Ultime dalla Buttanissima
Come un Papa, fortemente Papa, si risolve a somigliare a un Antipapa, così un carrierista dell’Antimafia, potentemente antimafia, risulta spiccicato e identico a un padrino. E così agli atti di un potere conclamato. Nella Sicilia di Crocetta l’opera dei pupi diventa un noir politico: indovina chi è il Gran Burattinaio?
Come un Papa, fortemente Papa, si risolve a somigliare a un Antipapa, così un carrierista dell’Antimafia, potentemente antimafia, risulta spiccicato e identico a un padrino. E così agli atti di un potere conclamato.
Una stampa, una figura. Osservatelo. Ovviamente non vedete nulla. Immarcescibile regista della legalità a uso di comando, il padrino se ne sta nascosto dietro il pietrone. Non si palesa. E se Rosario Crocetta – di Sicilia, qui, si sta parlando – è il governo nella dimensione propria del visibile, seppure allo stato gassoso ci deve per forza essere un altro, un ben altro che si faccia carico della solidità della reggenza. E’ talmente improbabile, infatti, che Crocetta – inadeguato Narciso qual è, il Pappagone – possa assumersi la fatica della politica. E dunque deve avercelo per forza un macchinista, un fuochista, un palchettista, insomma, un innominato: uno che faccia il lavoro sporco e solido proprio del Grande Burattinaio nel frattempo che svapora tutta l’impostura della Rivoluzione di Sicilia.
Una stampa, una figura. Studiatelo. Come l’esistenza di Dio si può dimostrare solo con le cose che succedono, così la straordinaria coincidenza tra il circo equestre di Palermo e il Grande Burattinaio è negli esiti. Tra le ultimissime della Buttanissima c’è dunque questa della leggenda nera del manovratore occulto.
E magari la governasse, l’Isola. Va alle corte, l’Innominato, e se ne impossessa. E sempre nella circospezione della parolina sussurrata. Così che la lorda fiaba vada ad aggiungersi alla pittoresca saga di Pappagone e il governo dei Giufà, con dodici creduloni – gli assessori della Giunta – che nulla dimenticarono e nulla capirono tra i miasmi di una terra sempre più ridotta a fogna del potere.
Una stampa, una figura. E tutto un silenzio. Neppure per difendere la propria “picciridda”, il Grande Burattinaio, esce allo scoperto. Resta al coperto nel frattempo che Nelli Scilabra, la ragazzina fuori corso messa a far da assessore alla Formazione, chiamata quindi ad amministrare 350 milioni di euro l’anno, si ritrova sotto il fuoco di una violenta polemica politica.
Come un padrino – i cui tic di intimazione e ingiunzione sono da manuale – il Grande Burattinaio gioca la doppia partita tra mascariati e magistrati. Ammansisce gli uni e gli altri con bocconcini se non proprio prelibati, sostanziosi. Tutto un fuoco grande, però, in siffatta stampa e in cotanta figura, senza altro pompiere – senza altro silenzio, visto che a Roma nessuno se ne accorge di come muore la Sicilia – che l’omertà dell’ideologicamente corretto. Altrimenti se ne farebbe cronaca di tutto il solido che transita per le sapienti mani di prestidigitatore del Grande Burattinaio.
[**Video_box_2**]Non lui, ma i suoi – fidatissimi – sono i membri dello staff della Scilabra, la disoccupata non ancora formata chiamata a far da madrina dei disoccupati da formare nell’apnea della formazione. E quando – manco pochi mesi fa, in piena estate – ci si adoperò per risolvere il problema del precariato e dell’emersione del lavoro nero ed ebbe vita il “Piano Giovani”. Se solo un gioco di società ne convocasse un’evocazione, un’individuazione, una sgargiante collocazione – c’è, non c’è, esiste il Grande Burattinaio? – ebbene, malgrado tutto il pagnottista di tanti mangiafranchi, non esce.
E tanti sono i mangiafranchi in cerca di pagnotta. Vennero messi a bando circa 800 tirocini per “i giovani” sotto i 35 anni, retribuiti con 500 euro al mese dalla regione Sicilia, presso aziende – auto candidate – anch’esse messe al bando. Insomma, niente di più semplice, mettere insieme domanda e offerta, il tutto attraverso un sito apposito e tramite la supervisione dei centri per l’impiego della regione.
