L'avvocato del waterboarding
Consulente legale della Cia dopo l’11/9, John Rizzo difende le tecniche di interrogatorio: “Rifarei tutto. Quel programma ha impedito che ci fosse un secondo attentato sul suolo americano e ha portato a Bin Laden”.
Roma. Con la sua barba grigia, gli abiti e i sigari costosi, John Rizzo assomiglia a uno di quei personaggi snob dei romanzi di Tom Wolfe. E’ stato per trent’anni l’avvocato della Cia. Ma soprattutto la giurisprudenza della “guerra al terrore” dopo l’11 settembre, comprese le prigioni segrete della Cia in Europa orientale e Asia, è in gran parte uscita dalla mente di questo legale di origini italiane. Rizzo ha scritto un libro, “Company Man”, in cui racconta la sua carriera nei servizi americani, ma soprattutto giustifica il programma di interrogatori e detenzioni clandestine usato contro i capi di al Qaida. Nel 2002, quando George W. Bush sigla l’ordine esecutivo in cui sostiene che la convenzione di Ginevra non si applica ai terroristi e ai talebani, Rizzo è consigliere legale ad interim. E’ lui a decretare che la detenzione del leader di al Qaida Abu Zubaydah in una cella segreta in Thailandia è legale. Per le associazioni liberal dei diritti civili, “Rizzo era coinvolto fino agli occhi nello sviluppo e nell’esecuzione del programma di detenzione e di tortura del governo’’, come ha detto Christopher Anders, consigliere legale della American Civil Liberties Union.
In una intervista apparsa questa settimana sullo Spiegel, Rizzo non rinnega, anzi spiega che gli interrogatori duri, compreso il waterboarding, la tecnica di simulazione dell’annegamento, hanno salvato l’America da altri attentati micidiali come quelli alle Torri gemelle. Il primo agosto 2002 il vice attorney general, Jay S. Bybee, su richiesta del ministro della Giustizia, Alberto Gonzales, firmò un parere per definire che cosa fosse “tortura”. Ovvero tutto ciò che provoca la morte o un dolore fisico pari a quello che causa danni permanenti. Quel documento, scritto dal professore di Princeton John Yoo, difendeva invece l’uso di tecniche, come il waterboarding, che alterano lo stato mentale e “deformano la personalità”, a patto che non producano “effetti estremi” negli interrogati. John Rizzo diede il via libera.
“Non starò qui seduto a dire il contrario”
“C’era un’altra tecnica più brutale che il dipartimento di Giustizia poi bandì”, spiega Rizzo. “Dopo l’11 settembre, il paese era in preda alla paura e al panico che stesse arrivando il prossimo attacco. Avevamo le lettere all’antrace, il bombarolo delle scarpe. Se c’era qualcuno a conoscenza dei piani di attacco, quello era Abu Zubaydah. Era di pietra e non avevamo tempo. Misure estreme andavano impiegate per farlo parlare. Quindi, nonostante tutta la controversia oggi, non posso starmene qui seduto e dire che avrei voluto fermarle. Non potevo togliermi dalla mente uno scenario: un altro attentato e Zubaydah che se la ride dicendo alla Cia che sapeva tutto”. Soltanto l’ex vicepresidente Dick Cheney fino a oggi si era spinto a giustificare il waterboarding.
Rizzo aveva il potere di fermare gli interrogatori. E oggi sarebbe stato quasi naturale per lui, “elettore di Barack Obama nel 2008”, accodarsi a un clima generale di pentimento per quella stagione. Rizzo conferma che gli interrogatori di Zubaydah portarono alla cattura di due capi di al Qaida: Ramzi bin al Shibh, un membro della “cellula di Amburgo” di Mohammed Atta, e Abd al Rahim al Nashiri, che guidò l’operazione terroristica contro la Uss Cole nel golfo di Aden. L’avvocato della Cia sostiene anche che a piegare Khalid Sheikh Mohammed, l’architetto dell’11 settembre, non fu tanto l’annegamento, quanto la privazione del sonno.
Prima di essere sottoposto agli interrogatori, Zubaydah rispondeva alla Cia sempre allo stesso modo: “Presto lo saprete”.
Il libro di Rizzo fa il paio con un altro uscito quest’anno, “Hard Measures”, di Jose Rodriguez, l’ex capo dei programmi Cia di interrogatorio. Un operativo, dunque, che prese parte alle sessioni con il waterboarding e che si consultò con John Rizzo durante la messa a punto delle tecniche coercitive. Come l’avvocato, anche Rodriguez giustifica oggi gli interrogatori e le detenzioni clandestine.
“Abbiamo ottenuto due risultati con quel programma”, scrive Rizzo. “Non c’è stato un secondo attentato sul suolo americano e Osama bin Laden è stato ucciso. Dodici anni dopo, c’è la tentazione di pensare che sarebbe stato possibile anche senza utilizzare queste tecniche di interrogatorio. Ma onestamente non posso dire che avrei preso delle decisioni differenti da quelle che risalgono al 2002”.
Nessuna compiacenza. Salvammo vite umane. Tante.
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