Scena tratta da Il Vizietto, film del 1978 di Edouard Molianaro con Ugo Tognazzi e Jean Poiret

Il bruttino stagionato

Stefano Di Michele

Il Mr Gay World 2014 a Roma è, né più né meno, un concorso di bellezza. Ma altro che muscoloni, debutta l’intimistico dibattito su bellezza del corpo e luce interiore.

E’ che si sono ormai fatti di gusti difficili, i gay. Difficili, seppur risaputi. Avendo spesso negli occhi una volta lo smutandato Beckham e la volta appresso lo smutandato Ronaldo (peraltro affissi su manifesti murali spropositati, palazzi di diversi piani, dove il punto strategico acquista quasi la dimensione di area pedonale, di svincolo autostradale), la pretesa comprensibilmente si eleva e la comprensione inevitabilmente si abbassa. Se poi ci si mette l’annuale bisteccheria del Gay Pride, con partecipanti che quando non scelgono la strada della divertente e intelligente parodia (un po’ trans sculettanti, un po’ angeli con panza e barba) tutti inquartati e simil-palestrati si presentano: lucidi come wurstel, sodi come melanzane, depilati come pesche noci. Perciò adesso, tra la calura di Ferragosto e quella dell’ormone inquieto, il dibattito si accende e la disputa si infiamma: indispensabile sapere, per ben comparire sotto l’ombrellone. Motivo del contendere: Nicola La Triglia, candidato (anzi: delegato) della nazione italica al prossimo “Mr Gay World 2014” – a Roma a fine mese c/o locale Gay Village, peraltro in testosteronico contesto di salto della corda, sollevamento pesi e lotta grecoromana sul palco del Bar Dracca, intelligente rivisitazione, con maggior misura, del classico Bar dello Sport (guest star Vladimir Luxuria in lungo, in tali frangenti assai meglio pure della Carrà), che ha già visto gare di lancio della borsetta, corsa nei sacchi a forma di condom, salto in alto con tubino stretto.

 

E Nicola La Triglia – con quel nome felice che pare un’invenzione, da personaggio di Totò e Peppino in un film di Corbucci, del tipo rag. Guardalavecchia e rag. Colabona, che c’entra? La Triglia – ventotto anni, messinese, laureato in legge, dottorato in “Teoria degli ordinamenti giuridici” – ha sguardo vispo, non foltissima chioma e fermissima determinazione. Se la dovrà vedere con una trentina di partecipanti da ogni parte del mondo, nella “competizione più ambita del pubblico Lgbt e non solo”, parbleu! – con simil tronisti in versione cipriota o finnica, efebiche creature pendenti verso Tadzio o certi ballerini accasati da Maria De Filippi (altro inevitabile serraglio dell’immaginario gay). E qui, decisamente virando, agli smutandati palestrati innalzati a murales e a turbamento della cittadinanza per forza si torna.

 

Perché il dott. La Triglia, certo con spiccate altre qualità, in quel preciso segmento tra bicipidi e pettorali XXL, là ove l’occhio cade e il sospiro si accascia, non rientra del tutto. Anzi, quasi per niente. Gli altri candidati qua e là in giro per l’Italia, tutti una quadratura e una muscolatura sembravano. Ma ecco, La Triglia no. E’ il bravo vicino di casa. E’ studente che studia. E’ l’amico fidatissimo. E’ l’intelligente conversatore. Ma a muscoli e a chiappe e a volume tricologico come stiamo messi? Non bene, onestamente. Neanche male, del resto, ma alzando in continuazione l’asticella delle pretese, vista l’aspettativa di partenza… “Il nostro è l’unico concorso contro il razzismo estetico – dice Luxuria – E poi, scusa, con La Triglia sempre di pesce si tratta… Snobbato, a volte, ma pesce azzurro nazionale bello sostanzioso”.

