Il furto della vanità
Giurami che hai cancellato la foto che ti ho mandato dal bagno dell’albergo, giura che l’hai cancellata appena l’hai ricevuta, anzi giura che hai bruciato il telefono. Il diritto alle foto nude o seminude non è in discussione, ma è meglio disattivare iCloud.
Giurami che hai cancellato la foto che ti ho mandato dal bagno dell’albergo, giura che l’hai cancellata appena l’hai ricevuta, anzi giura che hai bruciato il telefono. Lui risponde sempre: certo, sta tranquilla. Mai nessuno ammette la verità: le ho messe tutte in ordine di sconcezza su iCloud, è un posto abbastanza sicuro, lo usano anche Jennifer Lawrence e un sacco di gente famosa. Ma adesso che lo spettacolo delle foto private, rubate alle celebrità e pubblicate su un sito di condivisione immagini, ha reso meno infelice il ritorno in ufficio di molti, tutti, compresi i meno belli, famosi e interessanti si sono chiesti: ruberanno anche le mie foto? Ci si ripromette di spaccare con un’ascia la memoria del computer e ci si tormenta per il video del viaggio a Parigi, quando si fingeva di essere a Reggio Calabria per lavoro, si ruba, per gettarlo nel fiume, il cellulare del marito, dell’amante, e anche del fidanzato del liceo: l’attrice Mary Elizabeth Winstead ha scritto su Twitter che aveva cancellato quegli scatti molto tempo fa, e invece guarda, eccoli lì in fila, ecco la fine del mondo e dei segreti, la fine delle mosse sexy a casa propria e non per vincere l’Oscar (si può decidere di morire per Jennifer Lawrence anche solo guardando la scena del ballo de “Il lato positivo”).
Il Guardian scrive che è stata un’azione contro le donne, un modo per svelarne la debolezza, un esempio di sessismo, perché non ci sono uomini in mutande nella lista dei derubati: ma forse il ladro non era molto interessato ai piedi numero quarantasei, o forse non ha trovato foto degne di essere violate, nessuno disposto a comprare un polpaccio peloso.
E’ il furto della vanità, e non per questo è un crimine minore: ma in foto scattate per essere guardate, anche se da pochi, provate davanti allo specchio e cancellate e filtrate fino a raggiungere il risultato perfetto, con l’occhio non troppo sull’obiettivo ma non troppo altrove, con le lenzuola non troppo disfatte, e mai con la tavoletta del water sollevata, c’è la violazione di un segreto, ma lo specchio rimanda sempre, amplificata, l’immagine della bellezza che si era scelto, fiere, di mostrare a qualche fortunato essere umano, o di tenere per sé, anche, per mandarsi un bacio ogni tanto.
E poiché il diritto alle foto nude, in qualunque grado di nudità o seminudità, non è in discussione (anche quando si pubblica una foto su Facebook in bikini fingendo di voler condividere il tramonto con cinquemila amici stretti, o un autoscatto in mutande sul divano con il commento: domenica pomeriggio), bisogna forse immaginare di disattivare iCloud, non fidarsi di cartelle con lucchetti e di cronologia cancellata (che poi un giorno rispunta dentro un altro computer) e ritornare alla lentezza, allo struggimento e quindi alle foto stampate, da infilare in una busta di carta, affrancare e spedire, dopo essersi fatti promettere dal destinatario che le getterà nel fuoco nel giro di dieci secondi: il valore di questa promessa è in fondo identico a quello di chi giura di avere eliminato tutte le foto da email, chat, Facebook, e contemporaneamente giura che non le ha mostrate mai a nessun altro. Ma allora perché suo fratello, suo cugino, il suo migliore amico, il suo vicino di scrivania, il suo dentista e il suo cane ci guardano con quella faccia strana?
Il Foglio sportivo - in corpore sano