La classe morta
Il prof. Keating e la sua generazione senza peccato. Che ai fratelli minori ha consegnato il pick-up con le chiavi per andare a sbattere. In nome del Bene, della Poesia e della Libertà. Un film molto liberal.
Avevo voglia di uccidere un monaco, è la celebre postilla con cui, anni dopo, Umberto Eco confessava con scherzo rivelatore il senso recondito del Nome della rosa, col sorriso sornione di chi ne aveva uccisi a frotte, nel frattempo, di clercs traditori pronti ad abbandonare il Dio di Tommaso per una risata che li seppellirà. Ma avere voglia (uffa, diciamo invece “avere la pulsione”, che s’addice di più ai magnifici anni maligni di cui andiamo a parlare) di far fuori un’intera classe, classe di scuola s’intende, è un altro affare. Robin Williams è stato moltissime cose, ma ci resterà negli occhi soprattutto per questo. Il professore con la giacca di tweed che ha insegnato ai suoi alunni, e a tutti gli alunni, che “solo nei sogni gli uomini sono davvero liberi, è da sempre così e così sarà per sempre”. L’icona socratica, addetta alla maieutica, della generazione dell’ottimismo morale, del new deal dell’etica liberata. Figlio dell’Illinois, benestante borghese. Baby boomer, liberal. Nel lavoro e nella vita. La generazione bella che ai fratelli minori, ai figli, ha consegnato con le chiavi nel cruscotto il pick-up per andare a perdersi dove meglio credessero. Ma con un’indomita coscienza di farlo in piena libertà. Senza più condanne, né maledizioni dei padri.
Non lui. Non solo lui. Gli è solo capitato di essere il volto perfetto nel luogo del delitto perfetto. Il mandante si chiama Peter Weir, è lui che si porta dietro da una vita, chissà se lo sa, questa pulsione rivelatrice. Avere voglia di uccidere una scolaresca. Una classe intera. Lui è nato in Australia, un anno prima che aprissero le iscrizioni dei baby boomer. Aveva iniziato subito. Picnic ad Hanging Rock è il più bel mistery metafisico degli anni 70. Un’intera classe di romantiche ragazze inglesi fin de siècle che viene inghiottita dall’epifania del Nulla nel giorno di San Valentino. Poi dall’Australia mandò un’intera leva di volontari a vedere com’era fatta la Grande guerra e a farsi ammazzare nei Dardanelli. Gli anni spezzati. Mandare a morire una classe di collegiali per amore della Poesia, però, è una cosa un po’ forte. Serve un movente.
Bisogna innanzitutto essere buoni. Dunque avere la convinzione di agire per salvare il mondo, con la forza disarmata dei buoni propositi e della rottura delle regole. Tutte. Strappare la tradizione. Cestinare la mente conservatrice. “Me and some of my friends / We were gonna save the world / We were tryin’ to make it better… / And it breaks my heart / To think about how close we came”. Per cantarla come la canta oggi uno di loro, della generazione che volle rifare il mondo migliore, il vecchissimo Neil Young. Uno che in fondo s’è salvato, forse per il fatto di non essere mai stato buono.
E bisogna avere un gran senso di colpa. Come di un inganno da non poter svelare. Ragazzi, mi si spezzerebbe il cuore a dovervelo dire, e allora fate finta di crederci anche voi: “Dovete credere che i vostri pensieri siano unici e vostri… Due strade trovai nel bosco e io scelsi quella meno battuta, ed è per questo che sono diverso”. Così parlava il professor Keating. Insomma che s’impiccassero, ma dopo essere saliti con tutte le scarpe sul banco. La rivoluzione liberal. Tanto nessuno si fa male, tanto non c’è controprova. Esiste forse il principio di realtà? Qualcuno doveva indicare la strada, affinché i figli degli scampati potessero essere oggi i millennials, la generazione della piena reversibilità esistenziale. L’Attimo fuggente finì per diventare una pubblicità dei profilattici: ma va là?
Verso la fine di La lingua salvata, Elias Canetti racconta di un suo zurighese professor Keating, che in un semestre l’affascinò con l’uso del cuore e della poesia, sulla via della libertà. Poi la delusione: non sapeva nemmeno lui chi fosse e dove volesse andare, cito malamente a memoria, come avrei dovuto seguirlo io? Ma erano gli anni Venti del secolo scorso, altre tragedie dovevano arrivare, finché nascesse come dalle ceneri dell’umanità la generazione senza peccato, quella pronta a scagliare tutte le prime pietre.
La Classe morta di Kantor ovviamente non c’entra un bel nulla con le scolaresche di poeti morti di Peter Weir. O forse sì, ma sono cose che avevano senso solo ai tempi del mondo diviso in due filosofie, come quando le pubblicità dicevano che Solaris di Tarkovskij era “la risposta russa a 2001 odissea nello spazio”. E forse la serendipity dell’ignoranza quasi ci azzeccava, perché erano due modi di riflettere sul nichilismo e il Nulla eterno, solo che alla fine Tarkovskij lo chiamava sacro, e nell’occidente liberato dalla rivoluzione dolce invece non più. E’ pieno di poesia liberal anche il messaggio che la Famiglia presidenziale ha inviato: “Era un aviatore, un medico, un folletto, una tata, un presidente, un professore, un Peter Pan casinista, e qualsiasi altra cosa ci fosse nel mezzo”. E ci si spezza il cuore, pensando a Robin Williams. Ma per ammazzare una classe intera, una classe di poeti morti, ci vuole una ragione.
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