N come nazara
I cristiani perseguitati vogliono restare nella loro terra, anche con la “stella gialla” su vestiti e case. Gregorio III Laham, patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l’oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti, declina con cortesia ma fermezza l’invito giunto da Parigi a scappare.
Grazie alla Francia che s’è detta disponibile ad accogliere e concedere l’asilo alle migliaia di famiglie cristiane costrette alla fuga da Mosul e dagli altri villaggi iracheni passati nell’ultimo mese e mezzo sotto il controllo delle milizie jihadiste dell’autoproclamato califfo al Baghdadi. Ma noi da qui non ci muoviamo. Gregorio III Laham, patriarca cattolico di Antiochia, di tutto l’oriente, di Alessandria e di Gerusalemme dei Melchiti, declina con cortesia ma fermezza l’invito giunto da Parigi a scappare, a lasciarsi alle spalle le case marchiate con la N di “nasara” (cristiano), il proprio passato e a ricominciare da zero nell’Europa timida e silenziosa davanti alla persecuzione.
“Gli iracheni vogliono rimanere nella loro terra. Certo, abbiamo bisogno di qualcuno che ci riceva, ma soprattutto abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a rimanere a casa nostra”, ha detto il patriarca alla tv libanese TeleLumier. “Aiutateci a combattere il terrorismo qui, a mettere fine alla corsa alle armi che porta beneficio solo a questi gruppi”. Questo sì, ha aggiunto, “sarebbe uno sforzo importante, meglio che trasformarci tutti in rifugiati o dirci che ci siete vicini e ci aiutate. Vogliamo rimanere nella nostra terra e vivere al fianco dei nostri fratelli musulmani, nonostante tutti i problemi”. Posizione identica a quella del cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione che da lunedì scorso è impegnato in una missione in Iraq – vi rimarrà fino a domani – alla testa di un gruppo di vescovi francesi per portare la solidarietà dell’occidente ai cristiani d’oriente: “L’offerta di Parigi è un bel gesto, apprezzato dalle decine di famiglie che hanno qui trovato rifugio dopo aver abbandonato Mosul. Ma un ulteriore esodo non farebbe altro che aggravare la situazione. Certo, è meglio partire che essere ammazzati, ma l’obiettivo deve essere quello di rimanere a vivere qui. Anche con il marchio della propria religione sul corpo, i vestiti e la casa”.
Accanto a lui c’era il patriarca di Babilonia dei Caldei, Louis Raphaël I Sako, che a Erbil, in Kurdistan, ha ricordato che “l’uomo è stato creato libero e non deve essere schiavo di nessuno, come prevede lo status di dhimmi”. I cristiani, ha detto ancora, “sono veri cittadini, e nessuno ha diritti su di loro”. Sako, forte anche d’una telefonata giuntagli direttamente dal Papa nei giorni scorsi – Francesco ha ringraziato il patriarca per la sapiente guida assicurata al popolo cristiano in queste circostanze critiche e ha esortato i cristiani della nazione irachena a custodire la fede e la speranza, recita il comunicato del patriarcato caldeo – ha ribadito la necessità di evitare la spaccatura del paese, dividendo il vecchio Iraq in tre stati secondo le linee delle divisioni etniche e confessionali. Intanto, dopo la Francia, anche la Germania fa sentire la propria voce. E’ il principale partito tedesco, la Cdu, che al Bundestag di Berlino sprona l’Unione europea a denunciare “i crimini contro il diritto umano alla libertà di religione, come è avvenuto a Mosul con la cacciata dei cristiani”. Tutto questo, si legge ancora nella nota, “non deve essere tollerato in silenzio” e si deve mettere in campo ogni azione politica per “porre fine al regno del terrore dell’Isis”.
L’appello dei vescovi americani
Ma a muoversi non sono solo i governi. Se la Conferenza episcopale francese è la più attiva, anche i vescovi degli Stati Uniti hanno lanciato un appello al governo di Washington per aiutare le “vittime della persecuzione” di Mosul: “Si faccia il possibile per dare assistenza a chi si trova in condizioni disperate, privato anche dei vestiti”, hanno scritto i vescovi americani al consigliere per la Sicurezza nazionale, Susan Rice.
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