Hassan Rohani, presidente dell’Iran (foto Ap)

Aspettando la mediazione

Tra Twitter e armi sofisticate l'Iran allunga la sua ala su Gaza

Paola Peduzzi

Colpita una scuola. Teheran fa un endorsement ideologico e militare a Hamas. Con un occhio agli altri fronti.

Milano. “Siamo tutti bambini di Gaza”, gridavano mercoledì alla manifestazione francese a sostegno della causa palestinese contro “la sproporzione” di Israele. “Siete tutti bambini dell’Iran”, aggiunge la leadership di Teheran, in una campagna lanciata sui social media, veicolo prediletto dalla propaganda di qualsivoglia segno. Non si tratta di sermoni ma di tweet, e si sa che la forma conta, soprattutto nel mondo severo degli ayatollah, ma #GazaUnderAttack e #Right2Resist sono gli hashtag che hanno scandito le esternazioni a sostegno di Hamas di Hassan Rohani, presidente dell’Iran (l’account è considerato suo: ha anche pubblicato le foto di quando guardava le partite dell’Iran ai Mondiali seduto in poltrona), e dell’entourage della Guida suprema, Ali Khamenei (@Khamenei_ir non è ufficialmente legato al leader supremo, si pensa che sia gestito da un team di suoi sostenitori: molti media internazionali lo considerano però un buon riscontro del sentimento dell’ayatollah). Contro Israele, contro la sproporzione, contro chi sostiene lo stato ebraico; a favore di un’espansione della resistenza: anche in Cisgiordania bisogna armarsi e combattere.

 

Il rapporto tra Hamas e l’Iran è complesso e altalenante, ma rilevante in questi giorni di guerra, con i razzi che volano su Israele, Tsahal che bombarda a Gaza – ieri è stata colpita anche una scuola, ormai i morti sono più di 700 – i combattimenti nelle vie affollate delle cittadine della Striscia, la tregua gestita da americani ed egiziani che pare innegoziabile ed è in ritardo ormai di due settimane. Se gli uomini di Hamas a Gaza sono tanto forti ed esperti – come dimostra il numero alto di soldati israeliani uccisi – gran parte della responsabilità è dell’Iran. I razzi a lunga gittata che volano fino al centro di Israele sono stati forniti da Teheran, come dimostrano le due navi intercettate dall’inizio dell’anno dirette a Gaza e cariche di materiale bellico di provenienza iraniana. Le tecniche di guerriglia – con i blitz, le infiltrazioni in territorio israeliano, i tunnel e i commando – sono molto più avanzate rispetto al passato, “tecniche da pasdaran”, dicono gli esperti.

 


C’è poi l’aspetto politico. Quando all’inizio di giugno Hamas è entrato nel governo di unità nazionale con l’Autorità palestinese di Abu Mazen, la leadership militare di stanza a Gaza si opponeva: voleva indipendenza di manovra, e sapeva di essere ben equipaggiata per un’eventuale difesa. L’ala politica insisteva, dal suo rifugio (dicono dorato) in Qatar rimediato dopo la parentesi gloriosa al Cairo, quando sembrava che la Fratellanza musulmana fosse a un passo dal governare tutto il medio oriente (e in quei due anni, fino al 2013, i finanziamenti dell’Iran si erano ridotti di molto). Gli amici arabi di Hamas – quelli storici, i sauditi e gli egiziani – non sono più molto aperti e generosi come un tempo, le primavere arabe li hanno stravolti, così il leader di Hamas, Khaled Meshaal, ha coltivato l’appoggio di Doha, dove si è trasferito e dove, secondo un’esclusiva pubblicata da al Monitor, ha gestito un riavvicinamento con la Repubblica islamica con l’intermediazione dell’emiro del Qatar, proclamato il 10 marzo scorso da Ali Larijani, speaker del Parlamento iraniano: “Teheran sostiene Hamas sul campo, la nostra relazione è buona ed è tornata com’era. Non abbiamo alcun problema con Hamas”. Meshaal ha parlato due giorni fa al telefono con Hassan Nasrallah, capo di Hezbollah, milizia sciita libanese legata all’Iran, che ha dato il suo sostegno ideologico alla battaglia di Gaza. Non militare, come era accaduto in passato (a ogni attacco dalla Striscia corrispondeva un attacco contro Israele dal nord, con i Katiuscia sparati dal Partito di Dio dal sud del Libano), perché da due anni Hezbollah è impegnato sul fronte siriano, dove combatte in difesa del regime di Damasco.

 


Il punto strategico è proprio questo: Gaza è il fronte di una guerra più ampia che si sta giocando tra Iraq e Siria, tra sciiti e sunniti, tra gli iraniani, che sostengono Bashar el Assad e la premiership sciita a Baghdad, e lo Stato islamico di Abu Bakr al Baghdadi, jihadisti sunniti che con il Califfato e un’avanzata mai tanto rapida hanno soppiantato in ferocia, forza e organizzazione al Qaida. La Striscia potrebbe essere contendibile: molte fonti sostengono che a Gaza siano operative alcune cellule dello Stato islamico. Così Teheran rilancia con un’offensiva mediatica – che sul campo è militarmente accertata – pensata per mettere la sua ala sopra la guerra a Gaza, sistemandola dalla sua parte del fronte, in un conflitto che è sì ideologico e di predominio, ma che è diventato anche e soprattutto territoriale. L’avanzata dello Stato islamico ruba terra alle forze dell’asse sciita, almeno assicuriamoci Gaza.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi