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Abracadabra, e il mondo si è svegliato nemico d'Israele

Giulio Meotti

Il verdetto deve essere ancora scritto, ma la sentenza è stata già emessa: morte. “Davide è diventato Golia”. Muravchik spiega come lo stato ebraico è diventato un paria tra Onu e intellettuali.

“Sentenza prima, verdetto poi”, declama la Regina di Cuori di “Alice nel paese delle meraviglie”. Il verdetto su Israele deve essere ancora scritto, ma la sentenza è stata già emessa: morte. E’ questo il messaggio del nuovo libro di Joshua Muravchik, saggista americano fra i più sapidi e docente alla Johns Hopkins University, “Making David into Goliath”.

 

“Da un giorno all’altro Israele si era trasformato da Davide in Golia, aveva commesso il nero peccato della sopravvivenza”, scriveva il ministro degli Esteri più colto della storia israeliana, Abba Eban. Muravchik ricorda quando Israele “era ammirato in tutto il mondo”, per sviscerare e denunciare la sua trasformazione in paria, sentina del male, emblema dell’ingiustizia. “How the world turned against Israel”, recita il sottotitolo del libro. E pensare che c’era un tempo, fino al 1967, in cui gli appelli per Israele venivano firmati anche da Pablo Picasso. Oggi la sua “Guernica” è paragonata a Gaza.

 

Muravchik individua due forze principali nella campagna di demonizzazione di Israele: l’Onu e gli intellettuali. “Nell’èra degli ‘altri contro l’occidente’, quando le élite globali culturali trovano virtù soltanto negli ‘altri’, Israele resta ‘occidente’. Per questo è stato condannato a morte”.

 

A livello globale, Muravchik individua l’odio per Israele nella progressiva marginalizzazione delle democrazie nel Palazzo di vetro e l’egemonia su questo dei non allineati, dei regimi islamici, delle satrapie orientali, del Terzo mondo. “Non è più Israele contro il mondo arabo-islamico, ma Israele contro i palestinesi senza casa. Davide è diventato Golia. In questo paradigma, gli arabi – nonostante la loro superiorità in termini di risorse e di numeri, delle loro pratiche sociali e politiche regressive – hanno assunto un posto d’onore tra le forze della virtù e del progresso, mentre gli israeliani sono stati consegnati alla schiera dei cattivi e dei reazionari. Il terrorismo palestinese annichilazionista è diventato chic e dare ai palestinesi uno stato è il santo graal dell’opinione pubblica illuminata. Che questo stato sarebbe sorto al fianco di Israele o al suo posto era secondario. E’ una minaccia perenne per Israele, che potrebbe avere la meglio sulla sua macchina militare formidabile”.

 

E’ così che l’odio viscerale per lo stato ebraico oggi pervade istituzioni così diverse e distanti fra di loro: “L’unione degli insegnanti inglesi che proclama il boicottaggio accademico di Israele; le chiese protestanti che disinvestono dalle aziende israeliane; i supermercati norvegesi che boicottano le merci israeliane; il più popolare giornale svedese che pubblica storie sensazionali su Israele che ruba gli organi ai palestinesi; le organizzazioni dei diritti umani più concentrate su Israele che sulle tirannie; e un ex presidente degli Stati Uniti che accusa Israele di ‘apartheid’. In breve, la comunità internazionale ha fatto di Israele un escluso”.

 

Nei giorni scorsi è arrivata la notizia che Tesco, la più grande catena commerciale del Regno Unito, non venderà più i prodotti israeliani provenienti dai Territori. “Tesco: We’ve axed fruit from Israel” è la headline dei media inglesi che ha fatto il giro del mondo.

 

Joshua Muravchik spiega che “l’ostilità antisraeliana della sinistra si è estesa a circoli mainstream e moderati, dove le discussioni sulla ‘rivoluzione’ sono fuori luogo”. Un processo avvenuto grazie al fatto che “il multiculturalismo ha preso il posto del vecchio modello marxista del proletariato contro la borghesia come dramma morale”.

 

Il sillogismo di Edward Said
A livello intellettuale, Muravchik punta allora il dito, fra gli altri, contro Edward Said, il più noto intellettuale palestinese, poliedrico e fascinoso, cattedratico della Columbia University fino alla sua scomparsa nel 2004, che vanta un lascito immenso nelle accademie americane ed europee. “Grazie a Said, il sionismo è stato ridefinito come un movimento di bianchi che competono per la terra contro i popoli di colore”, spiega Muravchik. “Abracadabra, Israele venne trasformato da rifugio redentivo da duemila anni di persecuzione nell’incarnazione stessa del suprematismo bianco”. E’ il celebre sillogismo che rese Said famoso in tutto il mondo: l’“orientalismo”, il razzismo occidentale nei confronti dell’oriente musulmano, è antisemitismo perché gli arabi sono semiti; il sionismo bianco ha assimilato gli ebrei all’occidente, gli ebrei hanno perso il loro semitismo, sono divenuti “orientalisti”, antisemiti; i palestinesi sono i “nuovi ebrei” e gli ebrei israeliani sono i “nuovi nazisti”.

 

Un sillogismo tetro e nefasto che in questi giorni risuona sui cieli di Tel Aviv e negli assalti alle sinagoghe parigine di Sarcelles.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.