Le milizie islamiste di Misurata conquistano l'aeroporto internazionale di Tripoli (Fonte: Twitter)

Due raid in 7 giorni

Due paesi arabi bombardano la Libia all'insaputa di Obama

Daniele Raineri

L’Egitto del presidente Sisi e gli Emirati  colpiscono le fazioni islamiste. Tripoli chiede un intervento internazionale.

Roma. L’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno bombardato in segreto la Libia due volte negli ultimi otto giorni, dicono al New York Times quattro fonti definite “di alto livello”. I due paesi arabi sono intervenuti per salvare le sorti dell’operazione Karama (“dignità” in arabo), che avrebbe dovuto rimuovere con la forza le milizie islamiste e riportare la stabilità nel paese tre anni dopo Gheddafi e che invece sta fallendo. La campagna militare è cominciata a maggio sotto la guida del generale in congedo Khalifa Haftar ed è modellata sulla presa di potere al Cairo del generale Al Sisi (ora presidente). Ha anche gli stessi sponsor conservatori nel Golfo, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. La controrivoluzione però nell’ultima settimana ha subìto un tracollo: domenica i rivali islamisti di Fajr al Libi, l’operazione “Alba della Libia”, hanno preso l’aeroporto internazionale della capitale Tripoli – che ormai dopo settimane di combattimenti è ridotto in alcune sue parti a un cumulo di resti anneriti.

 

Gli Stati Uniti sono stati colti di sorpresa: l’Egitto e gli Emirati Arabi Uniti hanno agito senza informare l’Amministrazione Obama e senza cercarne il consenso. Gli egiziani avevano persino negato esplicitamente con alcuni diplomatici americani di avere bombardato. Entrambi i paesi sono considerati alleati e partner militari dall’America. Il Cairo è secondo soltanto a Israele per quantità di aiuti bellici ricevuti e – dopo una breve interruzione per le preoccupazioni del dipartimento di Stato riguardanti il golpe del luglio 2013 – continua a trattare l’arrivo di nuovi aerei ed elicotteri da guerra  (F-16, forse usati nei raid sulla Libia, e Apache). Gli Emirati godono di un trattamento di favore e hanno ricevuto il permesso americano di acquistare i droni armati Predator – un accesso privilegiato da cui l’Arabia Saudita è ancora estromessa.

 

Washington aveva scelto da tempo di ridimensionare il suo ruolo nell’area, ma questi raid aerei a sua insaputa suonano come uno schiaffo sonoro alla sua influenza in medio oriente e nel nord dell’Africa.

 

Era difficile che l’identità dei bombardieri restasse misteriosa ancora a lungo, perché il cielo di Tripoli è sorvegliato da radar occidentali.

 

Era difficile che l’identità dei bombardieri restasse misteriosa ancora a lungo, perché il cielo di Tripoli è sorvegliato da radar occidentali. C’è una task force della Nato nel Mediterraneo a poca distanza dalle coste della Libia e – particolare non secondario – ci sono anche le navi della marina militare italiana impegnate nell’operazione “Mare nostrum”. Le due nazioni sospettate di essere dietro ai bombardamenti erano Egitto e Algeria: ora è arrivato il chiarimento anonimo da parte dell’Amministrazione americana. I testimoni libici hanno raccontato che i jet egiziani e degli Emirati sono arrivati dal mare e hanno passato ore in circolo sopra la capitale per individuare i bersagli, il che vuol dire che si è trattato di un’operazione a lungo raggio e complessa, con rifornimenti in volo. 

 

Con tempismo forse calcolato, ieri poco prima che la notizia uscisse l’ambasciatore libico al Cairo, Faid Jibril, ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire per salvare il paese. “La Libia non è in grado di proteggere le sue istituzioni, gli aeroporti e le sue risorse naturali, specialmente il petrolio”. Jibril ha parlato ieri nella capitale egiziana durante una conferenza di sicurezza tenuta dai paesi della regione per valutare seriamente la possibilità di un intervento militare.

 

Come racconta un inviato del New York Times, David Kirkpatrick, in un lungo reportage pubblicato domenica, per ora l’effetto più vistoso dell’operazione Dignità è stato quello di compattare il fronte islamista e di unire fazioni che erano distanti tra loro, i moderati con i fanatici, i gruppi ribelli che hanno rappresentanza parlamentare assieme con Ansar al Sharia (il movimento più grande tra quelli che professano idee estreme). Pur non piacendosi, hanno creato un nuovo consiglio “rivoluzionario” che si oppone a Haftar e lo accusa di essere il leader di una coalizione di nostalgici gheddafiani. “Prima, il bilanciamento tra i poteri locali e tra le diverse brigate riusciva a preservare una sorta di equilibrio, se non la stabilità. Sebbene il governo transitorio quasi non esistesse fuori dagli hotel di lusso, nessun’altra forza era abbastanza forte da dominare”. Ora quella parvenza di unità è finita in frantumi ed è cominciata la competizione armata per il futuro, e per il petrolio, della Libia.

 

Oltre all’Egitto e agli Emirati Arabi Uniti partecipano altre potenze regionali, riproducendo la spaccatura che così tanti problemi crea in altre aprti del medio oriente: il Qatar aiuta l’altro fronte, inviando armi alle fazioni islamiste.

 

  • Daniele Raineri
  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)