"Provette selvagge", il governo prova a mettere delle regole che impediscano lo sfascio

Beatrice Lorenzin

Quando si parla di fecondazione assistita è difficile confinare il tema nell’ambito della sanità, perché, inevitabilmente, si tocca qualcosa di molto più profondo, direi quasi di insondabile nei sentimenti e nell’animo di tutti noi, anche oltre i nostri convincimenti e orientamenti.

Quando si parla di fecondazione assistita è difficile confinare il tema nell’ambito della sanità, perché, inevitabilmente, si tocca qualcosa di molto più profondo, direi quasi di insondabile nei sentimenti e nell’animo di tutti noi, anche oltre i nostri convincimenti e orientamenti.

 

Eppure è quello che mi sono trovata a fare, per il ruolo che occupo: affrontare la fecondazione eterologa dalla parte delle istituzioni, e di quella che, in prima battuta, è maggiormente coinvolta, cioè il ministero della Salute, cercando di applicare una sentenza della Corte costituzionale che a riguardo ha dato indicazioni molto nette.

 

Affrontiamo l’eterologa molti anni dopo altri paesi europei e possiamo fare tesoro di esperienze e problematiche che in altre nazioni hanno già disciplinato anche in seconda battuta.

 

Il divieto è caduto, l’eterologa è arrivata anche da noi, ma voglio dire subito che sarebbe un errore pensare questa procedura una semplice variante dell’omologa. Bioeticisti e giuristi discutono da sempre sugli scenari che si aprono quando un bambino viene concepito con gameti estranei alla coppia dei genitori che lo hanno voluto. Per quel che mi riguarda, posso dire che questo fatto introduce innanzitutto una nuova attività rispetto alla fecondazione omologa: qualcuno deve scegliere il donatore di gameti, e deve prendersi la responsabilità di stabilire se la persona che ha dato questa disponibilità è adeguata o no a contribuire al concepimento di un bambino di cui comunque non avrà responsabilità di tipo genitoriale.

 

La scelta del donatore – suona quasi come il titolo di un film – è qualcosa di complesso, che richiede criteri rigorosi e che nel nostro caso ci impone di recepire parte di una direttiva europea, la 17/2006, rimasta fuori dal nostro ordinamento per via del precedente divieto sull’eterologa. In un allegato di questa direttiva troviamo le indicazioni minime previste a livello europeo per la selezione dei donatori di cellule riproduttive, a tutela della salute delle coppie riceventi e dei nascituri (per esempio si indicano test di tipo infettivo e genetico, dobbiamo stabilire se e quali patologie genetiche vanno escluse con certezza). La Consulta ci dice poi che dobbiamo stabilire un numero massimo di donazioni: bisogna evitare che da uno stesso donatore nascano troppi bambini, che, da adulti, potrebbero unirsi inconsapevolmente. Ci siamo chiesti cosa contare – i gameti, le gravidanze, le nascite, se dare o meno la possibilità a chi ha già un figlio da fecondazione eterologa di chiedere che un altro sia concepito con lo stesso donatore – e come contarli, e ci siamo convinti della necessità di un Registro nazionale dei Donatori, centralizzato, che consenta di bloccare il donatore una volta raggiunto il limite stabilito, e anche di avere quella tracciabilità necessaria fra donatore e nato per garantire la sicurezza sanitaria, cioè di poter risalire sempre a tutta la filiera originata da un singolo donatore, indipendentemente dal centro in cui ha donato, e nel rispetto delle normative sulla privacy. Per una donazione da terzi, infatti, i rischi sono più elevati rispetto a quelli di una fecondazione all’interno di una coppia. Lo stesso sistema centralizzato eviterà anche donazioni inconsapevoli fra consanguinei.

 

Recepimento della direttiva europea e tracciabilità donatore-nato necessitano inevitabilmente di una legge: strumenti di tipo amministrativo, come linee guida (che pure ci saranno) o decreti ministeriali non sono sufficienti. Una legge veloce, e quindi un decreto legge. Ma non basta. Dobbiamo evitare che intorno alla fecondazione eterologa si crei un mercato, e per questo nel decreto legge si ribadirà la gratuità della donazione e il divieto di importare gameti da centri Pma o banche che ne fanno commercio. Se la donazione è anonima e gratuita, come ci ha spiegato la Consulta, non ci potranno essere cataloghi dei donatori nei centri Pma o nelle banche, ma solo consensi informati rigorosi per informazioni di tipo sanitario e giuridico, per stabilire ad esempio se e come un donatore potrà essere contattato in caso di problemi sanitari da parte del nato. Ho convocato un gruppo di lavoro di esperti con cui abbiamo discusso di questo e anche di molto altro, di cui ho riferito ieri in un’audizione alla commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati.

 

Ma, come ho detto all’inizio, non tutto è riconducibile a questioni sanitarie, e c’è un punto importante su cui ho chiesto ieri una riflessione al Parlamento: il diritto per i nati da eterologa a conoscere sia le modalità del loro concepimento – cioè a sapere che sono nati da fecondazione eterologa – che l’identità del loro genitore biologico. In molti paesi, soprattutto del nord Europa – dalla Svezia alla Norvegia alla Gran Bretagna – l’anonimato è caduto, specie a seguito di contenziosi giuridici da parte dei nati da eterologa, che chiedevano di conoscere la verità sulle proprie origini, e che a quella verità volevano anche dare un nome. Altri paesi, per esempio la Francia, hanno continuato invece a mantenere segreti i dati anagrafici dei donatori.

 

Beatrice Lorenzin
ministro della Salute