Piedi a banana
La gibbosa elezione del presidente Figc, più astrusa del Quirinale. Ma i 101 di Prodi facevano quasi gol.
Il calcio d’agosto ha sempre fatto dormire, la Juve quasi perde con un misto di asiatici, il Milan le buscherebbe anche contro l’Ncd. Il calciomercato con i pagherò è una tale noia senza sogni che presentarsi in spiaggia con la Gazza sottobraccio mette più malinconia che leggere Galli della Loggia il lunedì. Ma ieri pomeriggio, quando al terzo scrutinio quasi facevano secco Tavecchio, Carlo Tavecchio, come un Romano Prodi qualsiasi, allora l’adrenalina è venuta su come il bibitone dalla cannuccia, sembrava serata di Champions. O almeno di corsa al Quirinale. Anzi viene in mente, già che siete lì a fare le riforme balneari, perché non infilare una norma per rendere obbligatoria l’elezione del presidente della Federazione Italiana Giuoco calcio, con quella U che fa tanto ente inutile, a ogni Ferragosto? Almeno si ride. Dacché l’elezione del presidente della Federcalcio è una procedura così gibbosa, un dromedario della rappresentanza, così camaleontica ed esoterica, ma a un tempo pure micragnosa e piena di sotterfugi, di non detti, di interessi in conflitto e di cordate d’affittuari che solo l’elezione del presidente della Repubblica, tolto il grottesco del Giuoco che nulla ha a che fare con la sacralità del Colle, può valere a paragone.
Come nasce un candidato ufficiale? Mah. Si prende un nome che sia appiccicoso come una larva nel bozzolo e ci si fila intorno la massa grassa, vendendola come seta. Poi qualcuno che ha perso il filo tira fuori il Contendente. Alla peggio, un nome della società civile. Per quel che costa. Ieri quando si è aperta la prima votazione erano presenti 274 delegati per un totale di 509 voti. Per passare subito serviva la maggioranza dei tre quarti dei voti validamente espressi. Cinquecentonove. Per rappresentare chi, per cosa? Verifica dei poteri? Dei mandati? L’elezione del capo della Figc è strapaesana quanto il suo calcio, e il suo paese. Ad esempio ieri c’era ai voti questo Tavecchio. Quello della banana. Tavecchio è la cosa più simile che mi venga in mente a Giovanni Rana dei tortellini. Solo che Giovanni Rana i tortellini li ha fatti, buoni, e s’è messo su una ditta. E i tortellini ripieno banana non li ha inventati mai. In un paese normale, nemmeno serio, ma almeno autoironica, il candidato Tavecchio l’avrebbero depennato dal sugo. “Sarò il presidente di tutti, soprattutto di coloro che hanno espresso dissenso”, ha detto. Era stato quasi più creativo con le banane. Tavecchio rappresenta i dilettanti, si dice. Non si dice che è come rappresentare il ventre molle, la maggioranza silenziosa. Come gli undici undicesimi degli italiani ha giocato in una squadra di dilettanti, c’era ancora il pallone di cuoio cucito e Meazza sgambettava nelle giovanili. Ma è sempre quella roba lì. Il serbatoio del movimento, si dice. Chiunque ci ha giocato sa che è un serbatoio sempre vuoto, come le Lambrette che le riempi cinque euro alla volta. Rappresentarlo significa fargli avere i piccioli per uscire dalla riserva. E’ come essere assessore alla provincia di Teramo quando la eliminano dalla Costituzione.
Le giovanili. In Germania, in Spagna, hanno i settori del calcio giovanile. Da noi ti vengono in mente i Ringo Boys e le mamme che smacchiano le maglie, e i padri che bestemmiano dietro al figlio che non segna. “Oggi ho sentito tante chiacchiere ma ci vogliono fatti”, ha detto un presidente. Dal colpo di genio sembra Pietro Grasso, ma non è lui. Che cosa poi succeda nel settennato non si capisce. Lo sfidante, don Demetrio Albertini, è lì da otto. Arrigo Sacchi che era al settore giovanile si è dimesso per troppo stress. Pure Baggio si era dimesso dal settore giovanile per troppo stress. E dire che è buddista. Ieri alla seconda votazione c’era l’adrenalina dei 101 di Prodi. Ma la palla è rotonda.
Il Foglio sportivo - in corpore sano