Come mia madre
Quando ripetevi “mai come mia madre”, eri certo che ce l’avresti fatta. Ma arriva un giorno in cui ti guardi e sai che hai lo stesso modo di sbagliare senza ammetterlo, la stessa tendenza a nasconderti e a rinunciare, lo stesso difetto, lo stesso vizio.
Quando ripetevi “mai come mia madre”, eri certo che ce l’avresti fatta. A ereditare solo il senso dell’umorismo e il sorriso bello, la curiosità per il mondo e la voglia di ballare. Avresti accantonato e spazzato via, perché sapevi riconoscerli, tutti i difetti, i vizi, quell’ansia insopportabile, la paralisi davanti agli ostacoli, troppe sigarette in macchina con i finestrini tappati, e la capacità di dire sempre la frase cattiva, senza nemmeno esserlo, cattiva. Eri certo che la volontà avrebbe battuto la genetica, la comprensione della realtà avrebbe battuto la scienza. Per certi versi è andata così, infatti non hai mai imparato a ballare, e adesso hai smesso di fumare. Ma arriva un giorno, di solito abbastanza lontano dai vent’anni, in cui ti guardi e sai che hai lo stesso modo di sbagliare senza ammetterlo, la stessa tendenza a nasconderti e a rinunciare, lo stesso difetto, lo stesso vizio: mangiare bere fumare tradire litigare abbandonare urlare azzardare rovinare barare, e tra tutti i vizi del mondo hai proprio quello che detestavi, e sopra il quale avevi giurato: io, mai. Insieme al vizio, magari, anche quel modo di sospirare, di storcere la bocca, di esprimere insoddisfazione: quando sei arrabbiato sei uguale a tua zia Giuseppina, lo sapevi? No, non lo sapevo, speravo di essere salvo, e invece, tutta questa fatica per niente. Ieri Edoardo Boncinelli ha scritto sul Corriere della Sera che non si tratta soltanto di tirannia dei geni (perché un gene deve essere acceso per agire, e solo noi possiamo accenderlo), ma di epigenetica, secondo un nuovo studio australiano. I genitori trasmettono il patrimonio genetico al figlio (pieno di geni che loro stessi non hanno mai acceso, magari, geni con la memoria lunghissima, geni pieni di genialità mai utilizzate o di disastri mai sfiorati) e insieme un biglietto con le indicazioni (gli ordini! Come: torna a mezzanotte, togliti quel rossetto, metti a posto la tua camere) sui geni da accendere e quelli da lasciare spenti. Così a volte il bigliettino contiene l’indicazione sbagliata, e beffarda: accendi il gene della cattiva abitudine che disprezzi tanto, ricomincia a fumare, tradisci tua moglie, fatti licenziare.
E’ un’indicazione forte, scrive Boncinelli, a cui dev’essere difficile sottrarsi: Ivan Locke, protagonista di “Locke” di Steven Knight, fa un viaggio in macchina carico di conseguenze per dimostrare a se stesso che non è “uno stronzo” come suo padre, ma fa quel viaggio in macchina anche perché ha combinato lo stesso casino che fece suo padre, nonostante una vita passata a scappare lontano, a essere l’opposto, l’uomo più affidabile del mondo per dispetto al padre più inaffidabile dell’universo. Credevi di essere libero, e invece c’è un codice minuscolo che ti inchioda: non imparerai dagli errori, anzi un giorno li ripeterai. Adesso quindi sta a noi decidere: possiamo dare la colpa (e il merito, ma è sempre più facile dare la colpa) di tutto all’ereditarietà? Delle gambe storte e della passione per i dolci, della sciatica e del talento per le bugie. Ai nostri genitori, e ai lori avi, la responsabilità di ogni nostro fallimento, fino a quando i nostri figli ci diranno: è tutta colpa tua, mi hai passato il bigliettino sbagliato. Volevo solo il tuo bel sorriso, e non quel modo assurdo di arrabbiarti quando prepari le valigie, quel gusto orrendo per i regali di Natale, quella voce stridula quando sei in difficoltà. Risponderemo di smetterla con questa lagna: era solo un’indicazione, non un ordine.
Il Foglio sportivo - in corpore sano