Bergoglio promuove il suo “piccolo Francesco” arcivescovo di Madrid

Matteo Matzuzzi

Una chiesa meno impegnata in scontri con la politica, che organizzi meno marce a difesa e promozione di quei valori cosiddetti non negoziabili la cui stessa definizione non piace al Papa. E’ questa la missione che Francesco ha assegnato al nuovo arcivescovo di Madrid, da lui personalmente scelto, il sessantanovenne mons. Carlos Osoro Sierra.

Roma. Una chiesa meno impegnata in scontri con la politica, che organizzi meno marce a difesa e promozione di quei valori cosiddetti non negoziabili la cui stessa definizione non piace al Papa – “non ho mai compreso l’espressione valori non negoziabili. I valori sono valori e basta, non posso dire che tra le dita di una mano ve ne sia una meno utile di un’altra”, aveva detto al Corriere della Sera lo scorso marzo – e sia più attiva sul fronte degli ultimi. E’ questa la missione che Francesco ha assegnato al nuovo arcivescovo di Madrid, da lui personalmente scelto, il sessantanovenne mons. Carlos Osoro Sierra, trasferito dalla vivace e assai florida diocesi di Valencia, che da anni vive un aumento delle vocazioni e (in controtendenza rispetto al resto del paese) vede le chiese riempirsi anno dopo anno. Osoro Sierra è agli antipodi rispetto all’arcivescovo uscente, il cardinale Antonio María Rouco Varela, nominato vent’anni fa da Giovanni Paolo II alla guida della chiesa madrilena, e portabandiera nell’ultimo decennio delle grandi battaglie contro l’allora primo ministro, il socialista José Luis Rodríguez Zapatero. Il suo successore, invece, guarda più alle periferie sociali ed esistenziali, al punto da essere stato definito in patria – in tempi non sospetti – il “piccolo Francesco”, per una sintonia pressoché totale con l’agenda del Pontefice argentino. Apprezzato per le doti pastorali e manageriali, lo scorso marzo fu eletto vicepresidente della Conferenza episcopale spagnola, numero due di mons. Ricardo Blázquez Pérez, che aveva scalzato proprio Rouco Varela dalla testa dell’organismo che raggruppa i vescovi iberici. Complice l’età del cardinale madrileno (settantotto anni compiuti qualche giorno fa), da tempo si parlava del suo avvicendamento, e lo scorso dicembre i giochi sembravano fatti, al punto che gli informatissimi media religiosi locali già davano per insediato il nuovo arcivescovo in concomitanza con l’Epifania o comunque prima di Pasqua. Poi qualcosa è cambiato, soprattutto dopo un’udienza (inizialmente posticipata causa un malanno di stagione che aveva colpito Francesco) tra il Papa e il cardinale Antonio Cañizares Llovera, prefetto della congregazione per il Culto divino e la disciplina dei sacramenti.

 

Era lui il favorito alla cattedra episcopale della capitale spagnola, anche perché – sottolineava qualche monsignore avvezzo agli affari di curia – dopo essere stato primate di Spagna e prefetto a Roma, tornando a casa poteva esserci solo Madrid. Invece, Francesco ha scelto diversamente: Cañizares torna sì in patria come desiderava, ma a Valencia. La richiesta di trasferimento presentata dal porporato giaceva da tempo sul tavolo del Papa. I bene informati ricordano che già nel dicembre del 2008, quando Benedetto XVI chiamò Cañizares proponendogli di presiedere il dicastero che si occupa di liturgia e sacramenti, il prelato spagnolo avesse accettato a condizione che il mandato quinquennale fosse unico e non rinnovato. Un “patto”, cioè, per poter tornare a casa una volta esaurito il compito di mettere ordine nei riti secondo le linee guida del Pontefice oggi emerito. La rinuncia di quest’ultimo e l’avvicendamento al Soglio di Pietro nel 2013, poi, hanno ritardato le procedure.

 

Contro l’ipotesi di nominare Cañizares a Madrid pare ci sia anche la constatazione che i rapporti tra lui e Rouco Varela non siano idilliaci: con la nomina del “piccolo Ratzinger” – così è soprannominato l’ormai ex prefetto del Culto divino per la sua identità di vedute (quasi) totale in tema di liturgia con Benedetto XVI – si sarebbe sconfessata apertamente la condotta dell’arcivescovo uscente, che non a caso puntava sull’attuale primate di Spagna, mons. Braulio Rodríguez Plaza (rimasto senza porpora nell’ultimo concistoro), o sul vescovo di Siviglia, mons. Juan José Asenjo Pelegrina, quali possibili successori chiamati a ricevere dalle sue mani il pastorale. Rimane vacante, invece, la carica di prefetto della congregazione per il Culto divino. Da mesi si parla, nell’ambito della riforma della curia romana (che comunque non vedrà la luce prima di metà 2015) di un possibile accorpamento con la congregazione per le Cause dei santi, oggi retta in prorogatio dal cardinale Angelo Amato, che ha già superato i settantacinque anni d’età, limite canonico ma non vincolante per la messa a riposo. Più d’uno, anche all’interno della speciale consulta dei nove porporati che da un anno e mezzo studia il nuovo assetto del governo vaticano, ha proposto di tornare alla situazione antecedente al 1969, quando Papa Paolo VI soppresse l’antica congregazione dei Riti – istituita da Sisto V nel 1588 – che unificava proprio culto divino e santi. Riproporre quello schema consentirebbe anche di ridurre uffici e – soprattutto – porpore in Vaticano, rimandando in diocesi vescovi e sacerdoti. Non è escluso, poi, che Francesco voglia attendere il Sinodo straordinario sulla famiglia in programma a Roma il prossimo ottobre, che molto dirà su una delle funzioni proprie del dicastero guidato fino a oggi dal cardinale Cañizares, e cioè sulla disciplina dei sacramenti.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.