L'analisi fredda del generale
In Israele “questo panico da Stato islamico deve finire”
Amos Yadlin è stato direttore dell’intelligence militare israeliana e ora è a capo di un think tank che si occupa di sicurezza a Tel Aviv. Due giorni fa ha scritto un editoriale sul quotidiano Yedioth Ahronoth: “Hanno la metà degli uomini di Hamas e non hanno alleati potenti”.
Amos Yadlin è stato direttore dell’intelligence militare israeliana e ora è a capo di un think tank che si occupa di sicurezza a Tel Aviv. Due giorni fa ha scritto un editoriale sul quotidiano Yedioth Ahronoth per spiegare che per quanto riguarda Israele “il panico causato dallo Stato islamico deve finire. A dispetto della scia di orrori che si lascia dietro, quel gruppo opera a centinaia di chilometri dal nostro confine, e anche se fosse più vicino non sarebbe in grado di infliggere danni a Israele e ai suoi abitanti”. Yadlin sostiene che in fondo “stiamo parlando di qualche migliaio di terroristi senza nessuno che li freni a bordo di pick-up, con Kalashnikov e mitragliatrici. Assieme ad altre milizie che si sono aggregate (e che potrebbero abbandonarli quando la loro offensiva si impantanerà) lo Stato islamico ha circa diecimila combattenti, la metà della forza militare di Hamas. E a differenza di Hamas, che invece confina con noi, lo Stato islamico non ha tunnel, non ha artiglieria, non ha la capacità di colpire strategicamente lo stato di Israele e non ha alleati che lo riforniscano di armi avanzate”.
Il generale spiega che il gruppo di Abu Bakr al Baghdadi è un’organizzazione jihadista globale che non è essenzialmente così diversa da al Qaida, una minaccia con cui Israele convive da più di un decennio.
Se lo Stato islamico avesse concentrato i suoi sforzi su Israele invece che sull’Iraq, sarebbe diventato una preda facile per l’intelligence israeliana, per l’aviazione e per per le armi di precisione a disposizione delle nostre forze di terra, scrive Yadlin. Nel momento in cui inconterà un esercito moderno, il gruppo dovrà smontare dai suoi pick-up – e questo ridurrà ancora di più la sua capacità di muovere verso Israele. Allo stesso tempo, lo Stato islamico è impegnato con un’infinità di altri nemici, alcuni dei quali si frappongono “tra loro e noi: gli eserciti di Iraq, Giordania e Libano, e anche il suo nemico giurato sciita, Hezbollah”.
[**Video_box_2**]L’editoriale minimizza il rischio che l’ideologia dello Stato islamico si radichi tra i palestinesi – “E’ troppo estrema persino per al Qaida, non dovrebbe essere vista con favore a Gaza o nella West Bank” – e riconosce al gruppo due risultati definiti “incredibili”: “Ha unito una coalizione incredibilmente ampia contro di sé. Una lista breve comprende la Russia, la Turchia, l’Iran, le milizie curde, gli stati del Golfo, l’Arabia Saudita, la Giordania, l’esercito siriano, quello libanese, Hezbollah e Israele”. Il secondo risultato è quello di avere “riportato l’esercito americano in Iraq durante il mandato dell’Amministrazione Obama”. Per tutte queste ragioni, “possiamo togliere il dito dal bottone dell’allarme rosso. Lo Stato islamico non è una minaccia significativa per Israele nel prossimo futuro”, e anzi, puo creare chance di cooperazione strategica con altri paesi. L’America, l’Europa, gli stati della regione guidati di sunniti moderati. “In fondo, stiamo tutti lottando contro l’estremismo islamico”.
Se un pericolo c’è, conclude il generale, è che l’attenzione del mondo sia deviata dal programma nucleare iraniano, che è “il vero pericolo strategico per la sicurezza del mondo e per la sicurezza di Israele. Dovremmo conservare un piano d’azione realistico e concentrarci sui problemi più importanti, anche se dalla Siria e dall’Iraq arrivano immagini orrende”. Yadlin non aggiunge altro, ma è probabile che il governo israeliano stia seguendo attentamente il nuovo clima di collaborazione oggettiva fra Iran e America, entrambi finiti a combattere sullo stesso fronte iracheno nella guerra di contenimento contro lo Stato islamico.
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