Il piccolo Chávez
Maduro presidente anche del partito: “Bisogna radicalizzare la rivoluzione”. Ma dovrà vedersela con l’aumento della benzina.
Un tedesco, un francese, un italiano, un cubano, uno spagnolo e un venezuelano si contendono un’eredità. “Il futuro dell’umanità si decide in America latina”, proclama il tedesco. “La teoria deve nascere dal popolo e dagli intellettuali a esso organici, e questa condizione si compie solo in America latina”. “Sto con la gauche perché penso di essere stato fortunato. E vorrei che tutti potessero avere la mia stessa fortuna”, spiega il francese. Intanto l’italiano viene cacciato, il cubano prende il suo posto, lo spagnolo diventa deputato europeo e il venezuelano dice che per “radicalizzare la rivoluzione” dopo Ferragosto proverà finalmente a far pagare la benzina almeno come l’acqua, in un paese che è abituato a bruciarla a due centesimi di dollaro al litro. Non fa ridere? E’ che non è una barzelletta. E’ il Venezuela dopo la “Plenaria nacional” del terzo congresso del Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) che si è tenuto dal 26 al 31 luglio. Le prime grandi assise del partito chavista dopo la morte di Chávez.
Iniziamo dal tedesco, anche se da tempo messicanizzato: Heinz Dieterich Steffan. Laurea in Sociologia nel 1973 proprio nella Francoforte della “Scuola” di Marcuse; nel 1976 seconda laurea in Economia a Brema; dal 1984 all’Università autonoma metropolitana di Città del Messico, dove ha insegnato Sociologia e metodologia. Difensore a oltranza del regime cubano anche quando altri intellettuali simpatizzanti come José Saramago o Eduardo Galeano prendevano le distanze da repressioni e fucilazioni, autore di un famoso libro-intervista con Chávez, Dieterich è colui che ha inventato la definizione stessa di “socialismo del XXI secolo”. Cioè, l’etichetta che il caudillo fece propria proprio in quel periodo 2004-2007 in cui Dieterich fu suo strettissimo consigliere. In pratica, è stato lui il grande regista della radicalizzazione del regime bolivariano, in base ad aforismi tipo “il Parlamento e il sistema elettorale della partitocrazia come lo conosciamo oggi (Democrazia Rappresentativa) sono controllati dalle élite economiche e non avranno spazio nella democrazia futura”. O “la grande impresa privata, che in termini organizzativi è una tirannia privata di struttura militare, è incompatibile con una democrazia reale e sparirà come tale”.
Poi i francesi: sono in effetti diversi. Iniziamo da Ignacio Ramonet, che in realtà è spagnolo, ma a Parigi è insediato, come docente alla Sorbona e storico direttore del Monde Diplomatique. E’ lui, dal 1999, il grande plenipotenziario del chavismo presso la gauche caviar. A sua volta di origine ispanica ma francese di nascita e considerato il fiduciario diretto di Ramonet presso il governo di Caracas è Maximilian Sánchez: una specie di Casarini parigino, che da factotum in una scuola di lingue nel 2001, fervente di entusiasmo per la rivoluzione bolivariana, si mise a disposizione dell’ambasciata venezuelana a Parigi. Ne ricevette un passaporto grazie al quale, pur sprovvisto di laurea e malgrado il suo fortissimo accento transalpino, è diventato prima ambasciatore della Repubblica bolivariana in Brasile e ora addirittura negli Stati Uniti. Ma il francese oggi più importante, quello appunto che si dice di sinistra perché ricco, è Matthieu Pigasse. Simbolicamente nato nel fatidico maggio 1968, rampollo di una famosa famiglia di giornalisti, studi all’Ena, fucina delle élite francesi, è stato amministratore civile dei ministeri dell’Economia e delle Finanze; consigliere dei ministri Strauss-Kahn e Fabius; direttore generale della Banca Lazard in Francia; vice-presidente di Lazard in Europa; proprietario e presidente del magazine Les Inrockuptibles; azionista del Monde e dell’Huffington Post. Organizzatore di un famoso concerto per festeggiare il trentennale dall’elezione di Mitterrand, lo chiamano “il banchiere punk rock”, per il poster dei Clash che tiene sulla scrivania. Membro del think tank socialista Fondazione Jean Jaurès e dello staff della candidatura presidenziale di Ségolène Royal, dopo essere stato eminenza grigia di vari grossi affari, ultimamente è tornato a mettere a disposizione il suo know how di cause progressiste: la rinegoziazione del debito argentino e di quello iracheno, la nazionalizzazione del gas boliviano, la ristrutturazione del debito pubblico greco. Adesso viene indicato come il grande “consigliori” dell’erede di Chávez, Nicolás Maduro, e presumibilmente la sua interfaccia con Hollande.
