Mauro Rostagno

La gogna non sorride mai, mai, mai

Giuliano Ferrara

Ci sono dei lieto fine giudiziari, se Dio vuole, non a mezzo stampa e tv. Qui l’impunità regna sovrana, e i casi di onesta rivisitazione del malfatto sono rari come le mosche bianche. Meno premi e più responsabilità

La storia raccontata da Adriano Sofri nel suo libriccino Sellerio, che dovrebbe entrare nelle scuole al posto magari di testi contemporanei più andanti e generici, è una storia tristissima, funesta, la storia di un omicidio di mafia rimasto impunito per ventisei anni, ma è anche una storia a lieto fine, perché come vedete dalla recensione di Franca Fossati al termine della vicenda si è rivelato che, per dirla con Sofri e sempre parafrasando il motto di Churchill sulla democrazia come sistema, il processo è il peggior modo di fare giustizia all’infuori di tutti gli altri. La verità ultima è sempre nelle braccia del Signore ma la calunnia è interamente nelle nostre mani; e così il depistaggio per incuria, per partito preso, per malizia, per pregiudizio culturale, per odio politico e per altri non encomiabili motivi. L’ergastolo è un residuo di atrocità che in un certo senso, molto e solo metaforico, fa la sua gara disumana con la pena di morte per come noi europei di oggi la disconosciamo; ma è il sigillo di una condanna che libera dal peso del sospetto e dell’inimicizia odiosa chiunque, e tra questi amici e cari di Rostagno assassinato, ne sia stato ferocemente e ingiustamente oppresso per alcun tempo (interminabile).

 


Lieto fine di una storia infelice e assassina, dunque, intinta per anni nel calamaio della calunnia. Con gli strumenti della giustizia più fuori controllo del mondo occidentale. Bisogna però riflettere: il finale edificante non riguarda la gogna mediatica. La verità giudiziaria, per povera che sia, è alla fine alla portata di qualche borsa, di qualche battaglia tenace, di qualche minoranza che non ci sta, di qualche eroe civile come il giudice Pellino e i suoi periti di Corte d’assise d’appello così bene raccontati da Sofri nel libro pieno di curiosità mesta e sorridente dedicato a un pazzo del villaggio che l’antimafia non la celebrava ma la faceva nella piazza televisiva di Trapani, in uno dei cuori pulsanti di cosa nostra.

 

L’Italia, paese che amiamo, pullula di festival e premi di giornalismo. Sono spesso occasioni gradevoli di intrattenimento narcisistico per la corporazione, e per i creduloni che non le chiedono conto dei suoi meriti e demeriti, limitandosi a celebrarne il fasto mondano e il potere sulle coscienze collettive. Forse è venuto il momento, per i giornalisti e per chi esercita il mestiere della pubblicistica a qualunque titolo, nei giornali e nelle televisioni e alla radio e nei social media, di abbassare la cresta delle ambizioni e  delle illusioni. Non è possibile che si scrivano e trascrivano impunemente, comprese le performance video e audio e in rete, puttanate come la Terra dei fuochi, come il caso Ruby con le sue mille stelline luccicanti, come la trattativa stato-mafia, come l’agenda rossa, come l’orrore giudiziario intorno alla strage di via D’Amelio, come il mancato arresto di Provenzano, come l’uranio arricchito del Niger, tutta una squallida gomorra di cazzari a paletta, senza porsi il problema delle conseguenze, e anzi intignando, insistendo oltre ogni limite di buonsenso e di buongusto a credersi agenti o soggetti eroici di un contropotere.

 


La stampa è un potere tra gli altri. I poteri e i contropoteri sono molti, in una democrazia rappresentativa di tipo liberale, fanno perno sulla pluralità degli editori come sulla pluralità dei partiti, sulla natura costituzionale delle diverse istituzioni di controllo, magistratura compresa, sui diritti sindacali e su quelli alla proprietà e alla libera impresa, e il grado di salute etica e politica e civile di una società non si misura dall’urlo giustizialista, dalla propalazione del pettegolezzo calunnioso in forma di accusa ai governanti o ai povericristi che malcapitano, a qualunque rango appartengano, nella macchina dell’informazione deviata che si sente a schiena dritta.

 

Nel caso di Rostagno, il compianto Giuseppe D’Avanzo, da me tirato in ballo per coinvolgere in un esame di coscienza gesuitico, dunque serio, i suoi eredi e continuatori, si scusò per la sua prosa corriva e inveritiera, ispirata da fonti che a leggere il libro di Sofri si capisce quanto in sé autorevoli per un cronista. Onore alla sua memoria, onore che Sofri per altro gli tributa. Ma per il resto, senza fare di tutt’erba un fascio, senza discriminare in base alla contiguità civile e politica, che facciamo? Fa sensazione che si chieda un atto di contrizione a chi è professionalmente vissuto di olgettine, a chi ha alimentato e alimenta un clima non proprio compassato di eccitazione guardona e molto impudica a scopo di repulisti morale e politico. Dovrebbe fare sensazione, al contrario, il freddo cinismo di chi persevera.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.