Musica per ministri
Madia, Orlando, Boschi, Mogherini, Alfano a Padoan. Agile playlist per la squadra di Renzi per stare al passo con i tempi e le riforme. Lorde per Maria Elena. Per Lanzetta, Negramaro a palla. Bob Dylan per Mogherini (e occhio soprattutto ad Alias)
Volenteroso. Ma poco musicale, questo governo Renzi. Se non rischiassimo di prenderci una scarpa in faccia, potremmo dire che, per ora, non ha un suono. Troppo affaccendato e di corsa, almeno a vederlo in tv. Del resto, a che serviamo noi? Dev’essere uno sforzo comune, no? Allora diamo il nostro contributo. Nel momento del massimo sforzo, all’imbocco dei 1.000 giorni leggendari, facciamo la nostra parte. Proponiamo una musica di governo, qualcosa che s’accordi con lo smazzamento del supremo compito del consesso ministeriale. Una musica che l’accompagni, lo avvolga, gli dia melodia e identità sonora – come le sigle che i candidati americani si fanno scegliere per introdurre il discorso che conta. Roba motivazionale, per fare riforme che spaccano. Scelta, caso per caso, nel rispetto delle differenze, come si dice adesso. Ma anche cosette da relax, in tono con lo stile di coloro che portano la fiaccola. Musica da ministri. Next Gen, ma pur sempre ministri.
Maria Elena Boschi, Riforme costituzionali e rapporti con il Parlamento. Apprezziamo gli sforzi del paroliere Gianni Belfiore, che vorrebbe farne un’eroina da canzoni di Julio Iglesias. Ma Maria Elena, per noi è oltre. Lei, per noi è Lorde. Non ci piove. Non ci chiedete perché, la musica, si sa, parla da sola e a metterle vicino si capisce subito che sono fatte l’una per l’altra, segmenti della stessa storia. Hanno la precocità e la poesia, l’ambizione e il sogno, sono belle e brave, arriveranno chissà dove. E se “Royals” è stata suonata da Bill De Blasio come victory song (“Fammi essere il tuo governante / puoi chiamarmi ape regina / e baby, io governerò, governerò, governerò / lasciami vivere questa fantasia”) pensate all’effettone che la canzone farà il giorno in cui toccherà a Maria Elena salire uno scalone che conta, con Lorde sotto, che gorgheggia il suo inno.
Maria Anna Madia, Semplificazione e Pubblica Amministrazione. De Gregori a Maria Anna non glielo leva nessuno. Come non immaginarla incedere lieve sulle note di “Stelutis Alpinis”, fino a decollare “Cercando un altro Egitto”? O smarrirsi in un attimo di bliss, mentre risuona “Sempre e per sempre”? Quello di Francesco è il canzoniere obbligatorio del suo comodino, ce n’è ha una pronta per ogni bisogno della Ministra che ha l’ingrato compito di tagliare, tagliare, ma con dolcezza. E poi quell’invito alla semplificazione e alla normalità che Madia interpreta con tanto charme, non è lo stesso che ci rivolge il sommo cantautore, allorché dice “Guarda che non sono io quello che stai cercando / Quello che conosce il tempo, e che ti spiega il mondo”?
Affari regionali e autonomie: Maria Carmela Lanzetta. Banale attribuirle i suoni delle minoranze e delle regioni a statuto speciale: perciò niente Van de Sfroos, Sud Sound System o i sardi Tazenda. Ci vuole qualcosa che unisca. Perciò a Maria Carmela raccomandiamo il gruppo che ha saputo coniugare forte identità locale, capacità di mettere d’accordo stadi colmi di fans e sana italianità, che fa sempre maggioranza. Per la Lanzetta, perciò, raccomandiamo Negramaro a palla, coloro che hanno risvegliato generosamente Modugno dal sepolcro e che sono “niri niri” come veri bravi ragazzi italiani dell’Interrail. Il gruppo la cui musica la manderesti anche ai due Marò, per aiutarli a sentirsi un po’ più a casa.