L’italiano è invece il 74enne Jorge Giordani. Che per la verità è nato nella Repubblica Dominicana da madre venezuelana, e in Venezuela è venuto quando aveva due anni. Ma suo padre era un antifascista italiano combattente nelle Brigate Internazionali in Spagna, e nell’italiana Università di Bologna ha preso la sua laurea in Ingegneria elettronica, cui ha poi aggiunto un dottorato in Pianificazione nel Regno Unito e una docenza all’Università Centrale del Venezuerla. Chiamato “il monaco” per il suo stile austero e la sua dedizione stakanovista al lavoro, è colui che dal 1999 come ministro della Pianificazione ha quasi ininterrottamente gestito l’economia del Venezuela bolivariano. Sua, in particolare, la responsabilità del draconiano regime di cambi che secondo lo stesso Chávez doveva servire per “lasciare a secco di dollari i nemici della Rivoluzione”, e che ha lasciato invece i venezuelani in blocco alle prese con le penurie più severe e con un’inflazione del 60 per cento. Già il 21 aprile 2013 Maduro aveva dunque scorporato dal suo ministero le Finanze, e la cosa era sembrata un tentativo di ridimensionarlo. Nell’ultimo rimpasto del 17 giugno, poi, lo ha rimosso completamente dal governo, pur dando un pubblico ringraziamento al “compagno di tutti questi anni di lotta, compagno del nostro comandante Chávez”.
Formalmente al suo posto è andato il geografo Ricardo Menéndez, già ministro dell’Educazione Universitaria e dell’Industria. Ma lo stesso Maduro ha fatto capire che il vero nuovo regista dell’economia venezuelana sarà il cubano: il settantottenne Orlando Borrego, “incorporato in un’équipe speciale assieme al ministro Ricardo Menéndez per preparare un insieme di piani al fine di fare una rivoluzione totale e profonda dell’amministrazione pubblica”. Sempre Maduro ha ricordato che “fu compagno del Che nelle battaglie della rivoluzione”, e in effetti i giornali hanno tirato fuori alcune foto in bianco e nero degli anni 60 assieme a Guevara, quando era viceministro dello zucchero. In realtà, i fratelli Castro lo avevano già mandato in Venezuela nel 2008, per aiutare il ministero delle Comuni nella cosiddetta Missione Che Guevara. Rimandato a supervisionare l’economia venezuelana ad aprile, secondo molti con le sue foto assieme al Che rappresenta solo una “foglia di fico” a una svolta di tipo efficientista in stile cinese, ipoteticamente studiata da Pigasse. Dopo che Pechino aveva lanciato il “comunismo di mercato” e Raúl Castro il “socialismo al rum”, l’etichetta che Maduro ha lanciato dalle assise del III congresso è stata quella del “socialismo produttivo”. Secondo molti un ossimoro, che però troverà il proprio banco di prova in un referendum per abolire il prezzo politico della benzina: un peso da 15 miliardi di dollari all’anno, ma da sempre alla base del consenso sociale in Venezuela. Fu quando provò a toccare le tariffe dei trasporti nel febbraio del 1989 che Carlos Andrés Pérez dovette affrontare la rivolta del Caracazo: pietra tombale morale della Quarta Repubblica venezuelana, e mito fondante della rivoluzione chavista.
