Patto dopo patto
Tra nomine e Quirinale. Fino a dove può arrivare la sintonia tra Renzi e Cav.
I risultati della grande coalizione di fatto, le conseguenze nel governo e l’ordine di Berlusconi sul metodo d’opposizione
La riforma elettorale, e va bene. Il patto sul Senato, e d’accordo. L’accordo del Nazareno, e non ci piove. Ma giorno dopo giorno, telefonata dopo telefonata, colloquio dopo colloquio, patto dopo patto, il rapporto speciale costruito da Matteo Renzi con Silvio Berlusconi (e da Silvio Berlusconi con Matteo Renzi) sta assumendo una fisionomia che somiglia sempre più a una grande coalizione di fatto, che paradossalmente oggi presenta punti di forza persino maggiori rispetto a quelli che vi erano all’inizio della legislatura, quando il partito del Cavaliere era formalmente alleato al governo con il Pd. All’inizio di questa settimana il capo di Forza Italia, durante una riunione con i vertici del partito, ha ribadito che il governo non si tocca, che le critiche sono ancora premature, che Matteo sull’economia non è granché, vero, sulla politica d’immigrazione i ragazzi della Leopolda sono scarsini, vero anche questo, ma sulle linee generali il governo non si sta comportando così male e dunque adelante con l’opposizione ma cum juicio (e in effetti trovare una dichiarazione critica di Forza Italia sull’annunciata riforma della scuola, sull’annunciata politica di tagli alla spesa pubblica, sull’annunciata riforma del lavoro è un’operazione non troppo diversa dal cercare a Palazzo Chigi qualcuno che parli una lingua diversa dal fiorentino o dal reggioemiliano: ci sarà pure, ma molto probabilmente sarà stato un errore a cui bisogne porre un rimedio urgente).
[**Video_box_2**]La linea di Berlusconi – nonché il sogno proibito di quello spicchio di Forza Italia che offre all’osservatore il suo profilo più governativo e ovviamente più aziendalista (Denis Verdini, Paolo Romani, Gianni Letta) – è quella di studiare un percorso per far sì che dopo la prossima legge di stabilità (legge che sarà anche lacrime e sangue) la presenza di Forza Italia al governo non sia solo una voce che passa dagli iPhone di Denis Verdini e Luca Lotti ma sia qualcosa di più. Nel suo ultimo incontro con i vertici del partito ad Arcore Berlusconi ha detto con chiarezza che entrare al governo è un risultato non si sa se possibile ma comunque auspicabile, “perché Renzi ho il sospetto che arriverà davvero al 2018”, e a Palazzo Chigi la parte più fiorentina del Pd ragiona da mesi sulla possibilità (al momento remota, ma domani chissà) che in caso di stallo economico, in caso di stallo riformistico e in caso di stallo governativo allargare la maggioranza a Forza Italia finisca per essere una buona soluzione per non tornare al voto con questa legge elettorale (e per uccidere definitivamente – dicono leccandosi i baffi in Forza Italia – il già agonizzate partito di Alfano).
Nell’attesa di capire quale nuova forma politica prenderà il patto del Nazareno (entro la fine del mese Renzi e Berlusconi, che ormai duettano anche sui dossier di politica estera, dovrebbero vedersi nuovamente) ci sono alcuni segnali che indicano come la sintonia tra Forza Italia e il Pd non sia solo una categoria dello spirito ma abbia portato anche alcune conseguenze precise nella quotidianità di governo. Il nome chiave, poco noto al grande pubblico, per capire la solidità e la presenza plastica dello sbarazzino asse cordiale tra Renzi e Berlusconi è quello di Raffaele (Lele) Tiscar, 57 anni, passato in Lombardia nella giunta regionale guidata da Formigoni (ruolo direttore generale), area Comunione e liberazione, e scelto dal presidente del Consiglio come vicesegretario generale di Palazzo Chigi sia per la sua riconosciuta professionalità sia per la sua profonda sintonia con la parte più aziendalista di Forza Italia (e pensiamo sia inutile dire in che città si è laureato Tiscar: inizia con la “F”, finisce con la “E”).
