La war room di Putin
Il leader russo collabora a livello internazionale, ma ai suoi spiega la vera strategia. “Ci chiedono di esercitare la nostra influenza” sui filorussi in Ucraina, “faremo tutto il possibile”, dice il presidente russo. Le difese della Crimea saranno aumentate, la dipendenza economica “da fattori negativi esterni” sarà ridotta.
Milano. “La Russia oggi non subisce una minaccia militare diretta”. Vladimir Putin convoca il Consiglio di sicurezza, la sua “war room”, sotto l’occhio delle telecamere, in quello che appare un complesso tentativo di tranquillizzare e mobilitare nello stesso tempo, di tracciare una complessa rotta di manovra dopo che la tragedia del Boeing malese ha portato la crisi ucraina a un punto di non ritorno. I separatisti hanno reso i resti delle vittime e le scatole nere – che, secondo gli esperti internazionali, non portano segni di manomissione che ci sarebbero, invece, sui rottami del velivolo – nell’ultimo momento utile per evitare alla Russia un round di nuove sanzioni. E il capo del Cremlino ribadisce la sua disponibilità a collaborare. Anzi, per la prima volta ammette di avere un filo diretto con le milizie nell’est ucraino: “Ci chiedono di esercitare la nostra influenza, faremo tutto il possibile”.
La retromarcia diplomatica era iniziata domenica, quando dopo una sequenza di telefonate con i leader occidentali Putin ha registrato un messaggio di condoglianze e garanzie di cooperazione. Un video girato in fretta e furia, senza trucco, all’una di notte, in tempo per mostrarlo a Obama. Lunedì sera poi la Russia, per la prima volta dall’inizio della crisi, ha aderito a una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu, rinunciando per di più alla propria bozza e votando per quella australiana, che chiede di “punire i responsabili” del disastro. Unica modifica di Mosca: sostituire la parola “abbattimento” con “caduta”, mentre invece ha dovuto mandare giù l’esplicita menzione dei “gruppi armati” ai quali viene intimato di non intralciare le indagini.
Una svolta che Putin probabilmente non poteva non compiere, per non rovinarsi per colpa di ribelli che intanto occultavano le scatole nere e lasciavano i corpi delle vittime per tre giorni nei campi, esposti al sole e allo sciacallaggio. Ma doveva spiegarla, e così ha convocato un Consiglio di sicurezza nazionale la cui data e argomento, contrariamente alla prassi, sono stati annunciati prima: nientemeno che “la tutela dell’integrità territoriale”. Che non è immediatamente a rischio, “grazie all’equilibrio strategico” dell’arsenale nucleare. Ma la Russia reagirà “adeguatamente” all’estensione della Nato e della difesa anti-missile statunitense che “non è difensiva, è un sistema di attacco americano”. Tra i primi obiettivi, rinforzare le difese della Crimea e rendere l’economia meno dipendente da “fattori esterni negativi”.
Un discorso duro, ma non troppo per i parametri di Putin, anche se non sono mancate invettive contro Kiev (riesumata l’accusa di “neofascismo” da tempo abbandonata dal Cremlino) e l’occidente che promuove “le cosiddette rivoluzioni colorate, in altre parole colpi di stato” in paesi “deboli”. Ma ci sono stati accenti inusuali, come l’appello alla società civile (dopo aver firmato poche ore prima una serie di leggi restrittive verso i media e internet), mentre il segretario del Consiglio Nikolai Patrushev ha espresso l’idea inaudita di “ascoltare l’opposizione che spesso ha buone proposte”.
Insomma, una manifestazione del “Putin lunare”, per usare la terminologia di Alexandr Dugin, il guru geopolitico del Cremlino che spiega il suo licenziamento a sorpresa, qualche giorno fa, dall’Università di Mosca con la natura bipolare del presidente. La parte “solare” confabula con santoni ortodossi e annette la Crimea, quella “lunare”, meno mistica, è costretta a tenere conto di dossier più pragmatici come il gas e l’economia colpita dalle sanzioni. Una teoria esoterica che però coglie il dilemma secolare degli zar russi: in un sistema verticale, senza opposizione, Parlamento vero, media indipendenti e tutti i check and balances di una democrazia, sono costretti a confrontarsi schizofrenicamente con se stessi, e l’oggetto della lotta politica diventa piegare dalla propria parte il capo supremo. Con Putin i falchi hanno quasi sempre prevalso sulle colombe, come ha constatato Alexei Kudrin, l’ex ministro del Tesoro considerato il liberale più vicino a Putin, in una lunga intervista all’agenzia statale Itar-Tass: “Molte forze vorrebbero l’isolamento e sono colpito dal livello della retorica antioccidentale”. Ma, avverte, “il business vuole invece lavorare, investire e commerciare ed è molto preoccupato”. La rottura con l’occidente, secondo Kudrin, costerà ai russi il 15-20 per cento in meno di redditi, tra inflazione, recessione, maggiori spese militari e nuove tasse, dopo tre lustri di semi-vacanza fiscale. Le prospettive di ripresa sono minime senza riformare con “elezioni aperte e trasparenti” un sistema politico “troppo arretrato”.
Un ragionamento “lunare” nel suo pragmatismo. Il problema però è che per fare carriera, con una nomenclatura consolidata dopo 15 anni di putinismo, bisogna farsi notare dal Putin “solare”, come si è visto in Crimea dove politici sconosciuti, deputati di serie B, spin doctors senza curriculum e ufficiali ambiziosi sono diventati in pochi giorni le star del regime. La scommessa è stata subito rilanciata a Donetsk, e anche nella vicenda del Boeing i più aggressivi e complottisti sono stati i ranghi medi e bassi della politica, mentre i vertici – probabilmente sapendo come erano andate le cose – hanno prudentemente dato all’Ucraina solo una “responsabilità morale”. Ma, scrive Vedomosti, “la popolarità interna si guadagna con mosse che aumentano l’impopolarità della Russia nel mondo”. E così la gara è a chi la spara più grossa, con il presidente autoproclamato della inesistente “Nuova Russia” Oleg Zariov che spaventa il Cremlino con l’imminente invasione di 800 mila ucraini armati dalla Nato: “Come la Germania nazista”.
Un delirio che però trova riscontro tra quelli che, mentre la diplomazia russa abbassava i toni, inviava ai separatisti i razzi multipli e poi i missili anti aerei. Il mondo, Obama in testa, preme su Putin, attribuendogli il potere esclusivo di intervenire. Ma in Russia il presidente non è solo costretto a dividersi in due, è anche conteso dai “solari” e “lunari”, in un sistema dove i primi sono di solito in vantaggio sui secondi, anche perché non si stanno giocando la reputazione e il business all’estero.
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