“L'occidente servile abbandona gli ebrei”. Parla Bensoussan

Giulio Meotti

A colloquio con il grande storico della Sorbona. “Si sta ripetendo il tradimento delle élite del 1940”

Roma. “Il destino degli ebrei di Francia è come il canarino nella miniera di carbone: annuncia una conflagrazione molto più grande”. Così parla al Foglio il grande storico della Sorbona Georges Bensoussan, ebreo marocchino, uno dei maggiori intellettuali francesi viventi, direttore del Mémorial de la Shoah di Parigi e della Revue d’Histoire, e autore della monumentale “Storia del sionismo” (Einaudi). Nei primi otto mesi del 2014 la Francia è in testa ai paesi di emigrazione verso Israele, una prima assoluta, con quasi cinquemila persone che hanno scelto di lasciare la République per andare a vivere nello stato ebraico. Parigi supera Stati Uniti, Ucraina e Russia.

 

“Si tratta di una vera novità, una vera e propria svolta nella storia della aliyah degli ebrei della Francia dal 1945 a oggi”, ci spiega Bensoussan. “Ciò che conta è che il tasso di partenze è sconvolto. Mille e cinquecento nel 2010, mentre quest’anno ci saranno seimila ebrei che lasceranno la Francia. E’ l’uno per cento della popolazione ebraica di Francia. L’aliyah francese sarà due volte e mezzo più grande della aliyah dagli Stati Uniti per una comunità dieci volte più piccola”.

 

Ebrei francesi che partono per Israele, musulmani francesi che partono per Iraq e Siria, a fare il jihad. “La Francia offre il maggior contingente di volontari europei per il jihad in Siria”, dice Bensoussan. “Il quaranta per cento secondo la polizia. In novecento sono partiti. Ciò riflette, da un lato, lo sconvolgimento demografico. D’altra parte, c’è un mondo intero di non integrazione e di grave dissimulazione. Un fatto sorprendente è la scelta del nome. L’immigrazione araba in Francia è l’unica nella storia dell’immigrazione in questo paese che continui a dare ai propri bambini nomi del mondo originario. Questo processo di dissimulazione è il risultato di fattori storici pesanti, come la colonizzazione e la decolonizzazione, l’Algeria, il risentimento degli ex colonizzati e il risentimento sociale. Questo poi avviene su uno sfondo storico che tutti hanno dimenticato, ‘la storia pesa sulle menti dei viventi’ diceva Marx”.

 

E’ entrato in crisi il modello integrativo francese. “Il multiculturalismo francese è una sciocchezza. La Francia non è una società fatta di comunità, ma una nazione unita attorno a una lingua, letteratura, storia, collaudate per un secolo e mezzo. Il comunitarismo è antitetico alla storia francese. Il multiculturalismo non funziona da nessuna parte. Funziona ancora meno in Francia per motivi già citati in cui la nazione rimane un ‘patto del quotidiano’ (Renan)”.

 

Islamismo minaccia alla democrazia
Nei giorni scorsi si è appreso che l’attentatore del Museo ebraico di Bruxelles, Mehdi Nemmouche, faceva parte di un gruppo di torturatori dello Stato islamico di Iraq e Siria. “L’islam radicale o islamismo è una minaccia per la democrazia europea”, ci dice Bensoussan. “La crescente popolazione della sponda meridionale del Mediterraneo, insieme con lo choc della modernità illuministica, porta a una tensione identitaria. E ignorando il divario tra il temporale e lo spirituale (che è il motivo per cui Gauchet disse che il cattolicesimo è la ‘religione dell’uscita dalla religione’), ci sono tutti gli ingredienti di una deriva totalitaria che è il punto di incontro di sofferenza, frustrazione e risentimento provocato dalle società democratiche in cui il destino ha dato forma alla responsabilità individuale. Questo totalitarismo è la risposta allo sgomento”.

 

Che si tratti di una minaccia per tutti noi? “Ahimé, sì, come il comunismo totalitario e le ideologie fasciste. Inoltre, la minaccia sorge di fronte a un mondo occidentale che ha perso le tracce della guerra e sviluppato una tendenza al servilismo per assicurare la pace civile. Questo avvenne già in Francia nel 1940, con il tradimento di una parte dell’élite. Questo è ciò che sta accadendo più o meno in Europa. La pace civile viene realizzata a danno degli ebrei. Essi lasciano l’Europa, lentamente o a scatti, in silenzio o ad alta voce, ma se ne andranno prima che i cambiamenti demografici in atto lascino loro alcuna possibilità. Resteranno i ‘marrani’, muti, discreti, cancellati”.

 

All’Università di Milano, in occasione della Giornata della cultura ebraica, Bensoussan martedì terrà una conferenza sugli ebrei fuggiti dai paesi arabi. Secondo lo storico parigino, “la storia degli ultimi ebrei in terra araba, difficile da costruire, è stata per molto tempo oggetto di negazione. Poiché si preferisce la credenza al pensiero, parte delle élite occidentali ha ridipinto il passato arabo connotato da ‘futuri radiosi’ dalle mille sfaccettature, non riuscendo a comprendere che un mondo colonizzato e dominato poteva anche essere un mondo colonizzatore, dominatore e oppressore. Né ad ammettere che i ‘progressisti’ arabi, anticolonialisti militanti, potessero anche essere degli antisemiti e dei reazionari”. 

 

Il grido “morte a Israele” risuona nei boulevard di Parigi e nelle banlieue francesi. “Il rifiuto di Israele ha molti fattori. Oltre al peso della popolazione araba (in Francia nel mese di luglio 2014, quasi l’ottanta per cento dei manifestanti e organizzatori della protesta pro Hamas era di origine nordafricana), c’è la sinistra che ha costruito l’‘Ebreo astratto’ e che poi lo ha trasformato in ‘stato razzista e colonialista di Israele’. Aggiungiamoci la ricerca di una causa redentrice, i reprobi della terra che si rinnovano a Gaza. Non si può capire questo accanimento contro Israele che confina con la cecità volontaria. Come si può essere antisemiti dopo Auschwitz? Mostrando che le vittime di ieri non sono meglio dei loro assassini. Che questi sono assassini reincarnati. In breve, il senso di colpa nato dall’Olocausto è indicibile. E poiché è così difficile da sopportare, questo senso di colpa si trasforma in aggressività. In altre parole, è in nome dell’Olocausto, e più in generale contro il razzismo, che oggi si può essere antisemiti”.

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.