Sette anni fa Rihanna dominava l’estate con “Umbrella”, uno dei suoi maggiori successi

Frate indovino, aiutaci tu

Fabiana Giacomotti

I siti non c’azzeccano e le app fanno cilecca. I meteomaniaci non sanno più a che santo votarsi. Gli albergatori della Romagna vogliono promuovere una class action. Ma chi chiameranno in causa a far da testimone?

Esasperato dai lamenti e i moccoli che i parrocchiani ormai lanciavano anche sul sagrato della chiesa prospiciente al lago, da dove normalmente partono le barche per le isole borromee e le crocierine di piacere e che invece, causa pioggia battente ormai da settimane, sono ferme a riva pesanti d’acqua con i barcaioli sfaccendati e mosci sotto i tendalini, due domeniche fa l’arciprete di Stresa, don Gianluca, è salito sul pulpito, ha ruotato un gran cipiglio sui fedeli pallidi e umidicci e ha provato a scuoterli con la sorte dei fratelli di Mosul. Era come scaricare loro in testa una nuova bomba d’acqua (ormai solo così la definiscono i tg, quindi ci adeguiamo) e infatti ha provocato una reazione prima attonita, e quindi un po’ sdegnata. Vista la sproporzione astronomica fra i due eventi, e l’impossibilità di intervento in entrambi i casi, una volta terminata la funzione e raggiunto il sagrato sempre fradicio, i parrocchiani si sono infatti stretti nelle giacche a vento e, facendosi scudo con l’ombrello dalle raffiche di vento, hanno raggiunto il bar più vicino per ordinare una cioccolata calda e continuare a smoccolare contro Giove pluvio, perché una volta esaurita la spesa al supermercato e dalle simpatiche pastaie in proprio, l’acquisto dei giornali e il burraco di prammatica, chiusi in casa con le pareti che si riempiono di muffa e certi animaletti viscidi che si ingegnano a scalarle, le giornate sono lunghe da far passare e il rientro in ufficio non certo per tutti.

 

Dando per certo che raramente le giornate di tempesta finiscono con qualcuno che si ritira in camera da letto e ne ridiscende la mattina dopo con il soggetto del “Frankenstein” e del “Vampiro” stretto in pugno e cambi per sempre la storia della letteratura mondiale, l’intrattenimento preferito di questa estate di pioggia (la peggiore degli ultimi trent’anni, dicono sempre i tg, che ad aver superato i cinquanta senza troppi rimpianti e ubbìe è già un suggerimento utile per un gioco di memoria) è l’osservazione costante delle condizioni meteorologiche e la divinazione dei miglioramenti climatici eventuali e molto attesi. Insomma, vista la malaparata per racchette e windsurf e non dovendo mettersi in viaggio in carrozza col timore di lasciare le stanghe nel fango, si gioca all’aruspice, consultazione delle viscere dei pesci escluse in considerazione anche del fatto che il persico arriva bello e sfilettato dalla Romania; tutto il resto ammesso, che non vuol dire più preciso. La sostituzione della rete ventricolare di lucci e coregoni con la rete internet, non pare infatti aver portato sensibili miglioramenti nella precisione dei pronostici, tanto che gli albergatori della Romagna, sfiniti per le cancellazioni e gli ombrelloni chiusi anche sotto il sole, hanno deciso di promuovere una class action contro i siti di previsioni meteorologiche a cui recriminano persino la mancata correzione dei vaticini errati.

 

Un po’ corre l’obbligo di giustificarli, questi pasdaran dei cirri; sono oltre trecento, una folla; dunque, in lotta fra di loro per conquistare mercato e banner pubblicitari e quindi inevitabilmente catastrofisti, perché sulle previsioni del tempo funziona come in cronaca: più che la pioggia sul pineto che l’anima schiude novella, vende la bomba d’acqua, utilissima anche a trarsi d’impaccio da prenotazioni fatte a marzo, quando la ripresa sembrava ormai cosa di giorni e ci si immaginava pingui e generosi sotto il sole d’agosto.

