Michael Keaton e Edward Norton in un'immagine del film in gara a Venezia, "Birdman" (Foto Lapresse)

A Venezia tra ritardi, giungle, super Norton e comiche sorprese in sala

Mariarosa Mancuso

C’eravamo fatti forti per reggere il dolore del mondo. “La Mostra di Venezia non fa sconti, non bada agli incassi bensì all’arte, tocca la contemporaneità là dove duole”, erano le minacce. Invece il film d’apertura è un film comico, “Birdman o le imprevedibili virtù dell’ignoranza”.

C’eravamo fatti forti per reggere il dolore del mondo. “La Mostra di Venezia non fa sconti, non bada agli incassi bensì all’arte, tocca la contemporaneità là dove duole”: erano queste le minacce finora registrate. Invece il film d’apertura è un film comico, perdipiù girato da un messicano che negli ultimi 15 anni le ha tentate tutte per intristirci (basta pensare a “21 grammi”, il peso dell’anima che lascia il corpo). La comicità garbata esiste solo nelle fantasie dei recensori che non sanno come cavarsela con certe commedie italiane a risate zero: “Birdman o le imprevedibili virtù dell’ignoranza” è crudele, nera, feroce e dunque spassosissima. Siccome si parla di teatro e di attori, ce n’è anche per i recensori: “Quale disgrazia sarà mai capitata nella vita a una persona che decide di fare il critico?”.

 

Michael Keaton era famoso come Birdman, supereroe con maschera da falco (nella finzione, nella realtà era stato Batman per Tim Burton, anno 1989). Vuole riciclarsi come regista e attore a Broadway, mettendo in scena “Cosa parliamo di quando parliamo d’amore” di Raymond Carver: una citazione dal racconto si scompone e ricompone a formare i titoli di testa. Un attore scarso viene sostituito – dopo un finto incidente per toglierlo di mezzo – da Edward Norton. Strepitoso: e del resto per una parte così ben scritta a Hollywood come a Broadway chiunque sarebbe disposto a uccidere. I mondi sono diversi, ognuno ha i suoi vizi, chi vuole fare soldi e chi vuole fare l’artista. Ma il narcisismo è identico (e solo un pochino più spinto di quello che il resto del mondo coltiva in ufficio o in redazione).

 

Di grande soddisfazione anche la pre-apertura della vigilia, obbligatoria in ogni Festival rispettabile, tanto più che c’era da presentare la nuova Sala Darsena (il buco con l’amianto resta, il Palazzo del Cinema neanche cominciato è già archiviato, le altre strutture si fanno il lifting). In programma, “Maciste alpino”: film sceneggiato e prodotto nel 1916 dal Giovanni Pastrone che due anni prima aveva affidato le didascalie di “Cabiria” a Gabriele D’Annunzio. Una meraviglia di cinema dentro il cinema: Maciste sta su un set al confine con l’Austria, scappa un “Viva l’Italia!” di troppo, messi in salvo gli innocenti il gigante si arruola tra gli alpini.
Accompagnato da improvvisazioni jazz – meglio un pianista solitario  – “Maciste alpino” ha preso il via con tre quarti d’ora di ritardo. Dopo il discorso del fierissimo Paolo Baratta, con prove ganze dei nuovissimi effetti sonori: temporali, giungle amazzoniche, musica: un sonoro che massaggia, accarezza, avvolge tutto il corpo, una specie di petting virtuale. I Wc invece non hanno subito ritocchi: sempre pochi, scadenti, tavolette mancanti, porte non chiudibili e niente specchi: niente controlli o ritocchi e si accorcia prima la fila per Nature’s Call.

 

Sul coté mondano, lunch all’Excelsior con Piera Detassis, direttrice di Ciak, rivista regina del cinema italico, e del Daily festivaliero. Stylish, minuta, di sinistra come il 99 per cento del cinema, la bionda trentina si diverte assai con la nuova editrice Daniela Santanché, in arrivo al Lido mentre scriviamo. Nel tavolo a fianco, solo soletto, pranzava Luca Zingaretti, qui con un noir napoletano fuori concorso, “Perez”. Sua moglie Luisa Ranieri è incorsa in un increscioso incidente; titolo dell’intervista a Repubblica: “Italiani surclassati dai francesi”. Fa male perché vero, ma non il massimo per la madrina di Venezia 71, il giorno dell’inaugurazione. Antonello Sarno (Tg5) regista di documentari, presenta al prossimo Festival di Roma “Giulio Cesare”, il suo primo lungometraggio sullo storico liceo romano, con interviste a tanti ex alunni, tra cui Carlo Fuortes, Antonello Venditti, Marco Pannella, Maurizio Costanzo, Serena Dandini, Chiara Ingrao e Franco Frattini. N.B: Baratta in conferenza stampa d’apertura: “Il nostro partner principale è la stampa”. Rispetto al primo mandato, quando escludeva dalle serate di gala foglianti e altra stampa “non vip”, è un bel progresso.