Matteo Renzi (Foto Lapresse)

Prendere la Bce alla lettera

Cosa ha chiesto Draghi a Renzi per dare al governo il bollino dei riformatori

Claudio Cerasa

Il triangolo Palazzo Chigi, Quirinale e Francoforte. Le richieste su Lavoro e Spending. La ricerca della sintonia.

Roma. L’immagine più efficace per capire qualcosa di più sul rapporto non semplice tra il presidente del Consiglio e il presidente della Banca centrale europa è una perfetta vignetta pubblicata pochi giorni fa sul sito del Guardian. L’Italia è una vecchia e scassata Cinquecento guidata da un bel giovanotto in camicia bianca che si ritrova di fronte a un posto di blocco presidiato da un vigile arrivato in moto dalla Banca centrale europea. Il vigile, Mario Draghi, osserva con sospetto il peso eccessivo del carico di debiti trasportato sul tetto della Cinquecento e pur avendo accertato che il conducente ha la patente in regola chiede garanzie per scortare la vettura e permettergli agevolmente di proseguire il cammino. Le garanzie corrispondono ai provvedimenti (riforme) che il vigile chiede al conducente per rendere più sicura e stabile la Cinquecento e fino a che quelle garanzie non verranno offerte e mostrate il vigile non potrà fare a meno di osservare con occhio sospetto il carico straordinario e non potrà fare a meno di ricordare che l’autorità ha il potere di sequestrare in qualsiasi momento la patente a un conducente poco disciplinato.

 

Oggi le dinamiche dei rapporti tra Renzi e Draghi sono simili a quelle fotografate dal Guardian. Renzi, al netto delle invettive contro la Troika, ha bisogno di Draghi, e della sua politica espansiva, per evitare che la sua Cinquecento sia costretta a fermarsi sul ciglio della strada. Ma allo stesso tempo Draghi ha bisogno di Renzi (e delle sue riforme) per giustificare la politica espansiva della Bce ed evitare che venga sanzionata da un vigile altrettanto severo come la Germania di Merkel. In questo gioco di sponde (in cui un ruolo cruciale è affidato anche alla Francia di Valls e Hollande) ci sono due ulteriori elementi da tenere in considerazione per capire che direzione prenderanno i percorsi del governo e della Banca centrale. Il primo riguarda ciò che, al di là della retorica, chiede Draghi a Renzi. Il secondo riguarda ciò che, al di là dello spin, riguarda il rapporto tra Draghi e l’altro vigile con cui si trova a fare ogni giorno i conti il presidente del Consiglio: Giorgio Napolitano.

 

I pettegolezzi dicono che un pezzo importante dell’establishment, in vista della prossima uscita di Re George dal Quirinale, stia lavorando per trasformare sempre più il presidente della Bce in un riferimento cruciale per tenere sotto tutela il presidente del Consiglio. Nell’immediato provando a spingere Draghi a dettare l’agenda delle riforme da Francoforte. Nel futuro provando a spingere Draghi a prendere in considerazione l’idea di dettare l’agenda delle riforme dal Quirinale. Pettegolezzi a parte ciò che risulta dai frequenti colloqui telefonici avuti tra Renzi e Draghi è che il presidente della Bce ha presentato al Rottamatore una lista informale di garanzie su cui puntare per presentarsi in Europa con il profilo da riformatore, e non solo da Rottamatore, e poter dare alla Bce la possibilità di fare un passo verso il Quantitive easing (acquisto diretto dei titoli di stato) e alla Commissione europea di fare un passo in avanti verso la creazione di un efficiente sistema di project bond (i 300 miliardi promessi da Juncker, con la Bei che in quel caso sarebbe trasformata in una sorta di Cdp europea). In cima alla lista ci sono due punti presenti nell’agenda di Renzi ma sui quali il governo ha dato l’impressione di essere sul punto di incartarsi: spending review e mercato del lavoro. Il governo ha promesso che arriverà a tagliare fino a 32 miliardi di spesa nel 2016 ma a Palazzo Chigi ancora nessuno ha capito bene quali saranno i capitoli sui quali Renzi chiederà sacrifici. Discorso simile per il lavoro.

 

Il decreto Poletti è legge, d’accordo, il Jobs Act è stato rinviato da settembre a dicembre causa riforma costituzionale, ok, ma nella maggioranza in pochi sono convinti che il governo riuscirà a sfidare fino in fondo la sinistra sindacale riformando l’articolo 18 (la formula “riscrivere lo statuto dei lavoratori” è un modo carino per non far svenire Fassina) e puntando sulla flessibilità garantita dal contratto unico a tutele crescenti (linea sulla quale insiste anche Padoan, incontrato ieri da Renzi per un’ora a Palazzo Chigi). “Le priorità – ammette un senatore vicino al premier – sono state presentate con chiarezza da Draghi a Renzi. Ora tutto sta nel capire se Matteo avrà o no il coraggio di governare correndo il rischio di essere anche impopolare”. Il punto è questo. Renzi avrà o no la forza politica di dare “due o tre bastonate”, come suggerito ieri al Meeting di Rimini da Oscar Farinetti (Eataly), e governare senza guardare ai sondaggi? Le prossime settimane saranno decisive. Gli annunci saranno molti. Ma per capire se  Francoforte darà al governo la possibilità di viaggiare con un carico straordinario Renzi dovrà dimostrare di avere una sintonia profonda anche con il vigile capo della Bce.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.