 

Così, per non lasciar passare sotto silenzio quella che vivono come una fregatura geometrica, a castello, pacco doppiopacco e contropaccotto con il concierge in mezzo e con le mani in mano, alberghi e regione si preparano a processi da commedia degli equivoci: chi chiameranno in causa a far da testimone per confrontare dati, date e numero di nembi in cielo nel tal giorno non è chiaro; nel frattempo, i villeggianti delle pedemontane dal Rosa al Monviso, chiusi a far flanella e non sempre provvisti del conforto che si accompagnerebbe naturalmente all’espressione, hanno iniziato a consultare contadini e pescatori, che vedendosi all’improvviso al centro dell’attenzione generale, tengono tutti sulla corda di metafore e proverbi dalla fonetica tanto folgorante quanto accidentata: “La splura à porta barlett”, l’arsura porta il bariletto inteso sempre come bomba d’acqua, oppure “su s’nsraigna d’neuc, u dura tant paid n’oeuv coeuch”, occhio alla rasserenata notturna perché dura come un uovo sodo, cioè si mangia irresistibilmente subito, e via di leggenda in tradizione con i turisti a bocca aperta a bersi ogni suono e ogni mimica. Insomma, un’opportunità eccezionale, una delizia, un godere di saggezze ruspanti e di profondità inaspettate, inaccessibili alle banalità espressive delle app e delle loro conduttrici e anche a quel lessico raccogliticcio degli “anticicloni” e dei “caratteri temporaleschi”, un po’ colonnello Bernacca dei tempi andati, un po’ Meteorine dalle scollature strabocchevoli pur senza esagerare, perché il processo a Berlusconi è ancora fresco nella memoria di tutti.

 

Nulla potrebbe un esercito di colonnelli reali contro le divinazioni del tramonto riflesso sopra la Val Grande e le cime frastagliate del Pedum, meglio noto come il “profilo di Napoleone”, sebbene non del generale che pure fin sull’isola Bella mandò i suoi architetti lungo la strada per Roma e quelli ne fecero disegni e acquerelli che ancora si vendono benissimo in via del Babuino, ma di Napoleone III baffi compresi, tanto gradito per quel gusto decorativo pesante, massiccio e scuro che ancora fa design e decorazione da queste parti. Piove dunque, e piove ancora molto, di quel genere torrenziale e inesorabile, “animato da un’intima rabbia” come lo raccontava Maugham osservandolo battere sul tetto della casupola di Sadie Thompson ai tropici, che in Italia non s’è ovviamente mai visto e che ha dato un inatteso e graditissimo fiato alle trombe dei protocollari dilettanti di Kyoto con app meteo sempre collegata: altri due gradi di riscaldamento del pianeta, vaticinano, e mentre noi scivoleremo a valle con i nostri terreni sedimentari e i nostri giardini zuppi, sulle coste spezzine gli squali arriveranno fino a Porto Venere, senza tenere conto che, se non proprio fino alle Cinque Terre, attorno a Portofino certe pinne fuor d’acqua si sono sempre fatte vedere ed era il grande divertimento di noi bambini, urlare allo squalo a tre metri da riva fino a quando ne venne tirato su davvero uno, piccolo da fare tenerezza, che s’era probabilmente smarrito seguendo i delfini lungo la rotta per la Corsica e stette per una giornata tristemente appeso a un palo sulla battigia come un condannato medievale.

 

Ma se è un po’ vero che “le stagioni oggi hanno perso la strada” mentre “una volta erano uomini d’onore e si presentavano in modo appropriato”, come se la ride Andrea Camilleri, bisogna ammettere che lo stato del cielo e del clima, l’ultimo rifugio quando non si ha niente da dire ma si è costretti a dire qualcosa secondo quanto consigliavano le nonne, ha assunto toni accesi e passionali che le nonne avrebbero certamente osteggiato, sbaragliando ogni possibile concorrenza, persino quella dello stato delle casse nazionali. Nell’assioma che mette in relazione meteo e onestà della funzione pubblica, la pioggia ha preso decisamente il sopravvento sulle virtù dell’esecutivo. Piove, innanzitutto; del governo eventualmente ladro ci occuperemo a fine agosto. Non si sono mai alzati gli occhi al cielo come in questa estate disgraziata. Si confrontano siti e conoscenze, anche di recente acquisizione (il contadino autoctono vince su tutti; in caso producesse pure miele, essendo le api meteoropatiche, non si avvia nemmeno la discussione, si fa giusto atto di fede); si consultano almanacchi, tutti invariabilmente seducenti e bislacchi, essendo calibrati su un evolversi naturale dei tempi e delle stagioni e con le fasi lunari a far da baricentro.

