La comédie c'est moi
La vendetta di Valérie Trierweiler contro François Hollande e il sussiego dei librai parigini sono l’ultimo capitolo di Balzac: la trasformazione di una vita pubblica in romanzo rosa.
Il giorno prima, alle dodici e trenta, lei gli ha telefonato. “Volevo che tu lo sapessi da me”, gli ha detto. Volevo che tu sapessi da me, dalla mia voce che è un bisbiglio, calmo solo per finta, quello che tutto il mondo già ha letto sulle agenzie, sui giornali online, su Twitter. Domani esce il libro che ho scritto per distruggerti, dopo che tu hai distrutto me. Le memorie di Valérie Trierweiler, il suo sguardo ferito e vendicativo su François Hollande, il libro che infastidisce ed eccita la Francia e che molti, dichiarando disapprovazione e disprezzo, leggono di nascosto sul Kindle, sull’iPhone (è al primo posto nella classifica di Amazon), mentre qualcuno ha pregato il libraio di fiducia di mettergliene da parte una copia, ma con discrezione, e comunque non è certo per me, è per la mia cameriera. In libreria, da Gallimard ad esempio, è impossibile anche solo prendere “Merci pour ce moment” in mano senza essere visti, per sfogliarlo con noncuranza, per arrivare almeno a Hollande che mangia patate soltanto se arrivano dall’isoletta di Noirmoutier (dove si coltiva la bonnotte, una patata piccola e al sapore di nocciola, lussuosa quanto il tartufo bianco), per leggere in piedi le pagine su Ségolène Royal, e su quella volta che Hollande è scappato via dal ristorante con Ségolène, e Valérie è rimasta al tavolo da sola, umiliata, con il conto da pagare. E’ impossibile passare inosservati in libreria, non farsi disprezzare da altri clienti con in mano un saggio su Proust (che avrebbe apprezzato questo genere di pettegolezzi), perché da Gallimard il libro è alla cassa, girato di schiena, e per toccarlo bisogna essere determinati: superare un’altra pila di libri, scontrarsi con le persone che legittimamente stanno aspettando di pagare la propria copia dell’ultimo premio Goncourt, incontrare lo sguardo di disapprovazione del libraio, che è costretto dalla libertà di stampa a questo ignobile commercio, e in alcuni casi ha affisso cartelli, come hanno raccontato i giornali, per prenderne le distanze: “Questa libreria non ha la vocazione a lavare la biancheria di madame Trierweiler”.
Ma il fenomeno è stato così travolgente, tutti quei libri spariti in un attimo, che altri librai hanno pensato di fare almeno un po’ di ironia, sempre in vetrina, ammettendo di avere ordinato per sbaglio troppo poche copie, ma pur di non sembrare dei librai cretini preferiscono essere librai cattivi che non si abbasserebbero mai a vendere certi bestseller di pessimo gusto. Tutti si sono impegnati a elaborare un pensiero, una scusa, un’indignazione o una bugia (“non lo leggerò mai, ma mia nonna è in ospedale e me l’ha chiesto: ho provato a convincerla che è uno schifo, ma ha minacciato di strapparsi via la flebo”) di fronte a questo libro scritto in poche rabbiose settimane e poi un po’ riscritto, dietro consiglio degli editori preoccupati dal fatto che Hollande, il presidente, l’uomo che ha portato Valérie Trierweiler al totale disvelamento di sé e di lui, sembrava avere solo colpe, difetti, bugie e freddezza. Devi anche far capire che l’hai amato, le hanno detto. Ma quella era la sua versione del dolore, dell’umiliazione, la versione che probabilmente nemmeno Hollande ha mai conosciuto davvero, prima di questo libro (all’Eliseo hanno rifiutato di ricevere perfino l’anticipazione di Paris Match sul libro di Valérie, ma bisogna immaginare Hollande in camera da letto, la notte, mentre sfoglia angosciato, incredulo, sogna un rogo di libri, o forse una guerra nucleare, qualcosa che distolga l’attenzione da quella spazzatura). Forse lei rideva nervosa quando lui chiamava i poveri “i senza denti”, o quando si rifiutava di mangiare qualunque cosa che fosse in scatola, forse Valérie era troppo felice di essere all’Eliseo, e di esserci al posto di Ségolène Royal, per dirgli che si sentiva ignorata, illegittima, sempre un passo indietro, non amata.
