“Proteggere e punire”. Il nunzio del Papa all'Onu usa i verbi giusti
La Santa Sede mette nero su bianco la sua posizione sulla crisi irachena, dopo le parole pronunciate dal Papa agli Angelus, durante la conferenza stampa nel ritorno dal viaggio in Corea e la lettera inviata lo scorso agosto al segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon.
Roma. La Santa Sede mette nero su bianco la sua posizione sulla crisi irachena, dopo le parole pronunciate dal Papa agli Angelus, durante la conferenza stampa nel ritorno dal viaggio in Corea e la lettera inviata lo scorso agosto al segretario delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. E’ stato mons. Silvano Maria Tomasi, l’osservatore permanente all’Onu di Ginevra, ad aver illustrato in otto punti la linea del Vaticano davanti al Consiglio dei diritti umani, riunitosi lunedì sera. Mons. Tomasi, che qualche settimana fa era stato tra i primi a parlare di “azione militare forse necessaria”, ha ricordato che nella piana di Ninive “le persone vengono decapitate a causa della loro fede, le donne sono violentate senza pietà e vendute come schiave al mercato, i bambini sono costretti a combattere, i prigionieri massacrati in barba a ogni legge”. Ecco perché, ha spiegato, è giunto il tempo di agire: “La responsabilità della protezione internazionale si applica sicuramente in questo caso”. Anche perché “il governo non è in grado di assicurare la sicurezza delle vittime”. La responsabilità di proteggere “deve essere assunta in buona fede, nell’ambito del diritto internazionale e del diritto umanitario. La società civile in generale, e le comunità religiose ed etniche in particolare, non dovrebbero diventare strumento di giochi regionali e internazionali”, né “devono essere visti come oggetto di indifferenza a causa della loro identità religiosa”. E la protezione, ha sottolineato mons. Tomasi, “se non è efficace non è protezione”. I responsabili “di questi crimini contro l’umanità”, ha detto il rappresentante della Santa Sede, “devono essere puniti con determinazione. Non deve essere loro concesso di agire impunemente, con il rischio che le atrocità commesse dal cosiddetto Stato islamico possano ripetersi”. Sarebbe anche opportuno, ha ricordato il diplomatico vaticano, che “tutti gli attori, regionali e internazionali, condannino esplicitamente il comportamento brutale, barbaro e incivile dei gruppi criminali che stanno combattendo nella Siria orientale e nel nord dell’Iraq”.
Ieri, intanto, il patriarcato caldeo di Baghdad ha riferito che un uomo di quarantatré anni, cristiano, è stato torturato e quindi ucciso nella città di Baralah, da settimane occupata dai miliziani del Califfato, dopo essersi rifiutato di convertirsi all’islam. “Quello che sta succedendo per mano dello Stato islamico e di altri gruppi fondamentalisti, ci riporta alla preistoria, al tempo in cui ancora non c’era alcuna legge”, ha detto alla Radio Vaticana il cardinale Béchara Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti: “Arriva un bel giorno lo Stato islamico ed emette un decreto per i cristiani: o vi convertite all’islam o pagate la tassa, perché non siete musulmani, o lasciate subito le vostre case. Avete due giorni, altrimenti c’è la spada. Le vostre case e le vostre proprietà sono nostre. E vedere che il mondo intero osserva in silenzio assoluto – ha sottolineato il porporato libanese – vuol dire che siamo tornati nella preistoria. Questo è un grande scandalo, è una piaga nell’umanità”. Si tratta, ha aggiunto, di “salvare la dignità stessa dell’umanità. Noi abbiamo parlato alla coscienza mondiale, vogliamo dire al mondo intero che noi cristiani del medio oriente non siamo una minoranza. Noi siamo la chiesa di cristo presente in medio oriente. Siamo cittadini di questi paesi da duemila anni, seicento prima dei musulmani”. Il cardinale Raï ha anche confermato che dal 9 all’11 settembre prossimo, i patriarchi orientali si riuniranno a Washington insieme ai vescovi americani e ai cardinali Fernando Filoni, prefetto della congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e inviato personale del Papa in Iraq lo scorso agosto, e Leonardo Sandri, capo del dicastero per le Chiese orientali. L’obiettivo dell’incontro, aveva spiegato la scorsa settimana mons. Tomasi, è anche quello di influenzare l’opinione pubblica locale sul dramma che stanno vivendo cristiani e yazidi nelle regioni irachene occupate dall’esercito del califfo al Baghdadi.
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