Mario Balotelli (Foto Lapresse)

Fratello dove vai?

Lanfranco Pace

Un lusso, un’alea, ma anche un’attrazione irresistibile e fatale. Pensieri tristi d’addio per Balotelli.

Balotelli se ne va. Lascia orfani i tanti fessi che hanno voluto farne il simbolo di un paese multietnico e di un calcio colorato e per questo migliori, che poi non si è mai capito perché. Lui, che meticcio non è, mai si è sentito tale, anzi più volte ha detto di sentirsi profondamente e assolutamente nero, fratello fra i suoi fratelli, torna nella Premier League da dove venne un paio di anni fa, destinazione Liverpool: guadagnerà di più e giocherà in un campionato che gli piace assai.

 

Se ne va dunque un calciatore, semplicemente. La sua carriera ha pochi alti e molti bassi. Centravanti atipico, ama partire da dietro e non sostare nell’area di rigore, il guaio è che ci mette tre piombi a girarsi quando è spalle alla porta. Carattere irrisolto, e forse mai risolubile, uomo della provvidenza in azzurro fino al tracollo in Brasile, in due anni sotto questi cieli ha mostrato soprattutto vistosi limiti: non è tipo da mettersi una squadra a cavacecio e portarla alla meta. In campo ha forti cali di concentrazione, gira come un vagotonico, trenta secondi corre e dieci minuti deambula, quando il gioco si complica quasi mai fa la cosa giusta, se c’è un imbuto anziché evitarlo ci si infila: frenesia sessuale del pertugio, libidine dello sfondamento, molto testosterone ma cervello ai minimi.

 

Nel mio piccolo ho sempre pensato che anche quando stava all’Inter fosse più che un lusso, un’alea, un lancio di dadi: con lui non sai mai se giocherai in dodici o in dieci, tutto dipende dall’umore, dallo stato della psiche. Tant’è che ha dato la stura quasi a un mestiere: lo scrutatore preventivo, in genere telecronista o commentatore di preferenza targato Rai, che ci ragguagliava se al momento di entrare in campo era sorridente, scherzava con i compagni o se era accigliato, incupito. E’ successo però che anche quando sembrava di umore stabile e sereno ha fatto partite da dimenticare.

 

Il nostro presidente a vita, come si sa, chiede disciplina, uno stile di vita da vestito trois-pièce e taglio di capelli conseguente, per mamme d’Italia. Non lo voleva, all’inizio lo bollò come mela marcia che avrebbe contagiato lo spogliatoio, per inciso magari potesse convincere qualcuno o infettare alcunché, sarebbe comunque una prova di carattere, dell’esistenza di carisma. A giugno si lamentava per la svalutazione del suo manzo dopo l’eliminazione precoce dell’Italia dal Mondiale, chi me lo compra più adesso, diceva: ora respira, il Milan si è tolto una spina dal piede e incassa un tesoretto, i nobili decaduti devono fare attenzione a certi dettagli. 

 

Da milanista dovrei rallegrarmi, in realtà sono triste. Dopo una vita di attrazione irresistibile e fatale per le cause perse, speravo che almeno una volta i fatti portassero smentita, mi sorprendessero. Speravo anche per lui, che la sorte gli riservasse sottile, profumata rivincita, sul colore della pelle, sulla faglia dell’abbandono e dell’adozione. Mi dicevo che se pure è vero che ha troppo poco cervello per imparare a giocare come si deve, il giudizio non è mio, è di Mourinho, che ha avuto tempo e modo per vederlo all’opera e soppesarlo, questo qui, mi dicevo, ha pur sempre un fisico pazzesco: anche a Hollywood il corpo ha la sua autonomia, non necessariamente occorre troppo cervello per diventare una grande stella. Speravo dunque che dicesse no, non vado a Liverpool, Milano sarà pure una gazzosa sfiatata ma qui mi accuccio, qui imparerò a lottare, a soffrire. Non sono come Ibrahimovic che nomade è nell’anima, ma ho letto la sua autobiografia, ci ho fatto anche un selfie e voglio davvero diventare come lui, devastante. Già.

  • Lanfranco Pace
  • Giornalista da tempo e per caso, crede che gli animali abbiano un'anima. Per proteggere i suoi, potrebbe anche chiedere un'ordinanza restrittiva contro Camillo Langone.