Scrittori e altra bella gente scatenata contro Israele e “il popolo eletto”
Sul Mundo l'ultimo attacco a ebrei e Israele. Parlando di Gaza, lo scrittore Gala prende di mira il popolo ebraico tout court e dice che ha meritato l’espulsione dalla Spagna del 1492. Accostamenti fra il sionismo e il nazismo non si contano sui media del mainstream europeo.
Il giornale è il Mundo, che ha contribuito a modellare la storia recente della Spagna, il secondo quotidiano del paese, il secondo sito internet in Europa, il primo al mondo in lingua spagnola. L’autore è Antonio Gala, venerato maestro delle lettere iberiche, classe 1920, premio León Felipe per la democrazia. Il titolo dell’articolo è “Los elegidos?”. Gli eletti?
Siamo a livelli di rottura insopportabili delle convenzioni polemiche. Parlando di Gaza, lo scrittore Gala prende di mira il popolo ebraico tout court e dice che ha meritato l’espulsione dalla Spagna del 1492. “Non è strano che siano stati espulsi così di frequente”, scrive Gala degli ebrei. “Ciò che sorprende è che persistano. O essi non sono buoni, oppure qualcosa li avvelena. (…) Adesso devi soffrire i loro abusi a Gaza”. L’autore di “Petra regalada” spiega che “il popolo ebraico avrebbe potuto fare del bene all’umanità”, ma “non sono fatti per coesistere”. Gala evoca, a dimostrazione della presenza di una lobby ebraica mondiale, anche “una invisibile comunità di sangue”. L’editoriale di Gala fa parte di una impressionante campagna di delegittimazione di Israele che da settimane domina sulla grande stampa europea. In una lettera al Mundo, il presidente della comunità ebraica di Madrid, David Hatchwell, ha detto che ricorrerà alle azioni legali per “proteggerci con vigore”.
Intanto, registi blasonati come Mike Leigh e Ken Loach e sei premi Nobel (Desmond Tutu, Betty Williams, Jody Williams, Adolfo Pérez Esquivel, Mairead Maguire e Rigoberta Menchú) invitano a boicottare Israele come venne fatto con l’apartheid. Lo spagnolo Almodovar denuncia il “genocidio” israeliano a Gaza. Appelli contro lo stato ebraico sono promossi da scrittori come l’autrice del best-seller “Il colore viola” Alice Walker, il premio Pulitzer Chris Hedges, l’ex direttore generale dell’Unesco Federico Mayor Zaragoza, la regista Mira Nair e il filosofo Slavoj Zizek, nichilista sloveno che si porta bene nell’alta società.
Al Fringe Festival di Edimburgo non andranno i ballerini israeliani della Ben Gurion University nel Negev. Quel Negev bersagliato dai missili di Hamas. Non ci andranno perché sono arrivate richieste di boicottare l’evento “in segno di protesta contro l’offensiva militare israeliana a Gaza”. E il boicottaggio ha vinto. La scorsa settimana, una lettera aperta firmata da oltre cinquanta personalità della cultura, tra cui la poetessa nazionale di Scozia, Liz Lochhead, ha chiesto e ottenuto che un altro show, “The City”, prodotto sempre da una compagnia israeliana, venisse annullato. Particolarmente virulento l’attacco a Israele da parte dello scrittore americano Lawrence Weschler, per vent’anni redattore del New Yorker. Weschler attacca gli israeliani che “confinano 1,8 milioni di abitanti di Gaza all’interno di quello che potrebbe essere descritto come un campo di concentramento”. Weschler paragona Gaza alla città sudafricana di Soweto, il ghetto nero costruito dagli architetti dell’apartheid e simbolo della rivolta contro il regime razzista del Sudafrica. O peggio, “a Dachau e Theresienstadt”.
Accostamenti fra il sionismo e il nazismo non si contano sui media del mainstream europeo.
Anche il giornale inglese Guardian ha pubblicato un appello per boicottare Israele: “Israele sta razionando tutto ciò che entra a Gaza, dalle calorie alla letteratura. Questa non è una guerra, ma una spedizione punitiva, l’attacco di un potente stato militare, armato e sostenuto dall’occidente, contro dei poveri, assediati e sfollati. Dobbiamo intensificare il nostro boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni, in una campagna internazionale per porre fine all’impunità di Israele”. Il celebre scrittore Iain Banks di recente ha annunciato che i suoi romanzi non saranno più pubblicati in Israele. E’ una guerra culturale ai fondamenti dello stato ebraico.
Sul quotidiano francese Libération, lo scrittore e filosofo Michael Smadja ieri giustificava così il terrorismo di Hamas: “Se fossi nato Gaza, avrei fatto parte di Hamas. E senza dubbio, sarei disposto a fare qualsiasi cosa per fermare quella che mi sembrerebbe una cieca oppressione”.
Sta destando scandalo negli ambienti politici britannici il messaggio di un parlamentare liberal-democratico in coalizione con i Tory di David Cameron, David Ward, che ha scritto: “La grande domanda, se io vivessi a Gaza, è se sparerei un razzo. Probabilmente sì”. Intanto Tesco, la principale catena di supermercati del Regno Unito, da ieri non venderà più prodotti israeliani dei Territori. “Servizio clienti Tesco. Se state chiamando per informazioni sui prodotti da Israele, siete pregati di digitare 1”. Così accoglie i clienti il risponditore automatico del gigante inglese. Riecheggia il vecchio motto “Kauft nicht bei Juden”. Non comprate dagli ebrei.
Fra le promotrici del boicottaggio la drammaturga inglese Caryl Churchill, una presenza fissa al Royal Court Theater di Londra, nella cui pièce “Sette bambini ebrei” mette in bocca queste parole a un israeliano: “Dille che non m’importa se li abbiamo spazzati via. Dille che noi sappiamo odiare meglio. Dille che siamo il popolo eletto”. Los elegidos. Il marchio dell’odio.
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