Il campus introduce la polizia morale contro la discriminazione
Gli studenti di Wake Forest sono incoraggiati a denunciare qualunque abuso, dall’omofobia all’offesa su base “genetica”.
New York. All’università di Wake Forest, in North Carolina, la discriminazione e la libertà di parola si distingueranno grazie a un apposito modulo che allerterà un’apposita commissione, la quale prenderà i provvedimenti necessari. Il “bias incident report form” è un documento reperibile sul sito dell’università che segnala in forma rigorosamente anonima non già episodi evidentemente criminali (per quello ci sono le segnalazioni anonime alla polizia) ma più incerte e personalizzate forme di discriminazione che affliggono il campus. Alcuni studenti di Wake Forest hanno denunciato negli ultimi mesi episodi di discriminazione a sfondo razziale, e le autorità dell’istituto hanno deciso di creare una struttura per “contribuire a generare un ambiente sicuro e inclusivo”. Nelle università americane si sono moltiplicate negli ultimi mesi e anni le segnalazioni di soprusi e forme varie di discriminazione, fenomeno che è stato accompagnato da crescenti polemiche intorno a personaggi invitati a tenere discorsi, ai quali hanno dovuto infine rinunciare a causa delle lamentele di questo o quel gruppo universitario. Si tratta di specificazioni della stessa tendenza a bollare come illegittimo tutto ciò che può disturbare o offendere una categoria rappresentata nel campus, fino al limite in cui un singolo studente è autorizzato a muovere anonime accuse per qualsiasi forma di discriminazione, anche quelle ancora da codificare.
Il modulo offre diversi generi di discriminazione da indicare con una crocetta: in base al sesso, alla razza, alle abilità fisiche, alla nazionalità, alla religione, all’età, alla situazione finanziaria, all’orientamento sessuale e al gender; poi ci si addentra ancora più nello specifico, con la discriminazione per cittadinanza, stato coniugale, gravidanza, status di veterano di guerra, appartenenza a un’associazione e “informazioni genetiche”, qualunque cosa voglia dire. E queste sono soltanto le categorie suggerite dalla burocrazia universitaria. Gli studenti sono invitati a specificare la loro “narrazione” dell’episodio se si sono sentiti discriminati ma non sanno esattamente a quale casella attribuire l’abuso. Significa, in sostanza, che tutto, da un’occhiata in mensa alla battuta infelice, per tacere dei cori alla partita di football, può teoricamente trasformarsi in una forma di discriminazione da censurare e punire in modo esemplare. Persino uno scherzo fra membri di confraternite in goliardica competizione può costare la caduta nel sordido girone del pregiudizio, accanto ai commenti razzisti e alla discriminazione sessuale.
[**Video_box_2**]Chi decide quali parole e comportamenti sono leciti e quali inaccettabili? Chi stabilisce dove finisce la libertà di parola solennemente protetta dal Primo emendamento alla Costituzione e inizia la “uguale protezione” contenuta nel Quattordicesimo? Nel caso di Wake Forest la decisione spetta al “The Bias Incident Review Group” una commissione di burocrati del campus che esamina le segnalazioni e decide dei provvedimenti disciplinari. Se l’abuso può comportare anche un reato, la commissione lo segnala anche alla polizia. E’ una specie di polizia della discriminazione che intercetta tutto ciò che urta la sensibilità degli studenti. La moltiplicazione dei diritti non può che comportare la moltiplicazione delle violazioni, e nell’attesa che ogni forma discriminatoria ottenga una corrispondente fattispecie di reato (s’inizia dall’omofobia ma si arriverà alla discriminazione sulla base delle “informazioni genetiche”) ci si affida alla polizia del pensiero.
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