Troppo insicura per non passare dall’amore folle, da una beatitudine paralizzante all’odio totale. Comunque Valérie ha ubbidito agli editori, seduta a un computer senza collegamento internet, e ha aggiunto le parti in cui Hollande la faceva tanto ridere, l’aveva fatta innamorare pazzamente, quando cantavano insieme in macchina la canzone di Joe Dassin, “era un giovedì, il grande giorno, il grande passo verso il grande amore” (il giovedì era davvero il loro giorno, fin dall’inizio clandestino della loro storia d’amore), ha scritto che in nove anni loro due hanno avuto momenti intensi, ma che il potere ha rovinato tutto. Ha scritto la storia di molte storie d’amore, come l’avrebbe scritta Emma Bovary se avesse dovuto cavarsela da sola, senza Flaubert, come avrebbe fatto Anna Karenina, davanti a un foglio bianco, arrabbiata con Vronskij, mentre meditava di buttarsi sotto il treno. Ha aggiunto l’amore dunque, Valérie, poi un agente ha messo quelle trecentoventi pagine nude dentro una chiavetta usb ed è andato in Germania, sotto falso nome, a far stampare il libro, riportato in Francia con i camion. Centoquarantacinquemila copie in quattro giorni, la fila in libreria fin dal mattino presto, i commenti su quanto si possa guadagnare da un tradimento con abbandono (l’Express ieri diceva: Valérie incasserà più di un milione di euro) e un libraio stizzito perché ha già esaurito la scorta mentre la gente continua a entrare e chiedere “Merci pour ce moment” (“per una mia amica”). Così anche questo libraio ha messo il cartello: “Non abbiamo più Valérie Trierweiler, ma abbiamo Balzac, Dumas, Maupassant, eccetera”. Abbiamo la letteratura vera, non questa immondizia (e sempre il Nouvel Observateur ha esaminato la sintassi di Valérie, giornalista, trovandola piuttosto insufficiente). Ma in seguito a questa immondizia François Hollande ha dovuto rispondere all’accusa di disprezzare i poveri, sia in conferenza stampa (che aveva pensato, disperato com’era, di annullare) sia in copertina sul NouvObs, con un’intervista intitolata: “Hollande si spiega”, in cui smentisce di essere cattivo. “Non sono cinico e sprezzante, questa è una menzogna che mi ferisce”, poi rinnova il suo amore bruciante per gli umili, racconta del nonno sarto e dell’altro nonno maestro di scuola, si commuove: “Ho costruito la mia intera vita sul principio di aiutare gli altri, non si può attaccare la mia ragione di esistere”, e mostra, come prova della sua immensa umiltà, il polso fasciato da uno Swatch da sessanta euro. Non è un romanzo, forse?
[**Video_box_2**]Balzac avrebbe nutrito la sua “Comédie Humaine” di una nuova storia, con personaggi così: Valérie, Hollande, i librai parigini, il denaro, il potere, la prima moglie, la bella attrice, e quella forza superiore che trascina le vicende umane. Per Balzac era l’ostinazione. Che rende tutti i confini superabili, tutte le ambizioni possibili: anche quella di diventare la first lady di Francia passando attraverso un tradimento pubblico, con la presunzione di non riceverlo mai indietro, e cancellare il passato di un uomo, i suoi quattro figli, la sua compagna di una vita. Valérie Trierweiler si è mostrata, in queste confessioni, al tempo stesso cinica e ingenua, vendicativa e desiderosa di suscitare pietà, sincera nel rievocare i sotterfugi che lei stessa ha messo in atto, spudorata e contraddittoria nel raccontarsi indipendente, forte, femminista, e poi svelare di avere implorato Hollande, “un pezzo di ferro”, di non lasciarla, di aver lottato con lui in camera da letto per imbottirsi di sonniferi, di aver odiato Ségolène Royal e urlato, pianto e ordito contro di lei (e fatto promettere a Hollande di non sostenerla in campagna elettorale. Lui disse: d’accordo, poi ovviamente fece il contrario). E’ un libro pieno di “io”, anche se è destinato a distruggere Hollande (e avrà come effetto collaterale, nella vita di Valérie, di renderla un po’ più ricca ma più sola, di innalzare un muro di filo spinato tra lei e gli uomini, terrorizzati dalla possibilità di essere, un giorno, oggetto di una simile furia).
E’ il disvelamento di un personaggio fragile e perfido, privo di controllo, di saggezza, forse sinceramente convinto di agire in nome della trasparenza (“ho sofferto troppe menzogne”), in nome del coraggio (“nessuno mi ha mai protetta”), come se la storia d’amore che l’ha devastata (amour fou, scrive) fosse una storia politica, che coinvolge la Repubblica, e non un rabbioso capitolo della commedia umana, le conseguenze di un disamore. Si può trovare spaventosa la scompostezza di Valérie, ma non si può negare (e i librai dovrebbero anche scrivere sulle vetrine: grazie per questo momento di vendite insperate) che le sue sofferenze, i suoi tremiti, gli interrogatori a Hollande la sera sul divano (“Giura sui miei figli che non mi tradisci”) ricordano i pianti di Emma Bovary con Rodolphe: “Oh! è perché ti amo!” riattaccava lei, “ti amo tanto da non poter vivere lontana da te, mi capisci? A volte ho un tale desiderio di vederti che mi sento straziare da tutte le furie dell’amore. Mi domando: ma dov’è in quest’attimo? Forse sta parlando con altre donne? Gli sorridono e lui si avvicina… Oh! No, vero?”.
