini al Foglio. E insomma vento tiepido spira da tutte le parti. Berlusconi ha ricalcolato i numeri dei cosiddetti dissidenti, si tratta di una fronda più che accettabile, persino utile, se è vero – com’è vero – che il Cavaliere pensa sia necessario recuperare un po’ di autonomia pur restando all’interno d’una logica di collaborazione con il governo e con il presidente del Consiglio. Le riforme si faranno, tutte, “saremo persino supini”, dice con sintomatica ironia un vecchio amico del Cavaliere, “ma così otterremo la vittoria delle vittorie: la riforma della giustizia, quella che Renzi ha detto di voler discutere punto per punto con Berlusconi”.
E insomma l’ottimismo di Arcore è contaggioso, si diffonde dall’alto della villa fin giù, nei corridoi del Palazzo romano. C’è chi sostiene che oggi salterà anche il voto sull’arresto di Giancarlo Galan. Chissà. Ma il motore politico del berlusconismo pare si sia rimesso in moto. “Il centrodestra è maggioranza nel paese”, dicono nel partito, “ma abbiamo bisogno di recuperare i nostri temi. Giustizia, tasse, immigrazione…”. E dunque si parla di leadership, di contenuti, Renato Brunetta ha preso sul serio l’incarico di “elaboratore” d’una politica economica alternativa a quella di Pier Carlo Padoan. Si riallacciano persino disordinati contatti con i pulviscoli del centrodestra esploso: con Angelino Alfano, con Pier Ferdinando Casini, con Ignazio La Russa e Giorgia Meloni, con Matteo Salvini che Berlusconi aveva pensato d’incontrare anche pubblicamente, salvo poi ripensarci perché non era ancora il momento. “Ma devono essere loro a cercare noi”, è la versione degli amici di Verdini, una voce che adesso s’è fatta più forte tra le mura del Castello.
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