Renzi nella trappola manierista, stessi nemici ed errori di Berlusconi
Renzi oggi ha gli stessi avversari di Berlusconi vent’anni fa. Per quel che conti, il Fogliuzzo, che è troppo piccolo per permettersi divisioni (sarebbe comico), e troppo intimamente plurale o composito per essere omogeneo, ha una direzione renziana oggi come berlusconiana ieri (e oggi), e per il resto ognuno fa ciò che gli dettano coscienza e incoscienza.
Renzi oggi ha gli stessi avversari di Berlusconi vent’anni fa. Vero che il gruppo De Benedetti è diviso, come dimostra il malumore di Scalfari contro la buona volontà di Mauro, e questa è quasi nuova. Per quel che conti, il Fogliuzzo, che è troppo piccolo per permettersi divisioni (sarebbe comico), e troppo intimamente plurale o composito per essere omogeneo, ha una direzione renziana oggi come berlusconiana ieri (e oggi), e per il resto ognuno fa ciò che gli dettano coscienza e incoscienza. Ma la Fiat è emigrata, e una certa ambiguità è connaturale alla famiglia proprietaria che resta molto italiana. L’establishment già terzista è blandamente ma sicuramente contro, con qualche controassicurazione, Confindustria confusa, i sindacati confusi: non sono novità, i bazolismi e i classismi fiacchi. Il Pd è diviso tra una maggioranza baldante o di sopravvivenza e un’opposizione velleitaria e malmostosa, con la famiglia politica di Prodi che spiccica a stento prudenti cattiverie. I manettari lo vogliono morto. Il catalogo è questo. Stessi nemici, in contesti diversi, e in contesti diversi forse gli stessi errori dovuti a personalità non troppo dissimili, un consenso popolare notevole ma che si può presto consumare, un’Europa abbagliata dallo sprint del ragazzo ma anche perfida, come dimostra il cono gelato dell’Economist (anche Renzi unfit to lead Italy?).
Io sono sempre di quell’idea lì. Il rischio è il pantano. Le guasconate possono piacere o non piacere, ma non sono il problema. Il problema è l’illusione, nutrita di cautele anche decorose ma letali, che si possa fare alcunché, qui da noi, senza che corra un po’ di sangue, senza che si provi alcun dolore. Luca Ricolfi ha detto non bene, benissimo (la Stampa di sabato scorso). Siamo in crisi nera da declino, ha detto, ma ricchi. E i ricchi scivolano insensibilmente, con le loro guarentigie di reddito e patrimoniali, verso la noncuranza, l’indifferenza, la consolazione. Non è una caratteristica solo italiana. Riguarda l’Europa tutta, che però ha slanci, ritmi e scale dei problemi diversi dai nostri, gli indebitatissimi, i deflazionari antemarcia, i recessivi tecnici apparentemente inguaribili. Da notare: la disoccupazione al nord è sostenibile, l’8 per cento, e diventa disastrosa nel centro-sud, nel sud in particolare (non c’è bisogno di misure d’eccezione?). Da notare: la riduzione della spesa è un balletto, invece dovrebbe essere un’orgia dionisiaca, con la rinuncia al posto dell’edoné. Da notare: tutto quello che piace ed è destinato a piacere, tutto quello che è piacione, è un pannicello caldo. Passo dopo passo, e i mille giorni: ecco la tiritera che riconcilia renzismo e burocrazia, ceto politico e rivoluzione delle aspettative giovanili, inerzia ed energia, consenso ed equilibrio funebre di sistema. Insomma, l’orizzonte o pericolo di un gigantesco Letta bis, molto più divertente ma eguale negli effetti di blandizie e irriformabilità politica, è davanti a noi. Spero non già consolidato, non già alle spalle. Tempo fa parlai, a proposito di certi aspetti caduchi e loffi del renzismo, dei tempi di montaggio di quei film iraniani in cui la mia amica Mancuso dice che “si vede crescere l’erba”. Ecco, non vorrei che fossimo già in moviola.
Sono un patriota, nonostante tutto. Disilluso e lettore di Francesco De Sanctis, che ci spiegò una volta per tutte come l’assenza di una coscienza nazionale e di senso della realtà avessero cacciato la nostra vita e letteratura nel cul di sacco del manierismo, del subiettivismo: “Ci è il poeta, ma non ci è l’uomo”. Non vorrei che tutti gli elogi alle grandi doti di comunicatore, per Renzi oggi come per Berlusconi ieri, alludano a questo, all’artista compiaciuto di sé che prende il posto dello statista. Finché assumeremo insegnanti a derrate, posto che lo si possa fare; finché pagheremo i fornitori della sanità e i suoi consumatori con la fiscalità generale ai ritmi del momento; finché lasceremo che municipalizzate ed enti locali e Regioni facciano il cazzo che gli pare; finché sul mercato del lavoro non vareremo un decreto Ichino, né più né meno; finché non taglieremo la pretesa di mettere le braghe ambientali, umanitarie e solidali all’economia, anche con le sentenze dei pretori d’assalto e dei pm da battaglia; finché non liberalizzeremo tutto quello che fa ricchezza sociale, con il rasoio di Occam; finché non faremo una politica estera ed europea aggressiva e disinibita e un discorso alla nazione sorridente quanto si voglia ma pieno di verità, non ce la caveremo. E Renzi ha già metà del piede nella tagliola. Che in Italia non tarda mai a scattare.
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