Vittima e carnefice s'incrociano in una storia americana X
Chi non s’è gettato sulla versione del poliziotto razzista che fredda un innocente in odio al colore della pelle (ancora da dimostrare) può notare che l’agente Wilson e il giovane Brown sono frutti dello stesso mondo.
New York. Nel giorno del funerale, la famiglia di Michael Brown ha chiesto un momento di silenzio, una tregua dai rumori che da due settimane tengono sveglia Ferguson e l’America, un turno di pausa dalla tensione che ha acceso notti di violenza e giorni di accuse e conclusioni affrettate. La cerimonia alla Friendly Temple Missionary Baptist Church di St. Louis si è aperta con il salmo 26, e la mente dei presenti non ha potuto evitare di leggere nella Scrittura la cronaca su queste parole: “Quando mi assalgono i malvagi per divorarmi la carne, sono essi, avversari e nemici, a inciampare e cadere”. La famiglia in lacrime sedeva nelle prime file della chiesa-teatro stracolma di gente, vestita in rosso come vuole la consuetudine afroamericana del lutto. Alcuni, nella comunità nera, ai funerali indossano abiti bianchi, per simboleggiare la resurrezione; ma qui è il rosso del sangue, della passione a dominare la scena. Il momento del silenzio è anche quello in cui, con lo sguardo più sgombro da tic, riflessi condizionati e fretta da social network, l’America può considerare chi era Mike Brown e chi è il suo assassino, l’agente Darren Wilson, fin qui sostanzialmente costretti nello schema del poliziotto bianco razzista che in odio al colore della pelle altrui abbatte il bravo ragazzo nero che desiderava soltanto andare al college. Nel racconto popolare, alimentato dalle forze belliche dispiegate nelle strade che hanno fatto inorridire anche la destra “law and order” e dagli imbonitori della questione razziale in cerca di riflettori, genere Al Sharpton, Mike Brown e Darrell Wilson sono rette divergenti.
Le prime ricostruzioni fredde sul passato e sulle personalità dei due giovani (avevano dieci anni di differenza) mostrano invece che la vittima e il carnefice condividono qualcosa, sono parte di uno stesso mondo problematico. Le circostanze sono completamente diverse, ma recano come leitmotiv simile instabilità e disagio, simile disordine emotivo, simili assenze e vuoti, simili frustrazioni per una vita che non va dove dovrebbe andare. Qualche mese prima di morire Brown ha raccontato al padre di aver visto stagliarsi nel cielo un angelo, e Satana che lo inseguiva. L’angelo finiva per rifugiarsi nel volto di Dio. Dicono gli amici che la visione, qualunque cosa fosse, lo aveva profondamente segnato. Passava ore a leggere la Bibbia, iniziava conversazioni sui misteri dell’esistenza nelle quali gli amici non sapevano bene cosa dire. Era, a suo modo, una battaglia per discernere bene e male, come in cielo così in terra. Il New York Times scrive che “non era un angelo”, e certo non è facile esserlo se cresci in una famiglia che è presenza rarefatta, intermittente, immersa in un quartiere dove la scelta di vita più ovvia e stabile porta dalle parti di una gang. Mike non faceva parte di una gang, ma la madre dice “che potreste anche vederlo in fotografie con amici che erano in una gang”. Nelle giornate di Mike entravano occasionalmente marijuana e alcol, evento statisticamente contemplato per un ragazzo della sua età, e poi l’hip hop, i videogiochi, qualche alterco qua e là, nulla di troppo serio, anche perché con quella stazza gli bastava un’occhiata minacciosa per scoraggiare i propositi di violenza. A volte perdeva leggermente il controllo, nulla però che la madre – la quale nel frattempo si era trasferita in un altro quartiere, lasciando Mike con i nonni – non fosse certa di poter risolvere con l’aiuto di amici e di un ex agente del carcere minorile che dava buoni consigli.
I genitori dicono che non era uno studente particolarmente brillante, ma il successo, dalle parti di Ferguson, equivale a finire la scuola, e Mike era molto soddisfatto di avercela fatta. La sera prima di essere ucciso ha scritto su Facebook: “Tutto succede per una ragione. Sto inziando a fare due più due. Vedrete”.
“Cercava ordine in una vita caotica”
Dall’altra parte di Ferguson, la storia dell’agente Wilson mostra alcune consonanze. Nato in Texas e cresciuto in una famiglia lacerata da divorzi, incomprensioni e guai con la legge, Wilson ha “cercato la carriera nella polizia per mettere ordine in una vita caotica”, ha detto un suo amico al Washington Post. La madre è morta “per cause naturali”, così recita un necrologio, quando Darren era al liceo, ed è stato affidato al padrino. A ventotto anni ha già divorziato dalla moglie – in modo non consensuale, a quanto si evince dalle carte del tribunale – con la quale ha vissuto almeno un anno a Troy, un’ora di distanza da St. Louis.
I vicini della casa dov’è cresciuto non credevano ai loro occhi quando hanno visto il ragazzo cresciuto in un ambiente problematico e con sbandate nella criminalità (una “vita senza struttura”, ha detto un altro conoscente) indossare l’uniforme.
Una volta entrato nella polizia è stato assegnato alla cittadina a maggioranza afroamericana di Jennings, in un’unità che si è segnalata per intemperanze e violenze gratuite, soprattutto contro afroamericani. L’unità è stata infine sciolta e l’agente Wilson è stato riassegnato a Ferguson, dove la gente lo descriveva come un “bravo agente” fino al giorno in cui non ha incontrato sulla sua strada Mike Brown. Freddato senza ragione, dice l’amico testimone e la comunità, abbattuto dopo una colluttazione in cui la vittima ha cercato anche di sfilare la pistola dalla fondina dell’agente, secondo la polizia. Di certo il 9 agosto sulla strada di Ferguson si sono incontrati due ragazzi difficili, che niente avevano in comune se non una vita traballante e in cerca di struttura, colma di vuoti, con presenze autorevoli rarefatte, punti di riferimento difficili da mettere a fuoco. Erano entrambi personaggi di una storia americana X.
Scaricare l’omicidio di Michael Brown sul contesto, farne il prodotto necessario del disagio economico ed esistenziale di una delle tante comunità frammentate d’America è grossolano almeno quanto ricondurlo frettolosamente a esecuzione a sfondo razziale. La giornata di silenzio e la relativa calma su questo angolo tormentato del Missouri è l’occasione per contemplare le vite non troppo divergenti di vittima e carnefice, e scrutare gli angeli e i demoni che volavano nei loro cieli.
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