Il leader del Ncd Angelino Alfano (Foto Lapresse)

La carica degli altri 101

Da Alfano all'Udc, così i centristi resisteranno al patto del Nazareno

Salvatore Merlo

Il pulviscolo post dc, tra ex forzisti ed ex montiani, si prepara alla conta sull’Italicum (occhio alle regionali).

Roma. “Renzi non può mica pensare di parlare soltanto con Berlusconi. Il governo lo abbiamo salvato noi. Le riforme passano con i nostri voti”, soffia Fabrizio Cicchitto. E Roberto Formigoni si fa scuro e oscuramente minaccioso su Twitter: “Nardella che vuole le elezioni anticipate, Giachetti che non vuole le preferenze… è chiaro che alcuni renziani amano distribuire mine lungo la via”. Poi finalmente Gaetano Quagliariello illumina il rovescio del ricamo, un groviglio di fili, di allusioni, umori, timori, avvertimenti, tutti avvolti attorno a un pensiero fisso, ossessivo come tutto ciò che minaccia la sopravvivenza: “La riforma elettorale va cambiata, l’Italicum va modificato”, dice il professore con tono di pacata rivendicazione. “Le soglie d’accesso sono discriminatorie”, aggiunge. E non sono parole a caso. La politica ha i suoi tempi, la sua logica, il suo linguaggio spesso obliquo, e tra i partiti più piccoli del Parlamento, nel Nuovo centrodestra di Quagliariello e Angelino Alfano, nell’Udc di Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa, nella costellazione esplosa di Mario Monti, tra i senatori amici di Mario Mauro, da tempo sono suonati tutti gli allarmi. Dunque adesso sono in corso manovre, si disegnano strategie, progetti di resistenza. E più si stringe il patto tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi, più si avvicina la riforma elettorale del Nazareno, più sembra avviata quella del Senato, più si avverte un un sordo richiamo di fanfare proporzionaliste nelle notti insonni del centro ex democristiano ed ex berlusconiano. Alfano, Cesa e Mauro raccolgono firme tra deputati e senatori, si telefonano continuamente, e a settembre – raccontano – cercheranno di sommarsi in un gruppo parlamentare unico. “Siamo cento. Cento parlamentari”.

 

E così, dicono, ci sarà un’assemblea alla ripresa dell’attività parlamentare, una grande assemblea aperta tra gli eletti di Montecitorio e di Palazzo Madama. “Saremo una lobby. Un gruppo di pressione”, raccontano. “Ci mettiamo tutti insieme per entrare nella partita che conta con Renzi, per trattare da un punto di forza o di minore debolezza, per pareggiare il peso con Berlusconi”. E in definitiva, per strappare anche condizioni migliori su quella legge elettorale, l’Italicum, che per adesso, dicono, “a noi ci distrugge. Ci consegna all’Opa ostile del Cavaliere. Senza scampo”. Da qui l’idea di farsi forza tutti insieme, dunque, tutti i piccoletti, “se siamo almeno novanta parlamentari Renzi ci deve prendere sul serio”. Certo.

 

Ma è come il brodo primordiale, una massa in fermento, tutto un brulicare, un’agglutinarsi ancora un po’ confuso di amminoacidi. “Va bene. Va benissimo. Purché stiamo nel centrodestra”, dice Nunzia De Girolamo. E Beatrice Lorenzin, il ministro della Salute: “Abbiamo votato un documento che lega tutta questa operazione alla nascita del Partito popolare europeo in Italia”. Nessun doppio forno. Nessuna alleanza variabile. Centrodestra, dunque. Punto. Eppure negli angoli meno illuminati del Palazzo, tra i mille specchietti allusivi, nei risvolti dei colloqui tra Alfano e Cesa, nelle telefonate tra il giovane democristiano e il vecchio democristiano, la parola “sinistra” è stata maneggiata più volte. E duramente si sono affrontati Maurizio Lupi e Quagliariello in una mezza baruffa, qualche tempo fa, un acceso scambio di idee durante il quale, raccontano, la parola “doppio forno” veniva scagliata dall’uno contro l’altro, come un oggetto contundente, come un sampietrino. Chissà. In autunno, alle elezioni amministrative, il coacervo diccì potrebbe anche allearsi con il Partito democratico. Ci sono contatti, mezze parole e mezzi accordi in Puglia, in Emilia, in Veneto. Certo, le politiche sono lontane. E le amministrative fanno un po’ storia a sé. Ma anche no.

  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi universitaria in Inghilterra. Ho vinto alcuni dei principali premi giornalistici italiani, tra cui il Premiolino (2023) e il premio Biagio Agnes (2024) per la carta stampata. Giornalista parlamentare, responsabile del servizio politico e del sito web, lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.