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Aziende in forma e sindacati che contrattano bene. Non ci sono solo marziani

Alberto Brambilla

Ci sono minoranze che tengono in ostaggio maggioranze ragionevoli. Ci sono però minoranze consapevoli della necessità di contrastare una crisi produttiva.

Ci sono minoranze che tengono in ostaggio maggioranze ragionevoli. E’ il caso della messa in liquidazione dell’Opera di Roma, ultimo esempio di un sindacalismo (Cgil e non solo) che rifiuta un piano di riorganizzazione senza strappi a fronte di una revisione dell’organico. Poi ci sono i “marziani” (per citare il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi), cioè i sindacalisti di terra e di volo dell’Alitalia che hanno comportamenti non meglio identificabili quando per lotte intestine logorano la già discutibile forza diplomatica (del governo) e finanziaria (dell’azienda) di fronte all’opportunità del salvataggio da parte di Etihad facendone traballare l’architettura. Parallelo, quello Alitalia-Opera di Roma, che compone il paradigma di un “paese iperbolico” la cui faccia peggiore è “un sistema di regole, veti, privilegi, che rendono difficile lavorare bene e produrre secondo le possibilità”, dice alla Stampa Carlo Fuortes, direttore dell’Opera di Roma. E che fornisce la prova plastica e definitiva di un “sindacalismo che sta perdendo la bussola, e che, alla disperata ricerca di consenso a breve termine, sta smarrendo il senso della propria storia e del proprio impegno”, scrive Dario Di Vico, inviato del Corriere della Sera. Di casi d’altronde ce ne sarebbero altri, tanti da fare pensare a una specie di emergenza nazionale per quanto è vasta e diffusa la sclerosi del sindacato. Vedi la Rai con l’Usigrai. Per non parlare della Fiat.

 

A fronte di comportamenti “marziani” ci sono però minoranze consapevoli della necessità di contrastare una crisi produttiva in peggioramento. Un esempio arriva dalle ragioni del sindacalista della Uil, Paolo Pirani, esposte nell’articolo in pagina. Ragioni contro chi “demonizza la questione energetica” e i progetti industriali a essa connessi, come le perforazioni petrolifere (domanda: Susanna Camusso vuole ancora “superare la civiltà del petrolio” come da brochure di passati convegni Cgil se la raffineria di Gela resta a secco?). Oppure contro chi insegue ciecamente un ambientalismo estremista: una specie di religione laica che, per quanto minoritaria e officiata da una magistratura spesso incurante dei ricaschi economici dei provvedimenti che adotta, agli occhi dell’opinione pubblica risulta prevalente in Puglia, terra dell’Ilva e del gasdotto Tap (nota per i movimenti “No a tutto”: ieri il governo inglese ha lanciato i primi bandi d’esplorazione per lo shale gas).

 

Ci sono minoranze ragionevoli, dunque, che a volte emergono e a volte restano semi-clandestine. Il made in Italy che funziona è ricco di esempi di collaborazione “alla tedesca” tra datori di lavoro e dipendenti, anche attraverso rappresentanze sindacali ragionanti. La crescita di alcune imprese italiane è da ascrivere anche a relazioni sindacali produttive e aperte alla sperimentazione di forme di contrattazione aziendali diverse dal contratto nazionale. Il dialogo costruttivo, va da sé, paga. Quando si discute e quindi si innova i risultati si vedono. La famiglia Ferrero e Leonardo Del Vecchio sono i capitalisti più ricchi d’Italia (dice Forbes). Nelle rispettive multinazionali, la dolciaria Ferrero e l’occhialeria Luxottica, i dipendenti ottengono premi annuali a tre zeri sulla base dell’aumento della produttività, tutele welferistiche ampie in cambio della massima flessibilità degli orari lavorativi a seconda delle esigenze produttive, o sono incoraggiati a favorire il ricambio generazionale (staffetta padri-figli) in azienda. Gli esempi sono molti. L’Espresso ne ha sintetizzati alcuni con un’inchiesta del 29 maggio: la TenarisDalmine (tubificio di Bergamo del gruppo Techint), la Ferrari, la Brembana&Rolle (macchinari, di Padova), la Avio (aerospazio, di Torino) o la Electrolux, esempio di crisi risolta grazie all’accordo aziendale e con ricette opposte a quelle propugnate inizialmente dalla Cgil (e poi sconfessate). Il perimetro è di certo ben più vasto. Secondo l’Osservatorio Cisl sulla contrattazione di secondo livello negli ultimi quattro anni sono stati chiusi 3.500 accordi aziendali, solo di natura difensiva (volti cioè a scongiurare la chiusura), ma il numero su scala nazionale è ignoto. Molte aziende infatti preferiscono non fare troppa pubblicità alle intese raggiunte con i sindacati al di fuori degli schemi del contratto nazionale in quanto alcune sono da considerare così innovative – per il panorama nazionale – che è meglio tacerle per non intaccare dogmi incrostati. Lo dice chiaro Giampiero Falasca in “Divieto di assumere” (Edizioni Lavoro). C’è una maggioranza silente e ragionevole dopotutto?

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  • Alberto Brambilla
  • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.