 

Ma proprio perché troppo bene non siamo messi (non è messo), si è deciso di spedire La Triglia Nicola al fronte e in passerella. “Beauty is authenticity” – il grido di battaglia, “bellezza è autenticità”, tutto un richiamo al principe Miskin di Dostoevskij, “la bellezza salverà il mondo”, esagerato invocare di Antigone – il corpo di mio fratello, nessuno ci metta le mani sopra, ecc. ecc., pure Socrate lassù si profila. Sempre un problema di liberazione. Spiega La Triglia: “Soltanto i nostri corpi autentici sono liberi e dunque bellissimi”. Perciò, lui con decisione s’avanza – a voler fare il Mr. Gay planetario, “con la mia pancia, i miei peli, le mie cicatrici sul corpo io sono me stesso e per questo mi sento anche Mister! Possa questo nostro messaggio di liberazione essere un aiuto per tutti noi!”. Un po’ troppo a proclama, purtroppo, sempre questi appelli finiscono. E quando il proclama vuole essere pure politicamente corretto, spesso l’effetto è il diretto traumatico passaggio dal gay/quarto di manzo al gay/modello criceto: buono, animato dalle migliori intenzioni, de sinistra soprattutto, occhialino studioso, che si è inventato un linguaggio che per voler dire tutto si muta a volte in una gnagnarella tediosa, da rubinetto che sgocciola, di sigle e singhiozzi – Lgbt, per dire.

 

Ma Nicola La Triglia (a pensareci nome da far invidia a “Priscilla la regina del deserto”, altroché) è tendenzialmente molto oltre – oltre che parecchio sotto la muscolatura dai più esigenti auspicata. “Liberazione da ogni stereotipo ed essere finalmente se stessi, come ci percepiamo!”. Ottima cosa, con un solo problema – proprio lì la discussione si è accesa: che “Mr. Gay World”, né più né meno, è concorso di bellezza, mica seminario, gruppo di autocoscienza, film da media cinematografia italiana. Certo, si può prendere alla larga – “abbiamo il gayo compito di reinterpretare tutto il nostro punto di vista”, invocare la sacrosanta lotta contro ogni schifezza (sociale e umana, ma pure un po’ linguisticamente discutibile) di omotransfobia o di esaltazione di ogni omogenitorialità, ma fatto sta che sempre (per passare alla diretta concorrenza) in passerella mandavano la Loren o la Bosè, al più Anna Valle e la Chiabotto, mica Tina Pica o Franca Valeri, pur essendo la Pica e la Valeri di sublime bravura e di certissima intelligenza e di inarrivabile ironia – praticamente vera e propria (e pura) bellezza. Difficilmente, però, da passerella.

 

Qui siamo tutti per La Triglia, si capisce. Perché rischia: se la bellezza sarà interiore – e ce n’è di letteratura sull’argomento – il più delle volte purtroppo sempre a magra e stentata consolazione conduce, vicinissima allo sprofondo del genere: “Com’è, bello?”. “Mah, interessante, un tipo…”. Il coraggioso dott. La Triglia è oggi un po’ come il mito della “bruttina stagionata” di ieri (ispirato al romanzo di Carmen Covito), ovvio senza stagionatura: rivoluzione auspicata, ma possibile chissà – per quanto l’idea di bellezza si possa ampliare, allargare, soppalcare. Sulle foto, La Triglia appare con buffo costume tricolore, a fargli corona dei boys sfuggenti alle palestre e certi pure vicini al riposo pensionistico – la felice negazione, tra stempiature e maniglie dell’amore e peli disordinati, di tutti gli italici calciatori messi a rifiorire tra slip e boxer negli ultimi anni con pacco in vista, fresca docciatura o faticoso ma mai men che virile abbandonarsi sulle panche: ci fosse, come c’è, magari un filo di passione fetish – oppure vestito con smoking genere 007 (Raquel Welch all’orizzonte, come fu; piuttosto, si gradirebbe Rock Hudson). “Noi siamo fatti per le cose difficili”, dice. E sia. E così nelle notti del Gay Village o della Gay Street, tra le dune di Capocotta o al macrobiotico, col trainer o con l’amante con moglie a Fregene, una è la questione, il tormento, il quesito: ma il brutto (brutto, poi; via di mezzo, diciamo) può essere bello? Il “segno di Venere” che marcava la Valeri/Cesira nel film di Dino Risi, può forse mutarsi, nell’estate del 2014, nel “segno di Apollo”?