E poi c’è lo spagnolo. Pablo Iglesias: il politologo leader di quella nuova lista Podemos, che raccogliendo il voto degli Indignados con un look a metà tra Cinque Stelle e Sel alle ultime europee è diventata a sorpresa il quarto partito di Spagna. Ma dietro a Podemos c’è un think tank che si chiama Centro de estudios políticos y sociales (Ceps), che ha sede a Valencia, e che ha fornito assistenza giuridica e politica a molti dei governi dell’ondata a sinistra latino-americana: dal Venezuela dello stesso Chávez, all’Ecuador di Rafael Correa, alla Bolivia di Evo Morales, al Paraguay del vescovo Lugo e al Salvador di Mauricio Funes. Non gratis: il governo di Caracas, in particolare, l’ha foraggiata con 3,7 milioni in dieci anni. Sono uomini del Ceps che hanno lavorato con Chávez sia Íñigo Errejón, capo della campagna del Podemos, sia il politologo Juan Carlos Monedero, addetto a programma e strategia.
Insomma, mentre il Psuv celebra il primo congresso del dopo-Chávez, l’ideologia chavista registra uno strepitoso successo internazionale sbarcando con una sua rappresentanza al Parlamento di Strasburgo. E sembra infatti celebrarlo il lemma “Unità, lotta, battaglia e vittoria!” scritto nella prima pagina del documento di convocazione del terzo congresso del Psuv. Un processo iniziato l’11 e 12 aprile con le assemblee statali e che, come già ricordato, è culminato il 26, 27 e 28 luglio. Un terzo congresso che formalmente è il primo ordinario. E’ definito infatti Congresso di fondazione quello con cui il 12 gennaio del 2008 il Movimento Quinta Repubblica di Hugo Chávez si fuse con altri nove movimenti minori. Mentre è definito Primo congresso straordinario quello che fu inaugurato con una sessione di apertura il 21 novembre 2009 e portò all’approvazione di principi, statuti e basi programmatiche del partito il 24 aprile 2010.
Se c’è una vittoria, è l’unità però che latita, mentre lotte e battaglie si sono scatenate all’interno stesso del partito la cui presidenza dopo la morte del leader è rimasta vacante fino al congresso. E’ stata la destituzione di Giordani a dare fuoco alle polveri, per la violenta lettera aperta con cui ha risposto. Il contesto è quello di una crisi gravissima, in cui un genere di prima necessità dopo l’altro sparisce dalla circolazione. Dopo i black out a catena e la scomparsa di carta igienica e carta da giornali, gli ultimi allarmi sono stati quelli sui voli e sulle bare. Il secondo, se vogliamo, è più folklorico, anche se collegato a un ulteriore problema gravissimo come quello della criminalità: con 11.000 omicidi nel solo 2013, il 70 per cento dei funerali riguarda ormai morti ammazzati. Il crollo della produzione siderurgica nazionalizzata e i troppi vincoli all’import di materia prima hanno dimezzato la produzione di catafalchi. L’emergenza è stata in qualche modo aggirata raddoppiando le cremazioni. Ma a giugno 16 delle 25 compagnie aeree operanti nel Paese, compresa l’Alitalia, hanno rifiutato le proposte del governo per saldare i debiti arretrati, mentre il sistema di cambio portava i costi dei biglietti alle stelle. 4000 dollari per l’Europa, 2000 dollari per Bogotá… Ultimissima notizia, nell’aeroporto Santa Barbara dal primo luglio è stata istituita una surreale tassa da 20 dollari sull’aria che si respira, per finanziare il nuovo sistema ozonificatore. Chi non paga resta a terra anche col biglietto in mano…
L’opposizione è in questo momento più divisa che mai. Da una parte, l’ala moderata che ha accettato una mediazione di Unasur e del nunzio apostolico che non sta portando da nessuna parte. Dall’altra, l’ala radicale falcidiata da arresti e denunce. Ferme al momento anche le proteste, dopo un saldo di 42 morti, 800 feriti e migliaia di detenuti. Ma i sondaggi dicono che, se si votasse ora, Maduro non oltrepasserebbe il 35 per cento, con il 42 di qualunque candidato dell’opposizione. E un minaccioso avvertimento è arrivato con le suppletive in cui Patricia de Ceballos e Rosa de Scarano, mogli di due sindaci dell’opposizione arrestati e condannati a 12 e 10 mesi, sono state elette a valanga. Patricia ha avuto il 74 per cento dei voti a San Cristóbal, dove il marito aveva avuto il 67. Rosa l’88 per cento a San Diego, dove il marito aveva preso il 75.
