In vista del viaggio asiatico, Francesco raccoglie croci e macerie in Cina
Inizierà tra una settimana il primo viaggio del Papa in Asia, continente che – eccettuata la Terra Santa – Benedetto XVI non aveva mai visitato negli anni del suo pontificato. Francesco ci tornerà a gennaio: una settimana tra Sri Lanka e Filippine.
Roma. Inizierà tra una settimana il primo viaggio del Papa in Asia, continente che – eccettuata la Terra Santa – Benedetto XVI non aveva mai visitato negli anni del suo pontificato. Francesco ci tornerà a gennaio: una settimana tra Sri Lanka e Filippine. Ora, la meta prescelta è la Corea del sud, che il cardinale segretario di stato, Pietro Parolin, ha ricordato essere “l’unico paese al mondo dove la chiesa cattolica cresce di pari passo con lo sviluppo economico”. I numeri, in effetti, parlano chiaro: i fedeli coreani, oggi, sono cinque milioni e mezzo. Appena mezzo secolo fa non andavano oltre i duecentocinquantamila. Più del dieci per cento della popolazione è cattolico. “Se c’è un paese che in maniera particolare può essere citato a esempio della fecondità del Vangelo per l’uomo e per la società è proprio la Corea”, ha osservato Parolin in un’intervista apparsa sull’ultimo numero di Famiglia Cristiana. “E’ una fecondità che non inaridisce di fronte alla diffusione di quei fenomeni che sembrano essere legati al mondo economicamente e tecnologicamente sviluppato, cioè il materialismo, il secolarismo e il relativismo”, ha aggiunto. La Corea, dunque, “da terra di missione è diventata a sua volta missionaria” in un continente dove, fatta eccezione per poche isole felici, il cattolicesimo stenta a radicarsi come da decenni si prevede e si auspica oltretevere – “già negli anni Trenta si diceva che l’Asia rappresentava la grande sfida per la chiesa, ci sono documenti di Propaganda fide che vanno in quella direzione”, diceva qualche tempo fa al Foglio lo storico Andrea Riccardi.
Quando si parla d’Asia, il pensiero va alla Cina, il gigante con cui Roma non riesce a intavolare un dialogo alla luce del sole che esuli dai canali sotterranei e ufficiosi che da anni la diplomazia vaticana ha imbastito. Lo scorso giugno, sulla Lettura del Corriere della Sera, Alberto Melloni scriveva che “la storia della Compagnia di Gesù e la storia del mondo spingono lo sguardo di Papa Francesco verso l’orizzonte della Cina. Quel che fu il concilio per Papa Giovanni, il giubileo per Wojtyla, è la Cina per Bergoglio”. A conferma di un sentiero tracciato, v’erano poi le parole pronunciate dal Pontefice nell’intervista concessa al quotidiano di Via Solferino, lo scorso inverno: “Siamo vicini alla Cina. Io ho mandato una lettera al presidente Xi Jinping quando è stato eletto, tre giorni dopo di me. E lui mi ha risposto. Dei rapporti ci sono. E’ un popolo grande al quale voglio bene”. Il cardinale Parolin, cui si deve gran parte della stesura della “Lettera ai cattolici cinesi” firmata da Benedetto XVI nel 2007, a Famiglia Cristiana dice che “la chiesa cattolica nella Repubblica popolare cinese è viva e attiva. Cerca di essere fedele al Vangelo e cammina attraverso condizionamenti e difficoltà. La Santa Sede è a favore di un dialogo rispettoso e costruttivo con le autorità civili per trovare la soluzione ai problemi che limitano il pieno esercizio della fede dei cattolici e per garantire il clima di un’autentica libertà religiosa”.
Intanto, però, nel paese la persecuzione nei confronti dei cristiani non accenna a diminuire. Per ordine del segretario del Partito comunista dello Zhejiang, nei mesi scorsi sono state abbattute diverse chiese, “colpevoli” di rovinare lo skyline della città di Baiquan: troppe croci, edifici vistosi, statue imponenti non in linea con il programma varato dal governo nel 2013 per “abbellire il territorio”. Il portale Asianews parla di “atti brutali di demolizione forzata delle chiese e distruzione delle croci” denunciati anche dal vescovo Vincenzo Zhu Weifang, presule che gode del riconoscimento sia di Pechino sia del Vaticano. Mons. Weifang ha chiesto perdono ai fedeli per la lentezza con cui ha fatto sentire la propria voce, osservando che “la campagna prende di mira le croci sui tetti delle chiese quale segno della fede cristiana”. I sacerdoti della diocesi hanno firmato una petizione in cui, chiedendo di “rispettare le croci sacre e inviolabili e i sentimenti religiosi dei cattolici”, si appellano alle autorità affinché “non sia distrutta l’armonia e la stabilità sociale”.
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