La storia, nell’alchimia di transizione tra lo stato gassoso a quello solido, si complica. La regione siciliana, ancora prima di metterci mano, si accorge di aver bisogno di figure altamente specializzate. C’era da coordinare il team di dipendenti dei centri per l’impiego nello smistamento delle domande (perché 2.000 dipendenti non bastano, ci vogliono anche gli esperti) e ci fu necessità di un ulteriore supporto informatico al sito; per questi servizi, si pensò bene di appaltare ad Italia Lavoro, società del ministero del Lavoro, circa 5 milioni di euro, al fine di selezionare le figure professionali, stipulare i contratti per 12 mesi di lavoro e gestire il sito. Occorre fare subito una premessa, Italia Lavoro scoprì di non avere a disposizione i supporti informatici per gestire il sito, per cui, la regione siciliana ri-affidò l’incarico a una società genovese, tale ETT, per la modica somma di altri 200.000 euro; non è dato sapere però se questa somma sia stata decurtata dai cinque milioni stanziati precedentemente a Italia Lavoro. Non si dà mai esatta misura dal gas al solido e viceversa.
E’ però il succo della questione. Il bando di Italia Lavoro venne pubblicato il 24 giugno sul sito, con scadenza 3 luglio, quindi con appena dieci giorni di tempo per iscriversi. Il bando si rese praticamente impossibile da trovare, fu opportunamente occultato nei meandri della rete. Ben due bandi, il primo seleziona 7 figure di esperti, con esperienza almeno decennale nel settore della formazione, l’altro, seleziona 46 figure di supporto ai centri per l’impiego regionali. Molti giovani vengono a conoscenza di questi bandi tramite il giornale online, Live Sicilia, che svela l’arcano e pubblica il link sul proprio sito, e fu qui che si scatenò il sabba.
Autocandidarsi fu un’impresa. Registrarsi al sito, fornire le opportune credenziali – una volta ricevuta la mail – per completare la procedura, quindi riscrivere il proprio curriculum, passo passo, seguendo le varie voci (esperienze professionali, pubblicazioni, titoli, altre capacità e competenze), non ebbe altro risultato che ritrovarsi il sito in blocco e la scritta lampeggiante “ERRORE”. Ricominciando, il sito non riconosceva più le credenziali, compilare un’anagrafica e allegare il proprio curriculum in pdf, sarebbe stato molto più sensato, ma di certo non consono alla solidificazione del gas e alla liquefazione del solido. Per moltissime persone è stato impossibile poter completare la procedura, il sito risultò proditoriamente in tilt e i pochi fortunati ebbero modo di partecipare a una selezione a dir poco surreale, perfetta per una sceneggiatura, eccola: i candidati vengono convocati per la prova scritta in un lussuoso hotel palermitano, dove però – di buon mattino – il direttore dell’albergo, vedendosi sfilare sotto il naso, alla spicciolata, tutti i picciotteddi, domanda loro: “Scusate, chi cercate?”. La società non aveva né prenotato né mandato il bonifico per l’affitto della sala, l’equivoco in qualche modo si accomodò e il colloquio orale, poi, venne vissuto a metà tra un interrogatorio (“Dunque lei è di Brancaccio, ha forse partecipato al funerale del boss, ha poi contribuito alla corona di crisantemi?”) e una seduta di psicoterapia (“Dunque lei ha delle visioni, dei turbamenti, delle coazioni… degli impulsi?”).
Alla fine della procedura, dei colloqui e al netto dei tilt informatici non si capisce perché, per il bando da sette posti risulta idoneo un solo candidato su 20, per quello da 46, solo 31 su 41 risultano idonei. Il gas passa al solido e viceversa, il Click Day fa flop e cinque milioni e duecentomila euro non sono stati sufficienti neanche a gestire un sito su cui raccogliere le adesioni di circa 90.000 giovani siciliani assetati di lavoro.
Queste, le ultimissime dalla Buttanissima. Uno scandalo che non fa scandalo. Un imbroglio sbrogliato già mettendo le mani avanti. Forte di una bugia antimafia, infatti, Crocetta che se ne sta davanti ogni pietrone, strepita: “Nelli rischia la vita”. Pum! Pum! Classico teatrino. Non c’è minaccia, non esiste pericolo, l’unico rischio che corre ’a Picciridda è quello di essere rispedita tra i banchi a studiare e così superare gli esami arretrati. La bugia, in questo caso – come in moltissimi casi, quelli della specialissima natura della farlocca stagione di Crocetta – è intimidatoria. E’ un format ormai collaudato, tanto è vero che ci cascano tutti, a cominciare da Matteo Renzi, e tutti se ne tengono a distanza. Manco la pena di dedicargli un hashtag, alla povera Sicilia. E lo scandalo non può fare scandalo perché ogni cronaca, figurarsi ogni critica, rischia di impestare di dubbio la specchiata lucentezza della legalità messa a coprire la farsa consumata sulle spalle dei giovani di Sicilia, carne del consenso rivoluzionario nel governo dei Giufà (copyright di Francesco Foresta, direttore di Live Sicilia).