Federica Mogherini, Affari Esteri. Per Federica serve un testimonial di statura inattaccabile e con la vocazione del vagabondaggio per il mondo, lo stesso che dovrà affrontare lei, adesso che ha il compito di rappresentare mezzo continente. Bob Dylan allora, l’uomo del never ending tour, colui che, a modo suo, ha diffuso democraticamente il suono americano in giro per il pianeta. Portando con sé poesia, ironia, sex appeal e soprattutto improvvise visioni, che potrebbero prendere la forma di soluzioni. Che faranno comodo a chi, per nostro conto, dovrà immaginare come strappare gli ostaggi dalle mani dei terroristi. Non è Dylan che, in un vecchio film di tanti anni fa, inventò un personaggio che era uno, nessuno e centomila e che così facendo, riusciva ad andare d’accordo con tutti, coi buoni e coi cattivi? Si chiamava Alias.
Angelino Alfano, ministro dell’Interno. Ad Alfano, ci dispiace, ma gli appioppiamo Cesare Cremonini. Sì sì, lo sappiamo che lui non sarà contento, che farà le smorfie e la faccia perplessa che sottintende: ma scusate, che c’entro io con quello lì, che è pure di Bologna? Il fatto è che, secondo noi, ad Angelino gli è un po’ mancata, in tutta la sua tenace rincorsa ai posti che contano, un sano momento-Cremonini. Quello della Gray Goose e di “accendiamo un film porno”, quello delle intere giornate con niente da fare, del girare in città in punta di sella di un Vespino 50. Ma ancora non è tardi. E il fanciullo-Alfano, che da qualche parte dev’esserci, alla fine capirà e sarà contento.
Giustizia: Andrea Orlando. Un altro riformatore indefesso, con un sacco di provvedimenti da proporre, rivedere e ritoccare e un’orizzonte di riunioni a tutte le ore, che stenderebbero un cammello. A lui, con simpatia, va la musica di Pharrell Williams che, nel mondo effimero del pop, è il giusto tra i giusti, perché quando arriva lui a fare un featuring nel tuo pezzo, è sicuro che finirà al primo posto. E perché è quello che, in tempi orrendi come questi, ha il coraggio di cantarci “Happy” (“niente può deprimermi / sono troppo di buon umore / perché sono… / felice!”), riuscendo a convincerci che, chi ce la fa a resistere, si godrà l’era dell’acquario con mezzo secolo di ritardo.
Difesa: Roberta Pinotti. Questo è un governo antimilitarista, inutile girarci intorno, al di là delle giuste posizioni di facciata. Roberta Pinotti deve far quadrare i conti, fare la guardia alla dignità del paese in un momento difficile e fare i conti con un sacco di generali. Perciò a casa, in pantofole, oppure in macchina andando al lavoro, le prescriviamo qualche antidoto: ad esempio le canzoni sognanti e perditempo (“Ho paura che il calore / di un raggio di sole che ho sopra la testa /sciolga le ali di cera”) di uno che sicuramente il militare non l’ha fatto, come Federico Zampaglione in arte Tiromancino, e ovviamente le note di un po’ di vecchi genovesi suoi conterranei, massì Tenco e DeAndré, che di fucili e uniformi non ne volevano nemmeno sentir parlare.
Sviluppo Economico: Federica Guidi. La Guidi viene da una delle città più musicali d’Italia: Modena e saprete quanto è lungo l’elenco dei cantanti nati da quelle parti. “Le donne di Modena” come cantava Francesco Baccini, devono averci messo del loro, anche se poi è stato il romano Venditti a farci amare Modena quando, con Gato Barbieri, nell’omonima canzone cantava “Con le nostre facce idiote / eccoci qui”. Bei tempi. Ma se di sviluppo economico ora Federica si occupa, diamole una consulenza costruttiva: per lei, Daft Punk, 24 ore al giorno. Mai invadenti, precisi, aritmetici, soprattutto conoscono un segreto: far quadrare i conti. Anzi: come far soldi partendo da quattro note suonate su una tastiera economica. Vale come moltiplicare i pani e i pesci, versione millennium.
