La trattativa di Gaza
La proposta di Kerry non convince Israele. E si profila un nuovo fronte
Un altro round di negoziati fallisce, il messo di Obama torna con solo 12 ore di tregua. Si lavora su una “tregua di sette giorni”
Milano. Il segretario di stato americano, John Kerry, ha detto in serata che il gabinetto di sicurezza d’Israele ha rifiutato la proposta di cessate il fuoco vergata dalla delegazione americana e dagli altri mediatori radunati al Cairo Israele nega di aver mai rifiutato l’accordo. In conferenza stampa Kerry ha proposto uno stop di 12 ore delle ostilità, dicendo che “stiamo lavorando a una tregua di sette giorni”, nella speranza di un cessate il fuoco duraturo a Gaza. E' stata una giornata di sforzi estenuanti. Viaggi di diplomatici, incontri di delegazioni nelle capitali arabe e conferenze stampa rimandate di ore hanno scandito frizioni e disaccordi. Nella capitale egiziana, Kerry e il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, assieme ai mediatori egiziani, hanno rinviato di ore l’incontro con i giornalisti e passato la giornata al telefono con Gerusalemme e Doha.
La giornata si è aperta con un viaggio a sorpresa del ministro degli Esteri turco, Ahmet Davutoglu, in Qatar per discutere con la leadership di Gaza la proposta americana: una rivisitazione della tregua incondizionata proposta dall’Egitto la settimana scorsa. Le relazioni di Ankara con i vertici del movimento islamista palestinese Hamas e le pressioni dell’alleato americano hanno portato il ministro a cancellare una visita già programmata in Francia per sedersi prima a Doha con i funzionari locali e poi con Khaled Meshaal. Il leader di Hamas che risiede in Qatar ha parlato mercoledì, aprendo a una tregua umanitaria ma insistendo sulle condizioni poste dal suo movimento dall’inizio del conflitto, soprattutto sulla fine del blocco egiziano e israeliano su Gaza con la riapertura dei valichi di frontiera. I negoziatori del Cairo e di Doha puntano a far partire un cessate il fuoco prima dell’inizio di Eid el Fitr, festività islamica che coincide con la fine del mese del digiuno sacro di Ramadan, il 28 luglio. Il rifiuto israeliano – forse legato alla volontà dei vertici militari di mettere fine all’operazione soltanto dopo la neutralizzazione del più alto numero possibile di tunnel – e la fermezza di Hamas nell’imporre condizioni allontanano però nel tempo la possibilità di una risoluzione. Il movimento palestinese trova poi un nuovo sostegno: dopo le manifestazioni in suo favore in Iran, giovedì, ha ricevuto il secondo segnale di sostegno in pochi giorni da parte degli sciiti libanesi di Hezbollah. Nonostante le divergenze ideologiche con Hamas a causa dell’appoggio del suo gruppo al regime siriano di Bashar el Assad, il leader Hassan Nasrallah ha dichiarato la vittoria di Gaza su Israele.
Lo sforzo diplomatico è stato complicato dalla situazione sul campo e non soltanto a Gaza, dove il conto delle vittime ha superato quota 800, mentre sono saliti a 35 i soldati israeliani uccisi. Da qualche ora si è aperto anche un altro fronte di instabilità. Circa diecimila manifestanti sono scesi in strada a Ramallah giovedì sera, nei pressi del checkpoint di Qalandiya, che gestisce l’accesso dei palestinesi verso Gerusalemme. Ci sono stati scontri con le forze dell’ordine, l’esercito israeliano ha parlato di colpi di arma da fuoco sparati verso i suoi soldati, che avrebbero risposto uccidendo due palestinesi. I disordini sono arrivati fino a Gerusalemme est e nell'ultimo venerdì di Ramadan, diverse fazioni politiche palestinesi hanno spinto la popolazione a scendere in strada in un “giorno della collera” che ha portato a proteste e scontri con le autorità israeliane in diverse città: quattro palestinesi sono rimasti uccisi e nuove tensioni erano previste dopo la rottura del digiuno.
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