 

Sarà comunque faticoso. Il sito Spetteguless – qui siamo e qui si dibatte – è andato all’attacco: “Lady Gaga esci da questo corpo. Combattere gli stereotipi estetici legati a un concorso di bellezza (ma di che cazzo stiamo parlando) con un mare di insostenibili e banali cliché alla ‘brutto è bello’. Se ti senti Mister non hai bisogno di una fascia per dimostrarlo. Lo sei e basta”. La discussione (di costume e di misure, mai sottovalutate: i famosi centimetri di cui chiedeva notizie Mae West a Gary Grant) intorno al temerario La Triglia si è avviata. C’è chi accusa: “Buonismo inutile da Italietta ipocrita che manda un ragazzo bruttino a un concorso di bellezza per dimostrare che l’aspetto non è tutto e poi se ne fottono dei diritti di cui ci stanno privando…”. C’è chi loda: “Io lo trovo bellissimo… Ha degli occhi molto dolci e un corpo parecchio virile… Ragazze, siete tristissime, voi e questa caccia al modello in plastica vi porterà ad essere per zitelle a vita…”. Soccorre l’opinione inattesa di un “chirurgo plastico”, secondo il quale il La Triglia “lancia un bel messaggio, la bellezza è un concetto un po’ più complesso del bonazzo di turno”. Affonda invece i denti un altro del tutto insoddisfatto – presa visione del catalogo della concorrenza: “Ma la bonaggine dello spagnolo, del nordirlandese, del cipriota, del neozelandese e dell’inglese solo per citare i migliori? E noi con questo qua? Lotta col cambogiano x l’ultimo posto!!!”.

 

Macché: “Forza bruttino stagionato”. Per niente: “Non è il più cesso del gruppo. Ma si avvicina molto. Si doveva tifare Spagna”. Ognuno dice la sua: “Ma che accolita di cessi è mai quella? Lui comunque me lo farei”. Chi si indigna per un verso: “La descrizione che fate di questo ragazzo è squallida come la vostra anima… rende voi lo specchio dello schifo nel quale la nostra comunità gay sguazza. Fanculo, fanno bene a chiamarvi froci, ve la meritate tutta!”. Chi per un altro: “Se Mister Gay si basa sull’intelligenza, allora dovrebbero chiamarlo Mister Einstein, ma prima dovrebbero fare una bella prova di fisica quantistica!”. Chi chiede complesse spiegazioni: “Mr Einstein = mr intelligente… perché mr gay = mr figo??? Spiegami il collegamento gay = figo. Mr gay world = ragazzo a cui piacciono i maschi che rappresenta la sua nazione nel mondo. Punto. Siete froci e superficiali, of course”. E c’è chi esorta: “Andate a farvi meno pippe”. Andate a farvi predispone al contrario, però… “Bel ragazzo, punto”. “Imbarazzante”. Punto.

 

Virgola. Ci sono gay più avveduti che, pettorali o non pettorali, all’assalto del concorso stesso muovono: “Perché il problema di questo tipo di gare è che tendono a dare un’idea plastificata, standardizzata, della bellezza – tutta muscoli guizzanti e ore di sfinimento in palestra – che non ha nulla a che vedere, per fortuna, con la realtà, dove le regole dell’attrazione sono assai più imponderabili e sorprendenti… Mi si dirà adesso che manifestazioni come queste – o come i gay pride, per i quali però il discorso è un po’ diverso, lo ammetto – aiutano la causa omosessuale, aiutano a conquistare diritti. Non è vero. E’ un’illusione…”. S’alza il lamento: “Ho pensato a una parodia e invece è tutto vero!!!”. S’alza il mediano: “Né bello né brutto”. C’è chi obietta risoluto: “E tu chi sei, la gestapo della bellezza?”. Qualcuno si espone: “Il prossimo che dice che i gay sono belli dovrà vedersela con me!”. Ci sono gli spietati con lo spericolato La Triglia: “Pura ipocrisia, scommetto che se Nicola potesse schioccare le dita ed essere magro, tonico, con tanti capelli e senza peli sulla schiena, le schioccherebbe eccome, le dita!!!”. Chi lascia un certo margine: “Se l’alternativa sono gli altri, hanno fatto benissimo a scegliere lui!”. Chi giò formula esatta precisa graduatoria dopo riflessiva osservazione: “Cipro, Austria e Messico hanno il mio voto, altri fanno spavento. L’italiano non è il peggio, direi un 6… Ma ci sono pochissimi 8 e nessun 10. Molti 2 e alcuni che sono inqualificabili”. Chi, chiacchiera e chiacchiera, mica si rassegna: “In genere il mister gay, miss Italia, mister riviera o mister sticazzi, sta a significare un concorso di bellezza fisica! Pur di rompermi i coglioni fate finta di non conoscere i concorsi di bellezza…” – non proprio un seguace di Hume, che potrebbe soccorrere nel parapiglia non meno del povero Dostoevskij, secondo il quale “la bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla”.

