Mondo cane eterologo
Partiamo subito, dicono i centri di procreazione. E i tribunali si accodano, senza capire i rischi micidiali dell’“assemblaggio” di un figlio fuori da regole certe.
Il responsabile scientifico del centro di procreazione Tecnobios di Bologna, Andrea Borini, nel compiacersi dell’ordinanza del tribunale della sua città che ha dato il via libera all’eterologa per due coppie che ne hanno fatto richiesta, ha detto al Corriere della Sera che non bisogna preoccuparsi di vuoti normativi, per esempio sul numero di donazioni di gameti da parte della stessa persona, anche perché “la possibilità che in futuro si possano accoppiare due figli dello stesso donatore biologico è pari a un milionesimo su una popolazione come quella italiana di 60 milioni di abitanti”. Alla spensierata matematica di Borini si può replicare (oltre che con le considerazioni di un editoriale in tema, sul Foglio di ieri), con una semplice domanda: quante probabilità c’erano che due donne con il cognome con lo stesso numero di lettere – sette – di cui cinque uguali, e con le prime tre uguali, si trovassero nello stesso centro di procreazione medicalmente assistita la stessa mattina, una dopo l’altra, per trasferire lo stesso numero di embrioni? E’ quanto si è verificato nel caso dello scambio di embrioni al Pertini: evento all’apparenza impossibile (altro che un milionesimo di possibilità), eppure accaduto, con le tragiche conseguenze ormai a tutti note.
Non stupisce la leggerezza di chi vede aprirsi anche in Italia il gran mercato dell’eterologa, e comprensibilmente scalpita per poter dare avvio alle danze. Sorprende semmai l’atteggiamento di amministratori come il governatore della Toscana, Enrico Rossi, che si è fatto paladino del “liberi tutti” con apposita delibera, nella quale si prevede un ticket di 500 euro per il trattamento eterologo e il numero massimo di sei donazioni da parte di una stessa persona (con una curiosa prescrizione: i donatori non possono essere giocatori d’azzardo), e l’apertura a pazienti di tutta Italia. L’idea che la Toscana diventi la terra promessa dell’eterologa, in attesa delle linee guida nazionali e di un intervento normativo delle Camere (sollecitato dallo stesso premier Renzi, compagno di partito di Rossi), fa solo superficialmente i conti con bazzecole come la tracciabilità del donatore. “Solo una legge nazionale può assicurarla – dice la deputata Ncd Eugenia Roccella – per evitare casi drammatici come quello dello scambio degli embrioni avvenuto al Pertini, fino alla regolazione delle donazioni e degli screening. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale l’eterologa è legale. Ma come ha detto il vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica, Lorenzo D’Avack, chi la praticasse farebbe bene a munirsi di una batteria di avvocati per affrontare gli inevitabili contenziosi che potrebbero aprirsi”.
Chi garantisce la protezione dalla diffusione, a partire dallo stesso donatore, di malattie gravissime e invalidanti, come nel caso del donatore danese 7042, che ha trasmesso la neurofibromatosi a circa cento bambini? Chi conta i figli nati dallo stesso donatore, e in quali zone, in assenza di un registro nazionale che oltretutto andrà coordinato almeno con l’Europa, visto che è prevista l’importazione di gameti? Chi evita l’inconsapevole donazione tra consanguinei? Di certo non le linee guida regionali toscane. E’ il parere anche di un altro compagno di partito di Rossi, il pisano Federico Gelli, medico e deputato. Intervistato da Avvenire, due giorni fa, Gelli ha detto che è essenziale istituire una banca dati nazionale dei donatori e dei riceventi (da affidare al centro nazionale trapianti) che permetta di conservare traccia dei soggetti coinvolti nell’eterologa.
C’è poi la questione della scelta delle caratteristiche somatiche del donatore. Questione cruciale nel procedimento di “assemblaggio” di un figlio chiamato eterologa. Alcune associazioni come Hera Onlus e Sos Infertilità Onlus, sempre nella fretta di avviare la pratica, a giugno, nel corso di un convegno alla Camera, hanno decretato (testualmente), che nell’eterologa all’italiana “i pazienti che ricorrono alla donazione dei gameti non possono scegliere in alcun modo il donatore” e che tuttavia si deve tener conto “solo delle caratteristiche di razza dei pazienti”. C’è davvero da stare allegri, a partire dal lessico usato.
C’è insomma una sottile vena eugenetica che percorre – necessariamente, verrebbe da dire – la pratica dell’eterologa. Si giustifica la scelta del colore di occhi, del colore dei capelli e della precisa sfumatura dell’incarnato del donatore con l’idea che la somiglianza con i “genitori sociali” implichi maggiore accettazione e minori problemi per il nascituro. Ma succede anche che una clinica di Calgary (Canada) abbia di recente rifiutato a una donna bianca la fecondazione con seme di diversa etnia, nonostante fosse stata chiesta esplicitamente dalla donna. Fino all’anno scorso, il Canada proibiva la fecondazione con gameti di etnia diversa da quella dei richiedenti. Quel divieto, considerato discriminatorio e razzista, è caduto. Ma il medico di Calgary ha deciso che “per il bene del nascituro” il colore della sua pelle deve essere lo stesso della coppia che chiedeva la donazione. La facoltà di scelta (occhi, capelli, incarnato) concessa per avallare una finzione, diventa improvvisamente inammissibile e disturbante se il “prodotto” dell’eterologa è palesemente tale. Paradossi eterologhi.
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