 

E poi ci sono le app. Le grandi imputate. Un florilegio di sigle, ammiccamenti e ganci che usano le tecniche dei social media innestandovi il linguaggio e i toni della moda. Meteomania e tecnologia procedono di pari passo, come riferiva l’Ipsos qualche tempo fa, segnalando lo strapotere anche psicologico degli smartphone; se gli italiani che seguono quotidianamente le previsioni del tempo sono quasi il settanta per cento, e quasi il trenta quelli che non resistono alla tentazione di farsi un giretto previsionale fra i siti pur impipandosi dei risultati, che non si sa mai, giusto così, per sapere, i meteomaniaci compulsivi, infatti, non staccano mai: giurano che non ci credono, come per l’oroscopo, ma sbirciano di continuo lo schermo quasi fosse il ritratto dell’amato. Non ci credono, di solito non ne capiscono niente e non saprebbero distinguere un cumulo da un nembo, ma hanno bisogno di sostegno, e se la tecnologia fa cilecca vanno nel panico: ho visto un amico di solito assennato inchiodarsi in mezzo a un sentiero di montagna perché il collegamento meteo “non prendeva” costringendo tutta la brigata provvista di scarponi, bastoni e cestini da picnic a un immediato dietrofront, “casomai l’umidità pesante che sento arrivare dal ruscello là in basso segnalasse pioggia in arrivo”, ed è stato l’unico giorno in cui non si è vista una goccia d’acqua.

 

Nonostante dunque capita che diano forfait nel momento meno indicato, cioè a duemila metri quando servirebbero davvero, è probabile che le meteo app abbiano grande successo per motivi fra i quali l’attendibilità non compare fra i primi. Sono, infatti e innanzitutto, fichissime: il vero accessorio dell’estate, più dei gioielli in pasta di vetro colorata e i caftani che non si è infatti avuto granché modo di indossare. Le app più scaricate hanno adottato colori e font degli e-commerce del lusso, cacciando in un angolo i frate Indovino, i font graziati della signorina Felicita e gli ingenui simboli che suggerivano, nel tal giorno di luna crescente e purché facesse secco, il temuto taglio dei capelli o la semina dei fagiolini. Soprattutto, hanno liquidato i siti dalla grafica troppo spartana e i font privi di omologo sulle riviste di tendenza. Su tutti, vincono le applicazioni a pagamento in Times su fondo bianco, il rigore degli spazi calibrati da uno studio grafico e i servizi “custom made”, su misura come completi di sartoria.

 

Il “must have”, come lo definiscono i meteofili usando appunto il linguaggio modaiolo (il segno è tutto), si chiama Metwit, e presuppone come minimo la presenza social di Beyoncé: oltre a scoprire, o perlomeno a ipotizzare il tempo che farà, permette infatti di condividere con le moltitudini facebook e instagram previsioni, mappe, prospettive e foto, ma anche di farsi segnalare con apposito trillo modulato l’arrivo della pioggia. Poi c’è AccuWeather, che rilascia previsioni a quindici giorni (l’estensione pluri-ebdomadaria, del tutto inaffidabile perché oltre i tre, massimo cinque giorni ci si può affidare giusto al Padreterno, è per l’appunto la bestia nera degli albergatori romagnoli), confrontabili con i propri impegni sull’agenda e il calendario offerti nel pacchetto insieme con ogni sorta di strumento per il calcolo delle correnti in totale autonomia e presupponendo in questo caso l’inclinazione per la matematica di Nash.

 

“Roba da hacker del meteo, una bomba”, sospira un altro amico, che infatti è ingegnere e rifiuta di riconoscere nella meteorologia di oggi il germe instabile dell’arte divinatoria di un tempo, quella quota di mistero, carisma personale e ritualità che la rende un gioco magico e anche un po’ sexy, al quale si può accedere tutti purché provvisti di campo e di faccia tosta: i Burt Lancaster bellocci e ciarlatani con certi riti della pioggia sorprendentemente simili alla fecondazione, gli sceriffi timidi per darsi coraggio e le Katharine Hepburn eleganti e meteoropatiche, essendo la predisposizione agli effetti nocivi del clima sintomo di “mente nobile e spirito elevato” come diceva Goethe. Soccombervi è persino un’attenuante per i crimini più efferati in paesi di solito poco predisposti all’eccentricità come la Svizzera, perché già Ippocrate ammetteva che lo scirocco dia alla testa e il fohn che ne è stretto parente ha dato il nome a una serie di racconti noir e pure a un bel romanzo edito da Adelphi. Prima che l’estate volga al termine ci si potrebbe pensare.

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