La coalizione dello svogliato Obama
L’unica costante della politica del presidente Usa in Siria negli ultimi tre anni è la volontà di non immischiarsi. Non c’è attacco chimico o strage convenzionale che abbia convinto la Casa Bianca ad agire direttamente contro il regime di Bashar el Assad.
New York. L’unica costante della politica dell’Amminstrazione Obama in Siria negli ultimi tre anni è la volontà di non immischiarsi. Non c’è attacco chimico o strage convenzionale che abbia convinto il presidente ad agire direttamente contro il regime di Bashar el Assad o a foraggiare in modo serio i ribelli. L’avanzata dello Stato islamico, che nelle parole del governo è passato da “gruppo locale” a “minaccia imminente per tutti i nostri interessi” nel giro di otto mesi, ha cambiato i calcoli del presidente, ma non la voglia di stare fuori dalla Siria. Eppure non è possibile smantellare il Califfato senza combattere sul versante siriano: questa è l’evidenza certificata pubblicamente dal capo delle Forze armate, Martin Dempsey. I bombardamenti in Iraq erano formalmente giustificati da ragioni difensive (il personale americano a Erbil, le strutture di Baghdad), o dal rischio di un genocidio (gli yazidi) ma per mettere in pratica un piano strategico contro lo Stato islamico è oltre il confine con la Siria che occorre intervenire.
Da lunedì gli aerei da ricognizione americani volano sullo spazio aereo siriano, preludio di un intervento armato che a Washington giurano avverrà – se avverrà – senza siglare un patto con Assad, decisione che sarebbe incompatibile persino con il trasformismo di Obama. A Damasco aprono le porte a un intervento multilaterale con chiunque abbia interesse a combattere il gruppo terroristico, ma intimano che l’alleanza deve avvenire alla luce del sole: per combattere il nemico Obama deve stringere la mano a un altro nemico. Che fare, dunque, per perseguire l’obiettivo e non interrompere la costante politica che impone di girare al largo dai problemi (“don’t do stupid shit” è un modo più colorito per dire la stessa cosa)? Cucire una coalizione di potenze fra loro in competizione ma che, per qualunque motivo, convergono sull’obiettivo dell’annientamento dei “terroristi barbari” dello Stato islamico. Funzionari della Casa Bianca dicono che Washington sta lavorando per mettere insieme un gruppo trasversale formato almeno da Australia, Gran Bretagna, Giordania, Qatar, Arabia Saudita, Turchia ed Emirati Arabi Uniti. Si tratta di fare in modo che altri combattano le guerre che l’America non vuole combattere, variazione sul tema obamiano del “leading from behind”. Gli Stati Uniti possono provvedere appoggio aereo e coordinamento diplomatico, triangolando con cautela con gli interessi convergenti delle potenze della regione. Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations, scrive sul Financial Times che, esclusa l’ipotesi di un invio di truppe occidentali, l’unico modo efficace per fermare lo Stato islamico è stipulare un’alleanza tattica con il regime di Assad, il “male minore”. Haass indica anche l’idea – a suo avviso meno praticabile – di opporre ai terroristi una “forza panaraba” sostenuta dall’America. E’ questa l’ipotesi a cui Obama sta lavorando.
In quest’ottica, i bombardamenti in Libia condotti la settimana scorsa da Egitto ed Emirati Arabi contro le milizie islamiste, apparentemente all’insaputa degli Stati Uniti, assumono un significato fondamentale. E’ la prima volta che due paesi arabi – e sunniti – guidano un’offensiva indipendente contro un terzo paese arabo senza accodarsi a un’iniziativa occidentale. Gli americani hanno fatto sapere di essere infuriati. Il comunicato congiunto di Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia dice che “le interferenze esterne minano la transizione democratica della Libia”. Tuttavia è difficile credere che l’America fosse all’oscuro dell’attacco. L’Egitto di al Sisi manda segnali ambigui a Washington, ma gli Emirati sono alleati fedeli e ottimi partner d’affari dell’America, e non hanno ragioni apparenti per creare una frattura. Di recente le forze speciali degli Emirati hanno anche distrutto un campo d’addestramento delle forze islamiste nei pressi di Derna. Le fonti americane non dicono esattamente quando sia avvenuta l’operazione, ma secondo fonti del Foglio potrebbe essere accaduta a marzo. In cinque mesi gli americani non ne hanno avuto notizia? Improbabile. La coalizione araba e anti islamista in Libia potrebbe piuttosto costituire un modello da riproporre su scala più ampia contro lo Stato islamico, sfruttando una coalizione di volenterosi che supplisca la svogliatezza di Obama, guidatore di guerre dal sedile posteriore.
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