Se il pil globale rallenta e l'Italia resta tramortita
Il Fondo monetario internazionale ha corretto al ribasso le previsioni per l’economia mondiale la cui crescita, nell’anno in corso, dovrebbe attestarsi attorno al 3,4 per cento, un terzo di punto percentuale in meno rispetto all’esercizio previsionale di aprile. Sconcertante la tendenza che rivela il dato sull’Italia, - 0,3 per cento nel 2014.
Il Fondo monetario internazionale ha corretto al ribasso le previsioni per l’economia mondiale la cui crescita, nell’anno in corso, dovrebbe attestarsi attorno al 3,4 per cento, un terzo di punto percentuale in meno rispetto all’esercizio previsionale di aprile. Il contesto di un indebolimento complessivo della congiuntura globale, che lascia dubbi sulla consistenza della debole ripresa occidentale in corso, ha ovvi riflessi negativi sull’Italia, e le ultime stime dell’organizzazione con sede a Washington danno la netta percezione di un’economia nazionale immobile e invischiata nella sua sostanziale stagnazione.
Ma procediamo per gradi. La revisione delle stime globali riflette le seguenti dinamiche. Le economie emergenti subiscono, nel complesso, una correzione, riflettendo il rallentamento del Brasile e del Messico, e la flessione particolarmente marcata della Russia in seguito all’acuirsi delle tensioni geopolitiche e i primi effetti delle sanzioni. Il suo pil è destinato a rimanere pressoché piatto nell’anno in corso rispetto a una precedente attesa di crescita dell’1,3 per cento.
Rimangono pressoché stabili al 7,4 per cento le prospettive di crescita per l’economia di Pechino grazie alle misure di politica economica che le autorità hanno adottato negli ultimi mesi a sostegno della domanda interna.
Fra i paesi avanzati, la crescita dell’economia americana rallenta di oltre un punto, riducendo il suo tasso di espansione all’1,7 per cento. L’abbattimento di oltre un terzo nelle precedenti stime di crescita riflette, in parte, vari fattori eccezionali legati alla passata stagione invernale insolitamente fredda, correzioni legate all’andamento delle scorte, ma anche un rallentamento nelle esportazioni nonché una marcata flessione nella dinamica degli investimenti.
Fra le altre economie avanzate, il Giappone e il Regno Unito accelerano il ritmo di crescita mentre l’Eurozona rimane stabile all’1,1 per cento. La stabilità della previsione per l’area monetaria, tuttavia, cela una sostanziale asimmetria nelle prospettive delle economie che la compongono, asimmetria che è andata ulteriormente accentuandosi rispetto agli ultimi esercizi previsionali.
Da un lato, l’economia tedesca acquisisce ulteriore vigore con un tasso atteso di crescita dell’1,9 per cento (più 0,2 rispetto alle previsioni rilasciate lo scorso aprile); dall’altro, l’espansione del pil francese subisce la flessione di un terzo di punto riducendosi allo 0,7 per cento; mentre la Spagna si conferma su una traiettoria ascendente: il suo pil dovrebbe aumentare dell’1,2 per cento nell’anno in corso.
Il dato sconcertante sull’Italia
Sconcertante la tendenza che rivela il dato sull’Italia, secondo cui l’economia crescerebbe di un mero 0,3 per cento nel 2014. Il dato è in linea con quello divulgato dalla Banca d’Italia nel suo ultimo Bollettino (più 0,2 per cento), ma il rapporto del Fmi consente di inserirlo nel contesto di una prospettiva più ampia.
A livello statistico, l’economia italiana si sta muovendo in netta controtendenza rispetto agli altri paesi periferici dell’Eurozona, come, per esempio, la Spagna. L’analisi delle recenti previsioni del Fmi lo conferma: nello scorso ottobre, la crescita attesa per Italia e Spagna per l’anno in corso era di 0,7 e 0,2, rispettivamente; a gennaio convergevano allo 0,6; ad aprile, la dinamica si invertiva, con il pil italiano la cui previsione di crescita rimaneva stabile allo 0,6 e quello spagnolo che accelerava il ritmo portandosi allo 0,9 per cento. Infine il dato di ieri che polarizza in modo ancora più marcato la dinamica per le due economie: 0,3 e 1,2 rispettivamente, sempre per l’anno in corso.
L’attività economica flebile conferma il ristagno delle prospettive occupazionali e, combinata con la bassa inflazione, peggiora la dinamica del nostro debito, già su livelli di guardia. In queste condizioni, diventa sempre più difficile contrastarne la dinamica sfavorevole a meno di una sostanziale ristrutturazione della spesa pubblica e di una riforma fiscale che dia finalmente ossigeno a consumatori e imprese e uno slancio all’attività produttiva.
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