Rispetto a Emma, Valérie ha avuto in più l’idea della vendetta, il desiderio di salvarsi provocando la caduta di un uomo potente. Non ha scritto una storia per divertire, per trasformare il dolore in qualcos’altro, anche di redditizio, non ha scritto pensando all’immedesimazione, alle relazioni fra uomini e donne, a Nora Ephron, all’amore che ci rende pazzi e scemi. Ha scritto per uccidere, per denunciare, per creare un’indignazione pubblica contro Hollande (che cosa sarebbe successo se Jackie Kennedy avesse raccontato i tradimenti di suo marito, se Veronica Lario avesse raccontato in un libro le sue scene da un matrimonio, se Michelle Obama si fosse seduta al computer per fare chiarezza su quel giorno ai funerali di Nelson Mandela, quando Barack si scattava selfie con la bionda premier danese?). Nel fare questo, nel cercare di trasformare la vita pubblica in un romanzo rosa, Valérie si è rivelata perfida e sincera al tempo stesso. La sua ossessione è Hollande, da nove anni, e attraverso quell’ossessione ha raccontato, pur non essendo Flaubert, tutto di sé. Del non essere all’altezza delle proprie ambizioni: ha scritto di avere avuto una vita non facile, con un padre invalido di guerra di cui è molto fiera, di avere sempre lavorato per essere indipendente, di conoscere le ombre della vita, la fatica, il dolore della separazione, l’amore per i tre figli. Ma ha scelto di diventare il personaggio piccolo di una commedia più grande, in cui Ségolène Royal e Julie Gayet, silenziose e sorridenti, guadagnano una luce di bellezza e distacco, e il resto del mondo, intanto, la ringrazia per questo momento.
Per la possibilità di ogni donna tradita di sentirsi migliore di Valérie, per il piacere segreto che si prova nel guardare i tonfi delle vite degli altri, per la rassicurazione, quando ci si sente troppo fatui, troppo disordinati, che il presidente della Repubblica francese ha chiesto a Valérie di sposarlo, dopo le elezioni nel 2012 e poi ha annullato tutto in fretta e furia un mese prima, “con parole di una crudeltà inaudita”, forse a causa dell’ingresso nella sua vita di Julie Gayet. E glielo ha chiesto di nuovo (secondo la vendetta di Valérie), via sms, dopo aver annunciato la separazione, pensando di poter sistemare tutto così, di poter evitare altri guai. Sono cose che non dovremmo sapere, affari privati che dovrebbero restare privati (non dovremmo nemmeno sapere che Hollande se ne stava in ginocchio sul letto, con la testa fra le mani, o che lei lo implorava di accompagnarlo in viaggio e lui rispondeva: preferisco annullare che andare con te), ma nel momento in cui qualcuno decide di raccontarli diventano di tutti, diventano una storia che ci riguarda. E’ un atto irreparabile. La vita degli altri diventa nostra, un uomo lontanissimo e potente diventa un sessantenne sopraffatto, qualcuno che conosciamo, e che ci consola dei nostri guai, il personaggio di un romanzo, uno spettacolo magari cretino ma che ci appartiene per sempre. Non è letteratura, e non ha niente di nobile, ma è vita.
[**Video_box_2**]“Tutto quello che so l’ho imparato dall’amore”, ha scritto Tolstoj in “Guerra e pace”, e forse anche quello che non so, o quello che non mi piace, quello che disprezzo. Le azioni riprovevoli, le piccole vendette, la testa tra le mani, la sensazione di essere invincibili, la trasformazione repentina in un pezzo di ghiaccio, o in una perfetta macchina per le bugie. In un presidente che manda ventinove sms al giorno alla donna che non ama più fingendo di amarla ancora, in una donna che decide di rinfacciargli pubblicamente l’odio per il cibo in scatola. La caduta velocissima di tutti gli strati di cultura, buon senso, femminismo, maturità e splendore in cui ci avvolgiamo quando le cose riguardano gli altri, e non noi. Valérie ha scritto di Ségolène Royal: adesso la capisco. Adesso che è toccato a lei, adesso che è diventata tutto il contrario di quello che (forse) sperava di essere. Sotto gli strati di bei capelli un po’ spettinati e sguardo malinconico, Valérie ha scelto di essere Emma Bovary, però più crudele, ugualmente confusa, meno perdonabile. I librai parigini dovrebbero leggere questo libro, se mai gliene restasse una copia, per capire che da adesso fanno parte anche loro di una storia fatta di grandi speranze deluse e di vanità che non si rassegnano all’oblio. Perché una forza superiore continua a farle muovere e, con ostinazione, a sbagliare.
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