Cristiani a Mosul (foto Ap)

Cardinali e patriarchi tristi per l'indifferenza verso i martiri cristiani

Matteo Matzuzzi

Le parole di Sako di Babilonia, la delegazione dei vescovi francesi. L’appello di Schönborn. Quanto sta accadendo a Mosul “è una spregevole bestemmia contro il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il grande silenzio della comunità internazionale dinanzi a questa croce è uno scandalo”.

“Sono triste per la timidezza del mondo civilizzato verso di noi. Il mio cuore sanguina per gli innocenti che muoiono o che sono scacciati dalle loro case”. A scriverlo, in un breve messaggio inviato al cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione e da lunedì missionario in Iraq per portare la solidarietà dei cristiani francesi ai fratelli cacciati di casa e depredati di tutto – perfino delle scarpe –, è il patriarca di Babilonia dei caldei, Louis Raphaël I Sako. Lo stesso presule che qualche giorno fa, dopo aver sperato per settimane di intavolare con i seguaci del califfo un dialogo, suggeriva ai cristiani di Mosul e della piana di Ninive di scappare il prima possibile.

 

“Il cristianesimo d’Oriente non deve scomparire”, ha aggiunto Sako, anche perché “la sua sparizione sarebbe un peccato mortale e una grande perdita per la chiesa e l’umanità intera. Deve sopravvivere, o meglio, vivere in libertà e dignità”. E di dignità parlano anche le chiese cristiane d’Austria, che tutte insieme hanno firmato una dichiarazione congiunta in cui definiscono le marchiature delle case degli infedeli, la cacciata dei cristiani, la distruzione delle chiese, degli episcopi e delle tombe dei profeti, nient’altro che un “attacco alle fondamenta della civiltà, della dignità umana e dei diritti umani”. Si appellano all’Europa, sorda e indifferente alle vicende del vicino e medio oriente, perché metta in campo quelle “misure appropriate” che pongano fine al terrore e che fino a oggi non si sono viste. Primo firmatario del documento è il cardinale arcivescovo di Vienna, Christoph Schönborn, subito seguito dai rappresentanti delle altre confessioni, a cominciare dal metropolita greco ortodosso e dal vescovo luterano.

 

Quanto sta accadendo a Mosul, si legge nella dichiarazione, “è una spregevole bestemmia contro il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il grande silenzio della comunità internazionale dinanzi a questa croce è uno scandalo”. Davanti ai numerosi rifugiati cristiani di Erbil, in Kurdistan, il patriarca caldeo di Baghdad ha assicurato che “la nostra fede resterà ferma, malgrado tutti i sacrifici”. Ciò che deve essere chiaro, ha aggiunto, è che “i cristiani sono veri cittadini, come i loro fratelli musulmani. Nessuno ha diritti su di loro. Con la loro mentalità aperta e la loro partecipazione alle istituzioni, essi hanno dato molto all’Iraq e ai musulmani. Vi invito a essere forti malgrado tutte le vostre sofferenze. Resterete forti e pianterete la speranza, la solidarietà nella fiducia e nel coraggio.

 

“Giona è stato inghiottito dalla balena, ma ne è uscito sano e salvo. Come lui, Mosul uscirà sana e salva da questa guerra”. Anche il cardinale Barbarin era a Erbil – dove sarebbero rimaste venti famiglie cristiane, cui si sommerebbero quante sono giunte dalla piana di Ninive nell’ultimo mese –, assieme a una delegazione di vescovi francesi (l’arcivescovo di Parigi, André Vingt-Trois, ha celebrato una messa per i cristiani di Mosul a Notre Dame). “Lo scopo del mio viaggio, ha detto l’arcivescovo di Lione, è esprimere una solidarietà in carne e ossa ai bambini, ai giovani, alle famiglie e a tutti coloro che sono stati cacciati dalle loro case e non hanno più nulla”. “Piangere con coloro che piangono”, come diceva san Paolo nella Lettera ai Romani. Barbarin ha citato Qaraqosh, popolosa città a trenta chilometri da Mosul dove il 20 luglio scorso i miliziani hanno occupato il monastero di Mar Behnam. I tre monaci custodi dell’antico sito, prima di essere cacciati e di aver consegnato le chiavi, hanno supplicato gli sgherri dell’autoproclamato califfo al Baghdadi di “risparmiare almeno le antiche reliquie”. Ultima e disperata preghiera per evitare che anch’esse facessero la fine delle statue di santi e Madonne gettate a terra disintegrate, o della tomba del profeta Giona, distrutta a colpi di mazza e fatta saltare in aria.

 

Sempre più vasta eco hanno intanto le immagini della giornalista irachena Dalia al Aquidi, di religione musulmana, che ha scelto di comparire sugli schermi televisivi nazionali con una croce al collo: “Siamo tutti cristiani; che benefici potrebbero trarne la storia e la civiltà dal tornare indietro all’oscurantismo? I cristiani sono il popolo di questa terra, e non possiamo andare avanti senza di loro o in assenza di qualsiasi componente dell’Iraq”, riportava il portale Aleteia. Al Aquidi dà la colpa al “fascismo islamista che ha indotto i musulmani moderati come me a vergognarsi della loro religione. Ma io non starò zitta di fronte a questa ingiustizia”. Intanto, dalle frequenze della Radio Vaticana, il teologo musulmano Adnane Mokrani, docente al Pontificio istituto di studi arabi e islamistica suggerisce di lasciar perdere termini come “califfo” e “califfato”. Questi dell’Isis, dice, sono solo “un gruppo terroristico che rappresenta una deriva settaria”. Tutta legna che – tra l’altro – non fa che alimentare il fuoco per l’islamofobia, aggiunge. Comunque, ha detto il cardinale Barbarin ai cristiani riuniti nella cattedrale di San Giuseppe a Erbil, “la tormenta finirà, bisogna resistere. Siate più forti del male”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.