Infrastrutture e trasporti: Maurizio Lupi. A noi Lupi, sarà per il ciuffo sugli occhi, ma ci sembra un eterno ragazzino, anche adesso che fa i conti con l’altà velocità e un Montezemolo incazzato come un bufalo per il flop di Italo. Viene da immaginarcelo sempre in Lacoste e golf sulle spalle, in gita a St. Tropez con un amico e due tedeschine che li aspettano al bar. Fantasie, ovviamente. Però la musica per lui dev’essere così, un po’ ammiccante. Direi che Miley Cyrus ci casca a pennello, tanto più adesso che ha scovato una motivazione culturale per il twerking, connettendolo direttamente col fantasma di Elvis, spiegandoci che la danza tutta di culo, l’ha inventata lui, mica lei. Ecco Lupi che corre sul Frecciarossa verso l’ennesima puntata di “Porta a Porta”, lo vorremmo così: con lo sguardo fuori dal finestrino e la ragazzaccia che gli mugola nelle cuffiette: “Ti sono entrato dentro / come una palla da demolizione”.
Economia e Finanze: Pietro Carlo Padoan. Quest’uomo ha bisogno di distrarsi. Ha la testa piena di numeri e di segni “meno”, non può continuare a sentire il tic tac delle calcolatrici anche quando cerca rifugio in un po’ di musica. Per lui ci vuole soprattutto comprensione e per questo lo affideremmo alle capaci e morbide braccia di Lana Del Rey. Gli parlerà di sogni californiani, di notti senza fine, come forse Pietro Carlo non ne ha mai vissute, del tramonto a Redondo Beach e del perdersi in un parcheggio nel deserto del Joshua Tree. Chiome di seta, smalto rosso, rossetto sbaffato. Un lungo sogno rinfrancante, prima della sveglia e della telefonata preoccupata del sottosegretario Legnini.
Salute: Beatrice Lorenzin. Romana della costa, soluzionista, tenace, positiva, ma anche balneare. Nell’iPhone le mettiamo roba da workout, che fa bene, tiene in linea e di buonumore. Declinato in rosa, in sneakers e tuta. Direi un mix Beyoncé, Ariana Grande, Nicki Minaj, con un tocco di Michael Jackson che non guasta. Roba energetica, che la prepari come si deve a fare i conti con la riforma delle Asl e col proposito di irrigimentare i primari (prima dell’incontro coi quali un passaggio a manetta di “Toxic” della vecchia Britney, le darebbe la carica giusta).
Beni e attività culturali e turismo: Dario Franceschini. No, qui tutto un altro suono, contemplativo, con dei significati. Inevitabile Battiato, per cominciare a metterlo a suo agio. Poi qualcosa che vada d’accordo coi propositi d’integrazione tra cultura e turismo, del programma di cambiamenti del suo ministero: per non cadere nel Bocelli che funziona ma fa un po’ agenzia di viaggi, possiamo metterci un sempreverde come Riccardo Muti, magari alle prese con Mozart e poi concludere con la sua versione del “Please come to visit Italy” sulle note, chessò, di Mina, con qualcosa d’intellettuale ma pure di sloganistico, tipo “La Città Vuota” a cui il misconosciuto paroliere Cassia diede versi indimenticabili (“le strade piene / la folla intorno a me / mi parla e ride / e nulla sa di te”).
Istruzione, Università e Ricerca: Stefania Giannini. Beh ovviamente si deve volare alto, ma non altissimo, insomma qui si parla ai docenti, ma anche agli studenti e alle famiglie, tutti in attesa di migliorie, e lo si fa per bocca di una ministra che non disdegna lo strappo al protocollo. Alla Giannotti prescriveremo robuste dosi di Jovanotti, perché è uno bravo ma che s’impegna poco e che è assai autodidatta ma ce l’ha fatta. In contrapposizione poi, le assegniamo anche alcune somministrazioni del laureato in Ingegneria elettronica Stefano Belisari, in arte Elio, che serva d’incoraggiamento ai molti disoccupati ad alto profilo culturale: in mancanza di prospettive, buttatela sul demenziale, perché se scriverete un pezzo come “Tapparella” un mercato si schiuderà davanti a voi.