Negli ultimi mesi sull’asse Renzi-Berlusconi sono maturate alcune nomine importanti come quella di Luisa Todini (ex europarlamentare di Forza Italia) alla presidenza delle Poste, come quella di Federica Guidi (che in passato Berlusconi aveva provato a coinvolgere nell’universo di Forza Italia) al ministero dello Sviluppo e come quella di Cosimo Ferri (ex Forza Italia ed ex sottosegretario di Berlusconi) al ministero della Giustizia (come sottosegretario). In queste ore, Pd e Forza Italia, sia formalmente sia informalmente, stanno provando a dialogare (finora senza trovare nessun accordo) e nel Partito democratico qualcuno pensa che all’interno del giro berlusconiano sulla riforma della giustizia potrebbero esserci non solo voti contrari ma anche qualche astensione (stesso discorso sulla scuola, e la stessa Mariastella Gelmini, ex ministro dell’Istruzione del governo Berlusconi, ha detto che le proposte renziane sono buone e che sarebbe un peccato se poi dovessero rimanere solo annunci). Più facile, a livello politico, trovare invece un accordo sulla nomina dei prossimi giudici della Corte costituzionale (Luciano Violante e Antonio Catricalà sono i nomi giusti da osservare) e ancora più facile prevedere che il patto del Nazareno, quando Giorgio Napolitano sceglierà di fare un passo indietro, sarà esteso anche al risiko Quirinale.
Berlusconi, anche se sa perfettamente che se c’è una persona al mondo che sa mentire spendo di smentire quasi ai livelli di Berlusconi quella persona è certamente Renzi, ripete da settimane che sul successore di Napolitano, che a meno di sorprese dovrebbe essere eletto da questo Parlamento, non potrà che esserci una nuova profonda sintonia (e il nome di Roberta Pinotti, cinquantenne ministro della Difesa, non scalda il centrodestra ma non dispiace né a Silvio Berlusconi né a Denis Verdini). Nella cauta e finora efficace strategia del silenzio d’oro berlusconiano, oltre che il feeling con Matteo, pesa anche la romantica attesa per la sentenza della Corte europea, prevista per febbraio, che nei sogni di Forza Italia potrebbe riabilitare il Cavaliere e renderlo persino eleggibile. Una speranza che nel centrodestra viene considerata meno improbabile di quello che si potrebbe credere e che costituisce uno dei molti ingredienti che hanno contribuito a imporre in Forza Italia la politica del “calma libera tutti”. Sull’Economia e sull’immigrazione (e forse anche sulla giustizia) non mancheranno dunque le sculacciate di Berlusconi e compagnia al governo Leopolda (dove un altro canale importante è quello tra Paolo Romani, capogruppo al Senato, e Maria Elena Boschi, ministro delle Riforme). Ma pur non potendolo dire ad alta voce oggi Berlusconi rappresenta per Renzi l’alleato più importante. Senza l’accordo con Forza Italia sulla riforma elettorale difficilmente il segretario del Pd sarebbe finito a Palazzo Chigi. E senza l’accordo con Forza Italia difficilmente Renzi avrebbe visto le voci della minoranza del Pd trasformarsi in un marginale rumore di sottofondo. La grande coalizione virtuale funziona. Berlusconi ha capito che Renzi potrebbe durare a lungo, si è reso conto che affretare troppo i tempi potrebbe essere rischioso per Forza Italia (la legge elettorale al Senato? Certo, si farà, ma con calma, senza fretta, visto mai poi il ragazzaccio fiorentino dovesse ingolosirsi e volesse andare subito al voto?). Per un po’ si navigherà seguendo dunque questa rotta. E se le cose per il governo dovessero mettersi male l’appoggio esterno chissà che non abbia buone possibilità di diventare più interno del previsto.
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