E’ stato appunto dopo questo campanello di allarme che Maduro ha rimosso Giordani. Ma “l’italiano” non c’è stato a fare da capro espiatorio, e “per ragioni di coscienza” ha scritto sul portale rebelión.org e sul sito web Aporrea, da sempre tribune dell’area più radicale del chavismo, il documento “Testimonianza e responsabilità di fronte alla Storia”. Tesi di fondo: Maduro “non trasmette leadership” e si limita a ripetere gli slogan di Chávez “senza la dovuta coerenza”. Ma ha pure denunciato la “connessione francese” che starebbe mettendo le mani sul Venezuela, e ha accusando Maduro di aver sviato 20 miliardi di dollari. Con Giordani si è infatti subito schierato con un’altra lettera l’ex-ministro dell’Educazione e dell’Energia elettrica Héctor Navarro, subito sospeso dalla direzione nazionale del partito: una decisione definita “gravissimo errore” dall’ex-ministro delle Finanze Rafael Isea. E il 30 giugno un’altra lettera è stata sottoscritta da Yoel Acosta Chirinos: uno dei quattro ufficiali che accompagnarono Chávez nel suo fallito golpe del febbraio 1992. “La rinuncia di Maduro e dei suoi ministri è inevitabile, più tempo è un sacrificio inutile”, dice il documento, firmato anche da Carlos Guyón, un altro ufficiale protagonista di quegli eventi, che chiede ai militari di “assumere la loro missione storica di salvare la democrazia”. Un terzo militare ribelle del 1992 che ha quasi in contemporanea attaccato Maduro – “stiamo vivendo la controrivoluzione”, ha detto – è stato Florencio Porras: già per otto anni governatore chavista dello stato di Mérida. Da lui è venuta anche una dura critica alla decisione del Tribunale supremo di giustizia che permette ai militari di partecipare ad azioni di proselitismo politico. Una ulteriore bordata è venuta da Freddy Bernal, dal 2000 al 2008 sindaco di Caracas, e che a sua volta fu uno dei congiurati in divisa del 1992, anche se non come soldato ma come agente delle operazioni speciali della polizia: “Non sarebbe male per il governo avere consiglieri economici che siano non solo chavisti ma anche economisti”. C’è dunque un “rumore di sciabole” che ha costretto lo stesso capo del Comando strategico operativo delle Forze armate, il generale Vladimir Padrino López, a rilasciare un’intervista tv per ribadire la fedeltà dei militari al presidente.
Gran finale, è sceso in campo appunto Dieterich, sparando contro tutto e tutti. Contro Maduro: “In realtà non governa. Questo è uno dei governi più inetti della storia dell’America Latina”. Contro la Connessione francese: “Una nube di consiglieri socialisti francesi con in testa Matthieu Pigasse, banchiere multimilionario, comproprietario della pubblicazione del Monde Diplomatique e auto dichiarato ribelle contro l’establishmrent borghese, che ha assistitto i governi di Ecuador, Argentina e Grecia in piani macroeconomici”. Contro Ramonet: “Uno degli intellettuali che più si è beneficiato della rivoluzione bolivariana”. E così l’ideologo del “socialismo del XXI secolo” sembra accreditare quel che avevano sempre detto gli oppositori venezuelani, sui fiumi di petrodollari attraverso i quali Chávez avrebbe salvato il Monde Diplomatique dal fallimento. Ma il terribile tedesco non salva neanche Giordani: “Un economista mediocre con idee di cent’anni fa”.