Lavoro e politiche sociali: Giuliano Poletti. Questo è un ministro che ha da fare, mica si può perdere in compilation. Per lui, prima di tutto, un salutare il ritorno alle radici, dove tutti siamo cominciati, alle braccia del lavoro. Bell’intro coi canti di Giovanna Daffini, mondina padana. Poi strizzata d’occhio al commerciale col ripescaggio dei Men At Work, gruppo australiano semi-dimenticato, metti mai ci portassero bene. Infine, viste le deleghe al mondo giovanile, un po’ di hit parade da Centro Sociale (centro sociale buono, diciamo fino al Valle Occupato compreso). Niente Flaminio Maphia – peccato: perché sono stati tra i primi a fare inegrazione -, ma sì al Colle Der Fomento e generose dosi di Caparezza, tormentone di ogni Festa dei Lavoratori degna di questo nome.
Ambiente, Territorio e Mare: Gianluca Galletti. Facile la colonna sonora per l’uomo delle acque. Suoni liquidi, andanti e leggermente mossi. Tanto Neffa (“Molto Calmo”), roba da tirar tardi in spiaggia con gli ombrelloni già chiusi, un po’ di Gazzé (“Vento d’estate”), e chiusura notturna con la scaletta da rotonda sul mare – Carboni di “ho comprato anche la moto / usata ma tenuta bene”, Lucio che attacca il pezzo dicendo “Ogni volta che vedo i pesci nel mare / penso che i pesci parlano” e la cara Giuni Russo d’una volta, quando cantava “quest’estate ce ne andremo al mare / per le va-caaaa-nzeeee!”. Beati loro.
Politiche agricole e alimentari e con delega all’Expo 2015: Maurizio Martina. Questo è un caso complicato, perché mette insieme città e campagna, le foreste e l’Expo milanese, roba da vero city slicker. E poi Martina è uno giovane, uno che deve fare la figura dell’informato, con tutte le delegazioni internazionali che accoglierà. Quindi un po’ di sofisticatezza, a metà tra il country e l’urban chic. Nel suo cd mettiamo un classico della West Coast, area Big Sur, tipo David Crosby che, producendo un disco pochi mesi fa (“Croz”) ci ha dimostrato che l’aria buona davvero fa bene, perfino se si è il guru degli allucinogeni. Subito dopo, come pendant, raccomandiamo a Maurizio le sofisticate ballate di Sharon Van Etten, metrosexual asse Brooklyn-Brera, crinoline spiegazzate e griffatissime e cronache dell’amore nel pomeriggio.
I sottosegretari. Metti un disco nella stanza dei bottoni. Lo sappiamo: Graziano Delrio vorrebbe cavarsela con un Guccini d’annata o magari con un Miles Davis di “On the Corner”. Ma al capo ufficio dubitiamo andrebbe bene, farebbe la faccia di circostanza di “uh che noia”. Allora, tanto per spazzarlo, ecco che Graziano tira fuori dalla discoteca del suo battaglione di figli, il disco di Stromae, cantautore francese futurista che è anche un po’ africano, un po’ dance, e un po’ artista, attore, mimo. Un giovane istrione, parola che a Palazzo di questi tempi, prende punti. Poi entra Marco Minniti e il gioco si fa duro anche in musica. Lui è uno così, strano, un po’ pazzo, con la scintilla negli occhi. Uno che sente Lou Reed al buio, “Street Hassle”, e s’indentifica col Sindaco del Village, che purtroppo non c’è più. A Minniti le entrate delle grandi occasioni verrebbero bene come le faceva Lou Lou. Magari senza sculettare, ma sulle note di “Sweet Jane”.
Il presidente Matteo Renzi, lo dobbiamo tenere su, mantenerlo giovane, non dargli pensieri, preoccupazioni e manco ostacoli troppo alti da superare quanto a pronunce di nomi stranieri. Coldplay, francamente, ci è sembrata una scelta un po’ conservativa. Rottamiamoli. E per averlo arzillo, gioioso e un po’ dancefloor, immergiamolo in un aura di David Guetta (giorno) e molto Skrillex (notte). Fa un po’ radio privata, ma lui non le disdegna, secondo il dettato 2.0 della comunicazione politica. E fa anche martellone, cornetto algida e pensiero debole: ma sono 1.000 i giorni da far passare e all’inizio conviene partire leggeri. Per Stochausen, potrebbe dire Matteo, ripassate domani.
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