“Decreto” o “apartheid”
Renzi scuote l'albero del lavoro. Gli servono i frutti
Quello italiano è “un mondo del lavoro basato sull’apartheid”, ha detto ieri mattina Matteo Renzi alla Camera dei deputati. La segregazione in corso sarebbe quella ai danni di “cittadini di serie B”.
Roma. Quello italiano è “un mondo del lavoro basato sull’apartheid”, ha detto ieri mattina Matteo Renzi alla Camera dei deputati. La segregazione in corso sarebbe quella ai danni di “cittadini di serie B”: le partite Iva senza nemmeno la maternità rispetto ai dipendenti a tempo indeterminato “di serie A”, i lavoratori delle aziende con meno di 15 dipendenti rispetto a quelli delle aziende più grandi, i disoccupati senza welfare rispetto a quelli con la cassa integrazione. Se la segregazione di milioni di lavoratori rispetto agli altri è per definizione odiosa, ecco che il presidente del Consiglio aggiunge: se i tempi saranno “certi e serrati”, allora il governo attenderà che il Parlamento approvi il disegno di legge delega sul Jobs act, “altrimenti siamo pronti anche a intervenire con misure d’urgenza”. Cioè con un decreto.
Evocare l’“apartheid”, invece che riferirsi al più asettico “dualismo del mercato del lavoro”, è un tributo esplicito alla formula diffusa in primis dal giuslavorista e senatore di Scelta civica Pietro Ichino (che aveva abbandonato il Pd anche per trovare più ascolto sul punto). Mentre l’extrema ratio del “decreto” ha colto il plauso di Maurizio Sacconi, ex ministro del Lavoro nel governo Berlusconi e oggi presidente della commissione Lavoro del Senato in quota Nuovo centrodestra: “Sul lavoro ho sentito parole che testimoniano una mutazione genetica della sinistra di estrazione comunista e cattocomunista. Il decreto è una minaccia rivolta ai conservatori”, dice Sacconi al Foglio. Non è solo questione di accorgimenti retorici. Oggi infatti il governo presenterà proprio in commissione al Senato, davanti a Sacconi e Ichino, il suo emendamento all’articolo 4 della legge delega, quello sul riordino dei contratti e che quindi impatta anche sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sui licenziamenti. “L’emendamento sarà condiviso tra il ministro Poletti e me”, dice Sacconi a chi gli chiede se l’esecutivo terrà conto dei dissidenti del Pd. Ichino dà per acquisito, nell’emendamento governativo, un riferimento a un codice semplificato del lavoro (dopo i cenni fatti ieri da Renzi in Senato) e a un “contratto a protezioni crescenti” (con indennizzo monetario in caso di licenziamento, non più il reintegro) che modifichi e sostituisca l’attuale contratto a tempo indeterminato con articolo 18. Il governo starebbe già lavorando ai decreti attuativi. Ma il finale di partita non è ancora del tutto scritto: alla commissione Lavoro della Camera sono più forti le posizioni storiche del Pd, quelle à la Cesare Damiano, disposto ad accettare un contratto di inserimento che per tre anni renda ininfluente l’articolo 18, dopodiché vale il modello attuale. Renzi al momento sembra convinto di poter tirare dritto, per questo ieri – parlando alla sinistra più “dura”, come l’ha chiamata – ha sostenuto che difendere l’attuale diritto del lavoro “non è la cosa più di sinistra che c’è”.
[**Video_box_2**]Il presidente del Consiglio ha scosso l’albero del lavoro – fornendo un assist agli esponenti più riformatori della maggioranza – perché ha un disperato bisogno dei frutti di quello stesso albero. Il primo motivo è ovvio: la riforma dello Statuto del 1970 è resa sempre più urgente da una disoccupazione che non accenna a calare (12,6 per cento), specie nelle fasce più giovani della popolazione, come ha ripetuto ieri Renzi. Il secondo motivo è stato accennato dal premier, quando in Senato ha parlato della “necessità di dare un messaggio, non già all’Europa”. Non già, certo, ma anche. Infatti approvare una riforma strutturale richiesta per anni da Bruxelles e Francoforte è una delle poche carte davvero a disposizione, nel breve termine, per contrattare con l’Ue una maggiore flessibilità sui conti pubblici (che peggiorano in tandem con le stime del pil) e in prospettiva sul Fiscal compact.
Infine, sempre nella delega sul lavoro, c’è il dossier “ammortizzatori sociali” da affrontare. Apparentemente meno simbolico dell’articolo 18, ma non per questo meno centrale. Ieri sera, durante la segreteria del Pd, Renzi ha insistito a lungo sulla necessità di superare la cassa integrazione in deroga. Un’altra rottamazione, certo. Ma anche una strada obbligata. Perché tra quattro mesi entra definitivamente in vigore la riforma Fornero del 2012 sul welfare: cassa integrazione e mobilità in deroga saranno per legge superate.
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