 

Molto è rimirato – La Triglia. Soppesato. E del resto, molto se l’è cercata. “Il nostro obiettivo è far veicolare il messaggio ai tanti giovani (non solo gay) che anche esteticamente non si accettano e che per questo soffrono”. Bell’intendimento, rimarchevole proposito – ché la vita, si sa, è qualcosa di più della depilazione a luce pulsata, del bilanciere alla panca piana e della spiaggetta di Mykonos (ché ormai ci va pure il geom. del piano di sotto: con la suocera). Ma in fondo, avendo gli stessi omosessuali costruito il proprio immaginario (quasi ovvio, del resto: sul fronte opposto si aspirava alla Bellucci, qualche raffinato datato alla Audrey Hepburn, pochini alla maestosa Ave Ninchi) col concorso di stilisti e televisionari e scrittori (persino se si va sulla complicazione massima, dal borgataro rendentore di Pasolini – si è visto!, all’esigente palestrato di certi romanzi di Walter Siti), adesso ne sono in qualche modo catturati. Il corpo, sempre e comunque, il corpo prima di tutto – persino Michelangelo, per dire, che pure doveva mettere su il Giudizio Universale, mica il Gay Pride, si attardò su muscolatore e stacchi di cosce, chiappe e genitali, e servì il pennello (senza metafora) fesso del Braghettone per piazzare qua e là stracci e foglie di fico – salva forse la bellezza, oltre che il mondo, pure l’aldilà.

 

Poi, ah sì, l’amore… Ah sì, l’intelligenza… Ah sì, la simpatia… Il meglio, si capisce – tutto sta ad arrivarci: satolli e pacificati. Intanto, un’esasperazione mediatica alla cui pressione resistere pare complicato, pure per gli stessi gay. E qui, in questa tenzone, si è gettato La Triglia – a caratura fisica normale, diciamo: quasi come il matrimonio in bianco che ogni omosessuale di mezza età si è messo a sognare; quasi come i bastoncini di pesce ora condivisi col compagno e con mammà. E’ il Bolivar del Gay World, La Triglia. Ed Libertador degli stessi gay dal loro senso comune, dalla loro perenne scenografica Pleasantville – tanto che parlando dei suoi genitori col blogger Dario Accolla ha detto: “Sono loro i modelli cui io mi ispiro. Infatti, se penso al mio domani io vorrei diventare marito e padre e fare quello che i miei genitori hanno fatto per me”. La faccenda ha una sua indubbia complessità, ma anche sicura propensione alla “casalinghitudine” post laurea. Forse è l’ora, forse è tardi – ché sempre un po’ il desiderio (basta guardare i restanti ventinove e passa candidati) resta stagnante tra il barone von Gloeden e Tom of Finland (con innesto di qualche stilista che ti innalza il culo su braghette fucsia).

 

Vedere come si classificherà a fine mese l’ardito Nicola La Triglia sarà appassionante come sapere il destino dell’Italia ai mondiali (se poi sarà lo stesso, la mente giuridica gli fornirà apposite consolazioni intellettuali e di vita). Intanto il suo proclama “Bellezza è autenticità” l’ha fatto riprodurre il ventitrè lingue – sfidando persino saggezza e sapienza di grandi poeti come Sandro Penna: “Sole senz’ombra su virili corpi / abbandonati. Tace ogni virtù”. Mica troppo altro – si sapeva, e forse si sa. Tace. La virtù. Ma allora era lontano il politicamente corretto (giusto spesso, a volte sconsiderato) come il Gay Pride come il Mr Gay World – vota La Triglia! vota La Triglia! vota La Triglia!

 

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