Il solido è però solido. Una stampa, una figura. A pasticcio ormai consumato ecco che Crocetta se la pensa: questi servizi sarebbe meglio farli gestire alle società in house della regione Sicilia, tipo Sicilia e-Servizi e Sviluppo Italia Sicilia (nate proprio per occuparsi dei servizi informatici e di assistenza tecnica), si spendono milioni in appalti esterni per servizi che già la regione ha internamente.
Finti avvisi pubblici, dunque, per poi infilare i loro clientes direbbero i malevoli ma a Palermo tutto ciò si traduce così: “Assunzione per chiamata diretta con avviso pubblico”. E questo è. Ottocento giovani sono riusciti a presentare la domanda e nei corridoi dell’Università di Palermo riconoscono fra questi i ragazzi dell’associazione universitaria Rum (Rete universitaria mediterranea) filiazione diretta dell’assessore Nelli Scilabra, detta ’a Picciridda che però – a giochi di fuoco scappati di mano – è lasciata sola dal Grande Burattinaio.
Il solido è un solido e dall’ombra del suo pietrone, l’Innominato, impone, dispone e sistema. E’ appunto un gioco di società quello di dare volto e nome all’ombra che colora di noir i giorni dei pagnottisti. Ed è diventato un gioco così popolare – una melodia teatrale – tratteggiarne il volto, scoprirne la natura, immaginarne la spietata efficacia nel comandare. Non certo Live Sicilia, il giornale che più di ogni altro ha scorticato “il Governo dei Giufà”, ma anche i riluttanti giornali siciliani hanno dovuto dare seguito a ciò che da provocazione è diventato un vero romanzo di disvelamento della patacca crocettiana, giusto a voler individuare il solido in cotanto gas. Nei due anni di Crocetta a Palazzo d’Orleans, la sede del governo di Sicilia, artisti, pensatori, critici, letterati e sognatori di vario genere, hanno atteso e forse anche sperato. Hanno dilatato il tempo di latenza, per dirla con il linguaggio della comunicazione, fintanto che la sgangherata commedia ha infine preso i torbidi toni del noir. Da insopportabile impostura dell’Opera dei Pupi (o dei Puppi, non senza malizia, se Gino Astorina, nel suo sontuoso cabaret di Catania, “Il Gatto blu”, sta già lavorando a “L’Opera dei Puppi”) alla definitiva dismissione delle bugie. Fino a intravedere l’ombra di chi manovra in cotanta sgargiante scena.
Una stampa, una figura. Studiatelo, dunque. E’ lui. Ovviamente non si vede nulla, sta nascosto dietro il pietrone e l’effetto dirompente della messa a nudo è così liberatorio che Lello Analfino, nei suoi sempre affollati concerti dei Tinturia, in ogni piazza mette in scena l’ultimatum a questa menzogna della rivoluzione del governatore. E Salvo Piparo, superbo attore, ne sta facendo canovaccio: “Lo spompato Pappagone ha un padrino malandrino che si prende già gli inchini da sbirri e netturbini, e pure dai parrini”.
Una stampa, una figura. E un metodo, da sempre uguale. Il solido è sempre solido. E’ in un luglio torrido degli anni 70 che il lettore, a questo punto, deve immaginare di ritrovarsi. Innanzi al padiglione infuocato della Fiera del Mediterraneo, a Palermo. Si celebra un congresso regionale della Democrazia cristiana e come tutti i congressi anche questo si diceva destinato a introdurre chissà quali sconvolgimenti. Erano gli anni dei leoni ruggenti: da Salvo Lima a Giovanni Gioia, a Nino Gullotti.
Don Calogero Volpe da Montedoro che veniva dalla cultura del feudo (povero feudo), pur di raccogliere quel filo di vento che potesse aiutarlo a contrastare il supplizio dello scirocco se ne stava seduto sulla soglia del padiglione. Occhiali come due patelle, i molluschi, in maniche di camicia con la giacca raggomitolata sulle ginocchia, sbuffava di tanto in tanto. Non solo per il caldo ma anche per la noia di sentire i discorsi della tribuna.
Come un Papa, fortemente Papa, si risolve a somigliare a un Antipapa, così Calogero Volpe, potentemente protagonista, vuole risultare laterale, estraneo, invisibile. “Zu Calò, ma vossia non piglia la parola?” gli chiese a bruciapelo Piero Fagone, cronista politico del Giornale di Sicilia. L’onorevole Volpe – “deputato sin dalla Costituente e fino alla morte”, così si legge su Wikipedia – girò lentamente lo sguardo, smorfiò una risatina metà ironica e metà dissacrante, fece roteare l’indice e il pollice come a impugnare un indicibile ferro e sentenziò: “Cu nesci la testa dalla tana… pum!, pum!”.
Ecco, una stampa, una figura. E un pietrone. Pum, pum!
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