Ideali a parte, Maduro tiene anche famiglia, come ha appena dimostrato col nominare direttore della Scuola di cinema il figlio, che si chiama anche lui Nicolás: un 23enne senza arte né parte. Per blindare il congresso ha dunque raggiunto un accordo di ferro da una parte con lo “zar economico” Rafael Ramírez, presidente della società petrolifera di stato Pdvsa, alla cui corrente appartiene il successore di Giordani. Dall’altro con il presidente dell’Assemblea nazionale Diosdado Cabello: leader di un’ala militare che al momento della successione appariva suo possibile rivale, e potenziale critico dell’eccessiva subordinazione a Cuba. Ma anche i militari in questo momento vengono trattati più che bene. Sicuro sulle retrovie, ha dunque attaccato a fondo coloro che “vanno tirando fuori lettere per distruggere la rivoluzione e giustificare i loro errori”, chiedendo ai membri del partito “lealtà e disciplina massime”, e arrivando ai limiti della polemica anti intellettuale. “Preferisco i consigli del popolo a quelli dei falsi scienziati”. Subito appoggiato dall’ex vicepresidente e attuale sindaco di Libertador Jorge Rodríguez: “Gli studi sono necessari, ma non danno la sapienza”. E il presidente della Repubblica è stato così consacrato anche presidente del partito, senza sorprese.
Proprio perché l’ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù, l’annuncio dell’intenzione di iniziare a essere “produttivi” a partire dall’aumento dei prezzi della benzina è stata accompagnata da slogan incendiari. “Bisogna accelerare la rivoluzione di fronte alle minacce imperiali, non possiamo accettare né minacce né sanzioni dell’impero statunitense. Dobbiamo accelerare e radicalizzare la rivoluzione”. Durante il congresso il Venezuela è andato perfino a un passo dallo scontro con l’Olanda, a causa dell’ex comandante dei servizi generale Hugo Carvajal che, da tempo ad Aruba dopo essere stato designato console, invece delle credenziali ha ricevuto a sorpresa un arresto, con minaccia di estradizione negli Stati Uniti per accuse di narco-connessioni con le Farc. Dopo quattro giorni è stato però semplicemente espulso: dopo che, assicurano gli olandesi, navi militari venezuelane avevano iniziato a circondare Aruba e l’altra dipendenza caraibica di Curaçao. Poco dopo, 24 pezzi grossi venezuelani si sono visti negare il visto negli Stati Uniti: ministri, militari, giudici, consiglieri di Maduro e funzionari accusati di aver contribuito a “violare i diritti umani in Venezuela”. Ma è da quando l’èra chavista è iniziata che continuano queste schermaglie tra Caracas e Washington, senza che il business petrolifero si fermi mai. Piuttosto, il fatto che dopo alcuni dissapori Maduro si sia visto con il rieletto presidente colombiano Juan Manuel Santos è servito a ribadire l’appoggio del Venezuela al processo di pace con le Farc. E finché questo non si risolve, anche i governi latino-americani moderati hanno un interesse a che Maduro resti al potere.
Il problema vero è che cosa accadrà con l’aumento del prezzo della benzina, con l’avversario alle presidenziali di Maduro Henrique Capriles che ricorda polemicamente i 7 miliardi di dollari in petrolio regalati ogni anno dal Venezuela bolivariano ad alleati e clienti. “Il piano di Maduro è silenziare ogni protesta che possa sorgere con le misure che saranno annunciate dopo il 15 agosto”, ha avvertito sul suo quotidiano Tal Cual l’ex guerrigliero, ex ministro e nume tutelare della sinistra anti chavista Teodoro Petkoff.
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