Il discorso in Crimea
Putin abbassa i toni perché le sanzioni cominciano a mordere
Il colosso di stato Rosneft chiede al governo 45 miliardi di aiuti, l’inflazione tocca quasi il doppio delle previsioni. In cerca di cipolle e latticini.
Milano. Il passaggio della Crimea dall’Ucraina alla Russia “non è un’annessione, ma un atto di democrazia” e contestarlo come illegale è “ridicolo”. Vladimir Putin atterra nella penisola della discordia con un paio di centinaia di deputati della Duma, ministri scelti e big della cultura per ribadire che “la Crimea è nostra”, nonostante Kiev lo accusi di essere entrato “illegalmente” in un territorio che continua a rivendicare come suo. Ma il grande happening del presidente russo con i suoi fedelissimi non porta nuove controsanzioni verso l’occidente, né rotture unilaterali di accordi internazionali sul disarmo o il diritto internazionale, come annunciavano le anticipazioni della vigilia.
I deputati – tra i quali il capo del comitato Esteri della Duma Alexei Pushkov, che il giorno prima aveva proclamato che la Russia “è sull’orlo della guerra con l’Ucraina” – hanno applaudito l’annuncio di nuovi miliardi stanziati per la Crimea, e la proposta di Vladimir Zhirinovsky di restaurare la monarchia e nominare Putin “sovrano supremo”.
Il capo del Cremlino si è mostrato però prudente nel non dare corda troppo a chi in sala chiedeva ulteriori rotture con l’occidente. Anche perché la situazione, nonostante i sondaggi continuino a mostrare un consenso stellare intorno all’87 per cento non è rassicurante. Ieri il governo russo ha promesso le prime esenzioni al controembargo sugli alimentari americani ed europei introdotto una settimana fa dal Cremlino nella speranza di spezzare il fronte occidentale. I diabetici e celiaci russi, che al 90 per cento si approvvigionavano all’estero, potranno riavere la loro dieta, e un’altra eccezione riguarda l’allevamento ittico, sull’orlo del fallimento dopo il divieto sulle importazioni. Nonostante Putin ieri abbia spiegato le controsanzioni come una misura “in sostegno del produttore nazionale”, emissari del governo volano in sud America e in Turchia per contrattare urgentemente forniture sostitutive, e Putin nel ricevere il leader egiziano Abdel Fattah al Sisi ha dato alle importazioni dall’Egitto di cipolle, aglio e patate la priorità rispetto alla vendita di armi russe.
L’inflazione al 7,6 per cento è intanto già quasi il doppio delle previsioni e su alcune categorie di prodotti – soprattutto quelli “sanzionati” come latticini, carne e pesce – ha superato il 10 per cento. Il governo ha congelato i contributi pensionistici ai fondi privati (quelli del 2013 sono già stati dirottati verso la Crimea senza troppo clamore) per avere più liquidità. E il colosso petrolifero statale Rosneft ieri ha chiesto al governo finanziamenti straordinari per superare gli effetti delle sanzioni. La cifra è astronomica: quasi 45 miliardi di dollari, di cui la maggior parte dovrebbe andare a coprire debito e interessi (dovuti a banche occidentali) per l’acquisto della Tnk-Bp. Il pronostico dell’ex ministro del Tesoro Alexei Kudrin che l’economia russa sotto sanzioni avrebbe “retto non più di sei settimane” sembra avverarsi, ma se il raduno in Crimea aveva uno scopo era quello di mostrare alla Russia e al mondo che Mosca non ha intenzione di cedere sul conflitto ucraino.
“Il convoglio di Troia”
Nei campi al confine con l’Ucraina intanto si è “perso” il famigerato convoglio umanitario che Mosca ha inviato due giorni fa nell’est del paese dove sono in corso i combattimenti. Kiev sostiene di ignorare dove si trovino i 287 camion con i soccorsi, dopo essersi rifiutata di farli accedere sul proprio territorio. I giornalisti che accompagnano il convoglio sostengono che dopo una sosta notturna a Voronezh la colonna si trovi ora nella regione di Rostov sul Don, a una trentina di chilometri dal tratto di frontiera controllato dai separatisti filorussi. Il governo ucraino ha promesso di bloccare un tentativo di sconfinamento senza patrocinio della Croce Rossa “con ogni mezzo”. Che forse è proprio quello che vogliono i russi. I reporter occidentali hanno infatti avuto modo di sbirciare dentro i camion e a quanto pare sono effettivamente pieni di grano saraceno e carne in scatola. Ma i “volontari” di un’organizzazione ignota che scortano i camion – riverniciati di bianco di fresco, ma dentro sono ancora verde militare – sostengono di ignorare la destinazione finale. Se il convoglio entrasse a Lugansk i russi potranno mostrare come portano aiuti alla popolazione sotto le bombe ucraine. Se venisse fermato, magari con la violenza, darebbe a Mosca una grande opportunità propagandistica e, forse, anche un pretesto per un “intervento di pace”. Forse proprio per questo Washington ha insistito con Poroshenko perché accettasse il “convoglio di Troia” russo.
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