À la guerre in Iraq
Indebolito da una guerriglia politica interna al Partito socialista e tormentato dalle rivelazioni sulla sua vita privata, il presidente francese François Hollande trova forse consolazione nella politica estera, dove ha adottato una linea decisionista e filoamericana.
Roma. Indebolito da una guerriglia politica interna al Partito socialista e tormentato dalle rivelazioni sulla sua vita privata, il presidente francese François Hollande trova forse consolazione nella politica estera, dove ha adottato una linea decisionista e filoamericana. Lunedì due aerei Rafale francesi sono decollati dalla base di al Dhafra, negli Emirati Arabi Uniti, e hanno sorvolato per la prima volta l’Iraq, per una ricognizione sopra le basi dello Stato islamico. I due jet fanno parte di un contingente di otto aerei che Parigi ha assegnato alla campagna in Iraq contro lo Stato islamico per missioni che in codice militare si chiamano Irs (Intelligence Reconnaissance and Surveillance). Un anno fa, come fu poi rivelato dalla stampa, Hollande aderì così prontamente alle minacce di bombardamento dell’Amministrazione americana contro il regime siriano – dopo il massacro chimico alla periferia di Damasco – che per poco non rischiò di cominciare la guerra in Siria da solo (il presidente americano, Barack Obama, cambiò idea all’ultimo momento senza avvertirlo).
Anche contro il Califfato di Baghdadi, la Francia ha promesso aiuto militare fin dall’inizio dei bombardamenti americani nel nord dell’Iraq, l’8 agosto. Ieri gli aerei del Pentagono per la prima volta hanno colpito vicino alla capitale Baghdad e il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, e il capo di stato maggiore, Martin Dempsey, hanno parlato esplicitamente di bombardamenti in Siria. Dempsey si è spinto a dire che “se necessario, se riterrò che le truppe irachene hanno bisogno dell’appoggio dei nostri consiglieri militari quando attaccano specifici obiettivi dello Stato islamico, lo dirò al presidente”. A tre anni dal ritiro, si parla di nuovo di soldati americani potenzialmente impegnati in combattimento in Iraq, contro gli eredi dello Stato islamico guidato da Abu Musab al Zarqawi negli anni scorsi. Non è ancora chiaro quando avverrà e se il governo Hollande seguirà gli americani anche su quel fronte con gli aerei, ma per ora sta rimpiazzando negli interventi internazionali la Gran Bretagna – alleato tradizionalmente più stretto di Washington.
Al contrario di molti paesi arabi del Golfo, che dicono di essere pronti a bombardare – almeno così hanno garantito al segretario di stato americano, John Kerry, durante il suo ultimo tour diplomatico – la Francia si tiene sul piano dell’aiuto militare senza lanciare bombe. Parigi si sente coinvolta in una missione complicata, perché c’è un numero alto di francesi che combatte con lo Stato islamico e può diventare una minaccia. Un secondo ruolo nella campagna contro lo Stato islamico potrebbe essere giocato dalla Francia grazie ai suoi contatti con i disertori dell’establishment del presidente siriano Bashar el Assad. In senso lato, ogni azione in Siria – anche una campagna militare contro il gruppo del califfo Ibrahim – passa per la questione: cosa fare con il regime di Assad? C’è una soluzione politica? Kerry nel viaggio diplomatico della settimana scorsa ha inserito una tappa discretissima per incontrare alcuni ex alti esponenti del regime, un tempo uomini di fiducia del presidente siriano. Se si lavora in quella direzione, allora la Francia ha le chiavi della soluzione in mano. Parigi ospita una folta comunità di siriani influenti. Il fratello del padre di Bashar, il generale Rifaat, ha casa nella capitale da decenni; il generale Manaf Tlass, ex amico intimo del presidente, è anche lui fuggito a Parigi due anni fa.
[**Video_box_2**]Questa entente franco-americana funziona soprattutto in Africa, dove – per semplificare – la Francia ci mette i contatti che conserva grazie a una lunga consuetudine storica, la Françafrique, e l’America ci mette soldi e capacità militare. Secondo il Point, dalla fine del 2012 c’è un accordo segreto tra Hollande e Obama sugli interventi militari lampo in Somalia, che il 1° settembre è scattato: il presidente francese ha ordinato all’intelligence (Dgse) di trasmettere agli americani la posizione del leader degli Shabaab (l’edizione somala di al Qaida), Ahmed Ali “Godane”. Nel gennaio 2013 gli aerei americani hanno dato sostegno a un raid francese in Somalia per liberare due ostaggi, che però è fallito disastrosamente. Due settimane fa i droni e gli aerei del Pentagono sono arrivati sul posto, 170 chilometri a sud di Mogadiscio e hanno ucciso Godane con un bombardamento.
Francia e Stati Uniti hanno appena chiesto al governo dell’Algeria il permesso per far partire azioni militari dentro la Libia, alla caccia di capi terroristi (il permesso riguarda voli di ricognizione e incursioni di forze speciali, Algeri sta ancora valutando la richiesta). L’America sta anche collaborando al dispositivo di sicurezza “Barkane”, che è il nome dell’operazione francese per sorvegliare il deserto del Sahel dopo la fine della missione in Mali.
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